Il mito di Mitra o di Mithra

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Il mito di Mitra (Mithra) va collocato, secondo le indagini del grande studioso belga Franz Cumont (1868 - 1947), all'interno del dualismo iranico segnato dalla lotta tra Angra Mainyu (lingua avesta), o Ahriman (lingua medio persiano), produttore del male, e Spenta Mainyu lo spirito del bene: entrambi divinità prodotte da Ahura Mazda, il dio supremo.

Mithra in questa lotta aiuta Ahura Mazda nella distruzione del male. Questa impostazione di Franz Cumont rimase indiscussa per settanta anni, e ancor oggi esercita il suo fascino, ma ora una pubblicazione di grande valore di David Ulansey, professore di filosofia e religione al “California Institute of Integral Studies”, ha consegnato alla riflessione sul culto mitriaco nuovi importanti elementi, che lo libererebbero da radici iraniche, collocando la sua formazione in epoca ellenistica, anche se il nome di Mithra lo si ritrova nelle tradizioni antiche iraniche (persiane). David Ulansey ha individuato lo spunto germinativo del mito nella scoperta della precessione da parte dell'astronomo Ipparco di Nicea, detto anche di Rodi (circa 190 - 126 a.C), unitamente alle credenze dello stoicismo. Il professore della “California Institute of Integral Studies” ha lavorato, con originalissimi apporti, sulla componente astrologica del mito, già nota a Franz Cumont, ma non pare che si debba necessariamente abbandonare con ciò l'influsso iranico nella formazione del mito. Tanto più che si hanno chiari indizi che la precessione era nota ai Caldei prima che Ipparco la scoprisse.

Lo stoicismo, che è panteista, vedeva nelle stelle delle entità divine. Le stelle erano influenti circa gli avvenimenti terreni. Il Fato stellare condizionava gli uomini, così Mithra, essendo un dio con un potere capace di far ruotare tutto l'universo, spostando il punto equinoziale di primavera dalla costellazione del Toro, a quella dell'Ariete, non poteva che avere un dominio totale sugli influssi negativi stellari. La scoperta di Ipparco, ovviamente, era presentata nei termini coi quali poteva esprimersi un astronomo del tempo, e non con la chiara visione scientifica che si ha oggi della precessione.

(La precessione è una rotazione dell'asse terrestre attorno alla verticale, simile a quella che si ha in una trottola. Ciò è causato dalla forma della terra che non è perfettamente sferica, ma schiacciata ai poli, e dalle forze di gravitazione della luna e del sole, che agiscono sulla “dilatazione equatoriale” cercando di riportarla sul piano dell'ellittica. Ogni 25.800 anni si compie un giro della precessione, e così la posizione delle stelle della sfera celeste cambia lentamente di fronte ad un osservatore, con un moto che non è solo quello della rotazione quotidiana. La precessione non è perfettamente regolare a causa del fatto che la luna e il sole non si trovano sempre nello stesso piano, e si muovono l'una rispetto all'altro).

I calcoli di Ipparco davano la durata di un ciclo completo del movimento della struttura cosmica in 36.000 anni; oggi sappiamo che questo si ha in 25.920 anni, e che i punti equinoziali impiegano in media 2160 anni per attraversare ogni costellazione. Sappiamo che il punto dell'equinozio di primavera rimase nella costellazione del Toro dal 4000 al 2000 a.C., poi passò all'Ariete. L'equinozio di primavera, nel primo secolo d.C., si trovò spostato dall'Ariete ai Pesci, ma allora si pensava che il punto equinoziale di primavera fosse a 8° dall'Ariete, per cui con la velocità di un grado ogni 100 anni, come pensava la precessione Ipparco, ci sarebbero voluti altri 800 per uscire dall'Ariete.

Nella volta celeste vanno considerati l'equatore celeste, che è la proiezione nel cielo della circonferenza equatoriale della terra, e l'eclittica, o zodiaco, che è inclinata rispetto all'equatore celeste. I due cerchi, molto noti nell'antichità,  formano una X. Il fatto, chiaro per noi moderni, è che l'eclittica, che non è altro che la proiezione nella volta celeste dell'orbita della terra, trova l'equatore celeste in posizione inclinata rispetto a sé, essendo l'asse terrestre inclinato. I punti equinoziali (equinozio significa: “notte uguale”) si hanno quando la lunghezza del giorno è uguale a quella della notte, e precisamente quando il sole nel suo apparente movimento incrocia l'equatore celeste. Si ha così - per l'emisfero settentrionale - l'equinozio di primavera al 20 o 21 Marzo, e l'equinozio d'autunno al 22 o 23 settembre.

