Ontogenesi

 

Ernst Haeckel volle definire una legge biogenetica fondamentale. Essa dice: “Un organismo durante il suo sviluppo embrionale percorre le medesime tappe percorse durante la sua storia evolutiva”. A questa legge, che non è né fondamentale né una legge, con facilità si è risposto che non risulta affatto che tutte le forme viventi sono rappresentate dagli stati embrionali. Gli stati embrionali dovrebbero essere immensamente di più di quelli che ci sono in un embrione. Si è obiettato che ci sono solo stati di “compendio”, ma l'embriologia sconfessa questo. Ad esempio gli embrioni di serpenti dovrebbero avere embrioni forniti di zampe, dal momento che si pensa alla derivazione dai dinosauri. Gli embrioni di uccelli dovrebbero manifestare embrioni di denti visto che gli antenati li avevano (Cf. H. Szarski, “Status of Haeckels's biogenetic law”, in Scientia, 97 (1962), pag. 124-129). Si parlò anche che solo gli stadi più antichi sarebbero stati presenti negli embrioni, ma la logica direbbe che dovrebbero essere presenti gli ultimi.

Gli evoluzionisti più retrogradi presentano come nell'embrione umano il cuore si trovi ad un certo punto in uno stato di sviluppo che è uguale allo stato definitivo di quello di un pesce, ma è facile dire che quel passaggio embrionale del cuore umano fa parte non di uno stadio, con fermata di sosta e partenza, ma di uno stadio di un evolversi continuo e funzionale verso l'ultima forma. Ancora si dice che nell'embrione umano sono presenti le branchie come nei pesci, ma l'embriologia umana vede nella branchie dei dati precisi di sviluppo di realtà ben diverse dalle branchie del pesce. Le branchie embrionali sono un fatto comune negli embrioni e danno risultati specifici. L'errore è voler vedere somiglianze di un essere adulto in un embrione. La verità chiarissima è che un embrione non assomiglia mai ad un animale adulto, ma sempre ad un altro embrione.

Ernst Haeckel non può avere nessuna lode scientifica, avendo non solo enunciato pomposamente una non legge, ma addirittura confezionato disegni di embrioni secondo la sua teoria.

Resta tuttavia vero che negli embrioni di balena sono presenti degli abbozzi di denti, che poi scompaiono. In questo caso è confermato a livello embrionale il fatto di “salti non pieni”. Ciò vale pure per gli abbozzi embrionali di arti addominali di taluni Artropodi.

 

Gli “equilibri punteggiati

 

La teoria è stata concepita da due paleontologi, Niles Eldridge e Stephen jay Gould nel 1972.

Niles Eldredge, curatore all' American Museum of National History, nel suo libro "Ripensare Darwin" (ed. Einaudi, 1999), considera l'esistenza dei vari salti che presenta l'evoluzione, e ne conclude che nell'evoluzione ci sono stati tempi di stasi dove una specie è rimasta inalterata per milioni di anni, insieme a momenti di forte accelerazione evolutiva, cioè i salti. La denominazione “equilibri punteggiati” non è altro che l'alternativa alla concezione di un'evoluzione continua. I punti sarebbero i passi forti dell'evoluzione. L'autore dice che Darwin non è stato letto bene e che va rivisitato, e ciò serve all'autore per dividere gli evoluzionisti in ultraevoluzionisti e naturalisti, tra questi ultimi Darwin. Gli ultraevoluzionisti sono quelli che hanno male interpretato Darwin dando alla selezione naturale lo spessore di protagonista principale dell'evoluzione. Questo spessore creatore, a dire la verità, non lo hanno individuato solo gli ultraevoluzionisti, ma anche coloro che hanno criticato Darwin, dopo averlo ben letto. L'autore deve abbassare l'importanza della selezione naturale per introdurre dei tempi di accelerazione dell'evoluzione: i salti. L'autore ammette onestamente l'esistenza dei salti, ma afferma che l'assenza dei fossili degli “anelli mancanti” è dovuta al tempo rapido delle fasi di salto, magari avvenute in popolazioni ristrette, per cui pochi sono i fossili “anello mancante” ritrovati (L'Archaepteryx). Chiaro che la teoria saltazionista non è altro che un tentativo di svuotamento dell'enorme difficoltà creata dall'assenza delle forme intermedie. La teoria è decisamente immaginaria, infatti dovrebbe spiegare come sono avvenuti quei salti, per i quali in verità, dati così brevi tempi, non si possono neppure fantasticare delle micromutazioni genetiche in accumulo e sfociate in macromutazioni.