 

Il mito di Mithra, secondo David Ulansey, si sviluppò nell'area di Tarso, città che sotto Pompeo (106 - 48 a.C) diventò la capitale della Cilicia, e trovò la sua primaria divulgazione tra i pirati, regione sulla costa sud-orientale dell'Asia Minore.

I pirati della Cilicia erano assurti ad una potenza tale da contare circa 20.000 uomini, con più di un migliaio di navi, e avevano una forte alleanza con Mitridate “dono di Mitra” VI Eupatore “nato da nobile padre”, che aveva dato loro la prima organizzazione.

I pirati erano abilissimi naviganti ed esperti della volta stellare. Essi vennero a condizionare tutto il traffico commerciale del Mediterraneo. La loro apparizione sulle coste da depredare aveva un che di mitico: le vele delle navi erano dorate e i remi erano argentati. Vari i fattori che condussero alla formazione del mito, non ultimo il fatto che l'eroe Perseo era posto da Mitridate (re del Ponto 120 - 63 a.C.) alle origini della sua dinastia. L'eroe Perseo, era un figlio di Zeus avuto da Danae. Il dio si trasformò in una pioggia d'oro che raggiunse Danae tenuta segregata in una cella dal padre, Acrisio, re di Argo. Perseo, una volta morto, era stato trasformato nella costellazione relativa, precisamente sopra quella del Toro. La costellazione del Perseo si prestava perfettamente a raffigurare Mithra che uccide il toro. Questo il succo del brillante lavoro di David Ulansey.

 

Ci fu dunque un concerto di circostanze centrate nel fenomeno della precessione colto da Ipparco, recepito non scientificamente, ma miticamente, da un gruppo di stoici, che lo indirizzarono alla formazione del mito. Il mito pensò il passaggio dal Toro all'Ariete come operato da un giro dell'asse cosmico, dovuto ad un dio potentissimo, ancora sconosciuto.

 

 

Il mito fa nascere Mithra da un roccia, e ciò ha un preciso significato. La roccia è infatti presentata in alcuni mitrei (luoghi tenebrosi e privi di finestre, anche quando non erano collocati in luoghi sotterranei) avvolta dalle spire di un serpente (il tempo cosmico) il che vuol dire che Mithra ha un corpo formato dentro il seno della roccia, cioè della sfera materica terrestre. In un mitreo (Housestead), Mithra esce da un uovo di roccia. Egli emerge dalla roccia già fanciullo; nudo, ma con il cappello frigio sul capo (berretta conica con la punta in avanti). Esce con le braccia alzate, impugnando una daga e una fiaccola. La daga è per un'uccisione vittoriosa, che è venuto ad operare. La fiaccola è il segno che egli è portatore di luce, ma anche perché appartiene al mondo igneo delle stelle e ne può disporre, come si può disporre del fuoco di una fiaccola.

 

Il fanciullo ha freddo, ha fame, ma tuttavia il suo corpo non è omologabile a quello umano, la materia del quale è composto è materia astrale, imponderabile. La roccia ha fatto solo da grembo, da uovo, non gli ha dato la materia corporea. L'incarnazione - chiamiamola così - di Mitra non è affatto l'assunzione di una natura umana completa, anima e corpo, come nel caso dell'incarnazione del Verbo, ma di un corpo di materia mitica, al quale la divinità è unita come l'anima è unita al corpo. Le fantasiose nascite descritte nei miti sono funzionali a presentare una materia extra, per il corpo del dio. Gesù Cristo, nato da donna, ha assunto invece una natura umana identica alla nostra. Nella risurrezione il corpo di Cristo non ha cambiato la natura della sua materialità, benché reso immortale e glorioso dalla potenza dello Spirito Santo.

Mitra esce dalla roccia, dalla “prima madre” o “materia vergine”. Chi percorresse la via iranica e mettesse in campo Anahita, dea persiana della fertilità, per trovare una “madre vergine” per Mitra sarebbe del tutto fuori strada. Anahita è originariamente, nel mondo iranico, una dea delle acque che le dispensa da una sorgente posta nella regione delle stelle. Ardvi Sura Anahita significa "Umida-Forte-Pura". La divinità è una dea generatrice di fertilità, con la particolarità di possedere un'autofertilità veramente bizzarra, che le deriva dall'avere in sé, come proprio, anche il potere fecondante maschile; ma ciò ha un senso in quanto Ardvi Sura Anahita è una rappresentazione dell'acqua. Ardvi Sura Anahita venne anche identificata con la Istar babilonese, dea della fertilità con l'aspetto particolare di dea della lussuria. Nel culto ellenistico e romano venne a volte identificata con Iside, ma comunemente con Afrodite, che non è altro che la Istar babilonese. Anahita venne anche identificata a volte con la dea Atena.