 

DNA: tutto funzionale

 

I geni che forniscono il codice di formazione delle proteine sono circa il 2% del DNA e sono collocati nel genoma qua e là, in una marea di sequenze, e anche uno stesso gene può essere intercalato da sequenze apparentemente senza utilità. Il resto del genoma, fino a pochi anni fa, era considerato, in maniera disinvolta, una somma di residui inutili delle forme passate, cioè “spazzatura”: proprio il meglio dell'evoluzionismo più oscuro. Ma la realtà è che il DNA, nel secolo scorso è stato studiato solo in relazione alla produzione delle proteine. Già parti che si credevano inutili sono state riconosciute utili, così gli Introni, scoperti nel 1997 per merito di Phil Sharp e di Rich Robert, entrambi Nobel per la medicina nel 1993. Altri tratti sono già stati in parte esplorati e riconosciuti utili. Attualmente negli ambienti scientifici (Piero Carninci del Riken Genome Science Laboratory di Tsukuba, Giappone; premio Biotec Award 2001; Cf. articolo di Giovanni Sabato su “L'Espresso, 01.11.2001) si sostiene che le parti che non compaiono attive nella codificazione delle proteine siano invece del tutto essenziali per regolare l'espressione dei geni, e già diversi gruppi sono allo studio delle funzioni di queste parti. Molti credono che l'aver raggiunto il sequenziamento del genoma umano sia aver fatto tutto, ma in realtà davanti ai ricercatori sta un lavoro ben più immane, quello di cogliere i rapporti interni al genoma e del genoma con il protoma, nonché studiare il protoma, cioè le varie proteine - lavoro di per sé immane, data la configurazione complessa delle proteine -, nonché i rapporti funzionali all'interno del protoma, cioè tra le varie proteine. Recenti esperimenti hanno infatti evidenziato che il DNA non codificante potrebbe avere diverse funzioni, molto diverse dalla semplice trascrizione e traduzione.

L'8% del DNA non codificante si ipotizza fatto di HERVs (Human Endogenous Retrovirus), ma questa percentuale, si dice, che possa essere spinta a quasi il 25% del genoma umano. La divulgazione parla di HERVs come retrovirus fossili derivati da ancestrali infezioni, e qualcuno, senza freni, addirittura vuole risalire all'estinzione dei dinosauri, usando l'idea, non dimostrata, di estinzione per via virale. La trasmissione sarebbe avvenuta nei millenni per via di cellule germinali infettate da retrovirus (virus che contiene RNA che si converte in DNA e si collega al DNA della cellula parassitata per replicarsi e quindi diffondersi). Questi retrovirus endogeni, depositati da infezioni e infezioni, sarebbero stati soggetti ad accumulo di mutazioni, di cancellazioni, insomma dei fossili. Questi fossili non hanno però nulla di virale perché non sono replicabili, trasmissibili come dimostrato in laboratorio. Dichiaratamente alcuni scienziati tra cui Robert Gallo (1994 e 2006) sostengono che essi sono delle pure e semplici sequenze del DNA (Elen Papadopulos-Eleopulos, Valendar F. Turner; Jhon M. Papadimitrou, David Causer: “Is the dissident science highly questionable, embarrassing and damaging?” Settembre 2010. Da Etienne de Harven, 19 giugno 2008). Anzi alcuni studi su alcuni di questi Human Endogenous RetroVirus (HERV) hanno dimostrato che tre HERVs sono di essenziale utilità nella trasmissione della vita agendo a livello della placenta: senza di essi la vita non procederebbe di generazione in generazione, tutto il contrario di quello che fa un virus o un retrovirus. Altri HERVs sono risultati coinvolti nei meccanismi di riproduzione cellulare, altri hanno mostrato di esercitare un'azione di protezione su alcune infezioni. Ma è anche immediato notare che se un figlio nei millenni dei millenni fosse stato infettato per via di gameti - cosa molto occasionale da realizzarsi - con DNA connesso a retrovirus, il nascituro ne sarebbe uscito infettato profondamente e quindi in condizioni di non vitalità e quindi di non sopravvivenza, rimanendo, per la selezione, i soggetti sani. Questo è un semplicissimo pensiero alla portata di tutti.

Parte del DNA non codificante può anche essere in parte un elemento spaziatore tra geni, con funzione quindi importante. In questo modo gli enzimi che hanno rapporti con il materiale genetico avrebbero la possibilità di agire più agevolmente con il DNA. Nel DNA non codificante potrebbero essere contenute numerose sequenze trascritte in RNA, e poi non tradotte in proteina: questi non coding RNA sono ancora poco conosciuti, ma si ritiene possano essere molti di più di quelli attualmente noti.

Come si vede la concezione filosofica del meccanicismo, circa i viventi, che ha fatto da guida nel 900 ora non è più sostenuta, alla luce dell'esistenza di una immane complessità cellulare, sia strutturale che intrarelazionale.

Recentemente (Cf. "Nature" giugno 2007) è tramontata del tutto la sciocchezza del DNA spazzatura. 80 laboratori di 11 paesi fra Europa e Stati Uniti (Consorzio internazionale Encode: Encyclopedia of DNA elements) hanno messo definitivamente in chiaro che il “DNA spazzatura” non è affatto tale, ma al contrario è, nientemeno, “il regista dei geni”. La ricerca è stata impostata a partire dal 2003 con una spesa di 31 milioni di euro. Il “DNA spazzatura”, è ora ribattezzato, con assoluta decisione, come “DNA regista”, avendo il compito delicato di inviare informazioni e direttive al resto del genoma. Si parla ora di istoni, operoni di regolazione, di sequenze addette a regolare la ripiegatura della cromatina, di siti di contatto di proteine che operano nella mitosi, nella meiosi, ecc. La conoscenza dei meccanismi non è terminata, ma certo l'espressione “DNA spazzatura” la scienza autentica lo ha messo nella pattumiera della storia..

Il primo Settembre sulla rivista “Nature” è stata pubblicata la notizia del sequenziamento del menoma dello Scimpanzé. Le sequenze differiscono da quelle dell’uomo dell’1,2%, che corrisponde poi alla considerevole cifra di 35 milioni di nucleitidi, su circa 3 miliardi di nucleitidi. Ma non basta perché ci sono altre differenze, quali inserzioni, inversioni, delezioni, duplicazioni, il che abbassa la somiglianza al 96%. A tutto va aggiunto che gli scienziati affermano che si tratta di differenze molto significative (Cf. “Le Scienze”, n° 446, ottobre 2005, pag. 27). Inoltre ci sono le conseguenti differenze nelle catene di aminoacidi delle proteine, le differenze strutturali dell’emoglobina, ecc. E’ più di quanto basti per essere sostanzialmente diversi, cioè UOMINI; cioè con un corpo capace di essere informato da un’anima spirituale - razionale - che ne determina essere e vita.

La radicale insufficienza della “teoria sintetica”, o neoevoluzionismo, attuale base teorica dell'autoevoluzionismo

 

Il DNA tende a conservare se stesso mediante meccanismi di riparazione, qualora venisse turbato. La mutazione o è dovuta ad alterazioni sfuggite all'azione riparatrice del DNA, o a meccanismi di adattamento alle mutate situazioni dell'ambiente, ma secondo i neoevoluzionisti chi agisce è il caso, e non qualcosa di geneticamente programmato per l'adattamento di un vivente ad un ambiente mutato. Gli errori che forzano i meccanismi di riparazione del DNA, sono oggetto di trasmissione ereditaria, con mutazioni che non hanno immediato effetto fenotipico, ma lo hanno sommandosi nel tempo ad altre. Ma la percentuale di mutazioni è estremamente bassa: una su (105 -106); presso  gli animali superiori è di circa una mutazione su ogni (104 -105) individui. Le mutazioni producono, nella gran parte dei casi, anomalie, tare, e a volte vere mostruosità. Il numero delle mutazioni che porta a rapido decesso è da 10 a 15 volte superiore a quello delle mutazioni vitabili, cioè compatibili con la vita. Le mutazioni che possono risultare di qualche vantaggio sono rarissime. Mai e poi mai si ha l'emergere di una nuova specie.

La mutazione può essere determinata da sostituzione, eliminazione o riassestamento di una o più coppie di nucleotidi del DNA, da cambiamento di un allele in un altro, moltiplicazioni, eliminazioni o riassestamento di sezioni di cromosomi, ecc.

Il caso passa poi al vaglio dalla selezione naturale, la quale sarebbe in definitiva l'onnipotente plasmatrice delle specie, il che è inaccettabile. Ma ammesse le rarissime situazioni utili alla vita, queste dovrebbero essere accentuate fin dal loro sorgere, valide veramente, per determinare qualcosa di nuovo nella selezione naturale, il che francamente non è possibile pensarlo frutto del caso.