 

La data della nascita di Mitra era al 25 dicembre, alcuni giorni dopo il solstizio d'inverno, che cade al 21 o 22 dicembre. Il solstizio “sole fermo” coincide con il giorno più corto dell'anno. Il sole da quel giorno riprende la sua ascesa percepibile tre o quattro giorni dopo; da qui la  data 25 dicembre. La festa del dio “Sol invictus” venne introdotta al 25 dicembre da Aureliano (214 - 275 d.C.); in seconda istanza la stessa data fu adottata anche per il dio Mitra, detto ugualmente “Sol invictus”.

Questa data la Chiesa l'assunse per Cristo dopo l'editto di Costantino (promulgato nel 313 a nome di Costantino il Grande, che allora era imperatore d'Occidente, e Licinio, imperatore d'Oriente, per porre ufficialmente termine a tutte le persecuzioni religiose e proclamare la neutralità dell'Impero nei confronti di ogni fede) sostituendo così la festa pagana del “Sol invictus”.

Non c'è mai stata una tradizione storica precisa circa la data della nascita di Cristo. Clemente Alessandrino (150 - 215) indicava due date: il 20 maggio o il 6 gennaio, quest'ultima, secondo le sue informazioni, era accettata dai più. San Cipriano (210 - 258) poneva la data al 28 marzo, mentre sant'Ippolito (170 - 235) indicava il 2 aprile. Non fu estranea nella datazione adottata l'idea corrente che l'equinozio primaverile, 25 poi 21 marzo, fosse il tempo dell'inizio della creazione del mondo, e che in questo tempo opportunamente fosse avvenuto il concepimento di Cristo, per cui contando nove mesi si arrivava al 25 dicembre; influì pure la data, colta in senso stagionale, del 6 gennaio. (Cf. "Enciclopedia Cattolica", vol VIII, pag 1667, Citta del Vaticano, 1952; editore Sansoni, Firenze).

Ma si può andare oltre queste valutazioni, partendo dallo studio di Shemarjahu Talmon, dell'Università Ebraica di Gerusalemme. Lo studioso, sulla base dei documenti di Qumran e del calendario dei Giubilei (apocrifo ebraico della fine del sec. II a.C. che segue il calendario solare), è riuscito a individuare lo svolgersi settimanale dell'ordine dei 48 turni sacerdotali nel tempio. I risultati dello studio si trovano nell'articolo "The Calendar Reckoning of the Sect from the Judean Desert. Aspects of the Dead Sea Scrolls", in "Scripta Hierosolymitana", vol. IV, Jerusalem 1958, pp. 162-199”. Lo studio dice che il "turno di Abia (Ab-Jah)", prescritto per due volte l'anno, ricorreva la prima volta, dall'8 al 14 del terzo mese del calendario, e la seconda volta dal 24 al 30 dell'ottavo mese del calendario. Cioè nell’ultima decade di settembre.
Ora Zaccaria apparteneva alla classe di Abia, che era l’ottava classe (1Cr 24,10; Lc 1,5). Le "classi" erano 24 e si avvicendavano in ordine costante nel servizio sacerdotale nel santuario da “sabato a sabato”, per due volte l'anno.
A questo punto va considerata la tradizione cristiana delle Chiese africane che celebrava da data antichissima, come riferisce sant’Agostino, la nascita di Giovanni Battista al 24 giugno. Per cui andando a ritroso per nove mesi si giunge al 23/25 settembre, considerando anche la tradizione delle Chiese d’Oriente, che fanno memoria del concepimento di Giovanni Battista fra il 23 e il 25 settembre. Con ciò l’annuncio dell’angelo Gabriele a Zaccaria va collocato nel secondo turno di servizio sacerdotale nel tempio.
Considerando che l’evangelista Luca ci dice che Maria ebbe l’annuncio dell’angelo Gabriele quando Elisabetta era al sesto mese di gravidanza (Lc 1,26), quindi in marzo, si ha che la nascita di Gesù va collocata verso la fine di Dicembre. La data del 25 Dicembre si presenta così non soltanto come simbolica, il che avrebbe già un suo valore, ma come punto storico sicuro nel cui stretto intorno va collocata la nascita di Cristo.