 

L'accumulo delle mutazioni

 

Lucien Cuénot (1866-1951) affermò che nel corso dell'evoluzione si sono formati fenomeni di preadattamento per cui talune acquisizioni fisiologiche o morfologiche vengono utilizzate per fini diversi da quelle per cui erano sorte. Un'affermazione che andrebbe dimostrata e non solo enunciata. Si avrebbe che si possono formare parti che prima migliorano un soggetto, cioè hanno determinati fini, ma che poi nel corso dell'evoluzione diventano essenziali ad un nuovo soggetto per reggere al vaglio della selezione naturale. Il miglioramento non coincide dunque con l'apparizione di una nuova specie, ma la specie antecedente soggetta al miglioramento ad un certo punto dovrebbe concepire dentro di sé quella futura, fino al punto che essa emerga di colpo, passando da miglioramento ad apparizione, e quindi ad esprimere una macromutazione. La specie precedente di necessità deve arrivare al punto di collassare se stessa, e su ciò che è stata si autocrea diversa. Ma niente può agire prima di essere. Così la forma colassata non può agire per autocrearsi in forma nuova.

A Lucien Cuénot va associato Hermann Muller (1890-1967), che ipotizzò (1939) che se ad un organismo si sia aggiunta una parte che ne migliora le prestazioni, e quindi non sia essenziale per il suo funzionamento, in seguito, con successive evoluzioni, quella parte da semplicemente vantaggiosa potrebbe diventare essenziale.

Si ipotizza così la possibilità che strutture possano evolvere per una funzione e poi essere indirizzate per un'altra del tutto differente. Si insinua ad esempio che le circa 30 proteine del flagello di un Batterio, potrebbero prima aver assolto ad altri compiti, e poi essere passate alla costruzione di un flagello, che ruota a 20.000 giri al minuto. La base di questo è che alcune proteine flagellari avevano in passato un ruolo diversissimo in membrane delle cellule batteriche; ma non può impressionare nessuno il fatto che in specie diverse vi possano essere - nel loro complesso biologico - delle proteine affini o uguali, oppure dei geni affini o uguali, quando la realtà fa vedere risultati fenotipici diversi. 

Riguardo al passaggio tra procarioti ed eucarioti si ipotizzano processi di endosimbiosi, cioè di Eurobatteri  (Procarioti) insediati dentro nuove cellule a formare i mitocondri; oppure di Cianobatteri (Procarioti), insediati a formare i cloroplasti, muniti di un loro cromosoma, di un apparato per la sintesi proteica, e di un apparato fotosinteico. Si ipotizza poi l'utilizzo di proteine simili agli istoni presenti in Archeobatteri termofili, per la protezione del DNA contro le temperature elevate di nuove cellule Eucarioti.

Queste idee si scontrano con assenze di prove di laboratorio (il cosiddetto preadattamento non ha corrispettivi in laboratorio), e con il fatto dell'improvvisa e universale entrata in campo delle cellule Eucariotidi, e della permanenza fino ad oggi dei Procarioti.

E' sintomatico della debolezza del pensiero degli autoevoluzionisti il ricorrere (Le Scienze - Scientificamerican - n. 446 ottobre 2005 pag.40) all'esempio del sistema del navigatore satellitare (Global Positioning System GPS), ora utile e migliorativo, ma che domani potrebbe essere necessario nella tecnologia di un automezzo. Un esempio, come chiunque può vedere, che è del tutto a favore del creazionismo: infatti sarà necessaria una mano esterna a rendere componente necessario il GPS in un automezzo.

 

Le nicchie ecologiche (segregazione)

 

L'evoluzionismo dice che le specie si evolvono, ma l'affermazione deve fare i conti con il fatto che invece le specie via via si sono estinte.

George Gaylard Simpson ha valutato che il totale delle specie che sono esistite dall’epoca dell’origine della vita (circa 3,8 miliardi di anni fa) fino ai giorni nostri, sia di circa 250 milioni. Di queste, il 97% si è estinto, quindi ne rimangono attualmente circa 7,5 milioni. Sono avvenuti infatti immani cataclismi lungo i millenni. Episodi di morte globale e repentina, tali da non dare tempo al sorgere di nuove specie secondo il dettato dell'autoevoluzionismo, sono avvenute. Gli evoluzionisti traggono partito da queste catastrofi per pensare alla produzione di nicchie protette per la formazione di una nuova specie. Secondo i neoevoluzionisti, le specie non possono nascere dal lento cambiamento del corredo genetico di un animale, che a poco a poco sfuma in un altro, come pensava Darwin, ma da mutazioni genetiche, e mutazioni genetiche casuali, dato il loro ateismo: gli autoevoluzionisti, infatti, dovrebbero introdurre il concetto di finalismo al quale corrisponde l'idea di progetto e quindi di Dio. Poi hanno osservato che per fare una specie ci sarebbe bisogno di un periodo di isolamento, proprio per sottrarla - contraddizione - alla grande opera della selezione naturale. Infatti la nuova specie si dovrebbe produrre dove ci sia poca concorrenza con quella d'origine, e quindi in una nicchia ecologica che abbia l'abbondanza alimentare giusta da non creare problemi di spartizione, e per giunta che esista inizialmente solo una specie, che deve essere vegetariana, perché altrimenti la nicchia diventerebbe un serraglio dal quale fuggire: un vero sognare. La nuova specie, sollecitata a prodursi dalle condizioni ambientali date dalla nicchia, deve giungere ad essere capace di nutrirsi nella nicchia ecologica di cibo diverso dalla specie iniziale, di fare una tana in modo diverso, fermo restando anche la capacità di reagire sessualmente in modo diverso, in modo da non avere lotte sessuali di selezione, e inoltre la nicchia dovrebbe essere blindata di fronte all'azione carnivora di specie che potrebbero giungervi alla ricerca di cibo. Con tutte queste condizioni, veramente sognate, non si avrebbero conflitti, e la nuova specie non verrebbe soppressa da quella iniziale, indubbiamente più estesa numericamente. Poi bisogna che la nicchia cessi, cioè la nuova specie esca dall'utero-nicchia e si estenda fuori, superando il confronto per il cibo con chi esce da altre nicchie-utero e così entrando nel ciclo di una selezione non protetta dalla nicchia. In fondo il discorso che i neoevoluzionisti hanno in mente è quello di uno zoologo che seleziona le galline, le incrocia, le separa, per ottenere una varietà - e lì sì che si ha una nicchia ecologica -, ma con l'errore di pensare che si produca una specie nuova. Sogno! Nelle nicchie ecologiche di un allevamento, con tutta l'arte di uno zoologo, non si producono nuove specie, ma solo varietà. E non si può dire che occorre del tempo, perché l'arte di incrociare varietà di animali, per produrre nuove varietà più vantaggiose, è conosciuta da millenni. E come mai gli autoevoluzionisti non hanno mai fatto in laboratorio una nicchia ecologica in tanti anni; una nicchia ecologica dove giocasse di tutto, radiazioni comprese? Non è stata fatta perché si sapeva che l'esito avrebbe distrutto le loro dottrine fondate sulle nuvole.

E' del tutto peregrina l'idea che nelle nicchie ecologiche ci possa essere stata un'accelerazione del processo evolutivo per una nuova specie tale da restare nei tempi dalle varie ere geologiche, poiché dovendo avvenire per piccole mutazioni si richiederebbero milioni di anni, e per milioni di anni è impossibile pensare che siano rimasti in essere tali ambienti protetti, dai quali sarebbero uscite circa 250.000 milioni di specie, a partire ogni volta da una popolazione di 10 o al massimo 1000 soggetti, come sarebbe necessario all'accumulo delle mutazioni. C'è chi teorizza che per avere una specie nuova in una nicchia occorrono 50.000 anni, credendo che sia un tempo breve, mentre è ancora lunghissimo per pensare al mantenimento stabile di una nicchia. Dato poi che le mutazioni genetiche, secondo i risultati di laboratorio, sono per la stragrande maggioranza decisamente svantaggiose, ne segue che le mutazioni nelle nicchie ecologiche per la maggior parte risulterebbero in svantaggio rispetto alla specie di partenza, e creerebbero rallentamenti al processo evolutivo pensato dagli autoevoluzionisti. Ma posta una mutazione vantaggiosa su di un soggetto, lo stesso soggetto in seguito potrebbe maturare mutazioni svantaggiose. La mano onnipotente della selezione naturale dovrebbe allora essere cosciente, intelligente, abile, nella scelta del migliore e nel proteggerlo, ma ugualmente non si avrebbe mai una nuova specie. In laboratorio, per quante mutazioni si siano indotte in un vivente con agenti chimici, raggi X, temperature alte e basse, scariche elettriche, non si è mai avuta, neppure lontanamente, una specie diversa.

La Drosophila melanogaster - il moscerino del mosto - è stata sottoposta a tutti gli esperimenti, ma nessuna mutazione indotta l'ha fatta diventare altro. Ali un po' più lunghe, occhi bianchi o rossi, peli lunghi o corti, zampe in numero di sei o di dodici, ecc., ma mai una nuova specie. E' interessante sapere che la Drosophila ha circa 1000 mutazioni spontanee, ma è sempre rimasta la stessa da circa 45-50 milioni di anni.