La presenza di pastori alla nascita di Mitra è una tarda aggiunta al mito, non coerente con esso. Infatti i pastori, di per sé, subentrano con l'avvento dell'era dell'Ariete, e le pecore - animale domestico - si hanno dopo l'uccisione del toro. Tale presenza in ogni caso è ben differenziata da quella del Vangelo di Luca,  che narra l’episodio, dove i pastori giungono a nascita avvenuta, mentre nel mito sono presenti alla nascita e addirittura aiuterebbero Mitra ad uscire dalla roccia. Dai resti archeologici del culto a Mitra si individuano dei personaggi offerenti al dio (si congettura soltanto) oro, incenso e mirra, ma essendo che questi doni nel Vangelo hanno un contenuto di dichiarazione di fede nell'identità dell'infante: oro al re, incenso alla divinità, mirra per la sepoltura della vittima sacrificale, appaiono estranei al mito, che presenta Mitra come il sacrificatore del toro e che sfugge alle insidie della morte che l'Oceano gli lancia addosso. Va detto che questi elementi comparvero nel mito un secolo dopo la formazione dei Vangeli. Celso, un filosofo neoplatonizzante del primo secolo d.C., avversario dichiarato del cristianesimo, diceva che i cristiani avevano preso le loro realtà dal culto di Mitra, ma tale affermazione era del tutto gratuita. E' poi una mistificazione dei nostri giorni guardare i 12 segni zodiacali, che compaiono nei mitrei, come i 12 apostoli di Cristo, concludendo che il cristianesimo ha copiato in ciò dal mitraismo. Su queste particolari tematiche è uscito un brillante libro di Ruggero Iorio, professore di archeologia cristiana ad Assisi e collaboratore di varie riviste scientifiche. Riguardo ai segni rituali certamente il culto di Mitra aveva abluzioni, unzioni, e un banchetto con pane e acqua, forse vino, ma questi sono segni dell'uomo e sono comuni. Cristo entrando nella storia umana non poteva che assumere questi segni, ma costituendo i sacramenti diede ad essi il significato di segni efficaci della grazia, vissuti nella fede in lui. Cristo, del resto, i segni sacramentali li ha derivati dal mondo ebraico: abluzioni, unzioni (dei re e dei sacerdoti), il pane azzimo dell'uscita dall'Egitto, la manna del deserto, i pani della proposizione nel tempio, il pane e il vino offerti da Melchisedech ad Abramo.

Il dio Mitra scocca poi una freccia contro una roccia e da essa ne esce acqua, segno della conservazione della terra dalla siccità. Poi Mitra entra in confronto con il dio Helios, col quale stabilisce alleanza e anzi ne ottiene la sottomissione. Poi cattura un toro simbolo delle forze oscure e selvagge, dell'opacità e pesantezza della materia, sulla quale domina la costellazione del Toro. Per portare il toro dentro una grotta, cioè nel nucleo profondo della materia, per operare una svolta cosmica dall'interno, Mitra incontra molte difficoltà suscitate dal dio cattivo Ahriman (Angra Mainyu in medo-persiano), secondo la ricostruzione-interpretazione del mito fatta da Franz Cumont. Alla fine Mithra riesce a uccidere il toro. All'uccisione è presente un cane (Il cane in oriente è spesso simbolo di  realtà bassa e impura. La divinità infernale mesopotamica Lilith era detta “la cagna nera”; si muoveva su di un carro trainato da cani latranti. Nella Bibbia “cane” è un epiteto dispregiativo. Cf. Dt 23,17-18; Ps 21,17; Is 56,9; Mt 7,6; Mc 7,24; Fil 3,1-3; Ap 22,10-15). Presenti pure un serpente e uno scorpione, e un corvo, visto come simbolo di morte per il suo colore nero. Questi animali sono sotto l'influsso delle relative costellazioni. Essi cercano di impedire che dal toro ucciso ne emerga la novità che Mitra vuole compiere e, pertanto, tentano di svuotare la potenza di fertilità che l'animale possiede, e che Mitra vuole esaltare esercitandovi il suo potere. La loro azione ostacolante non ha successo e il bene si riversa sulla terra. Seguendo la lettura di Franz Cumont, dal toro ucciso scaturiscono tutte le erbe buone, medicinali e, in particolare, dal midollo ne esce il grano, mentre dal sangue ne esce la vite datrice del vino. Dal seme del toro ucciso ne escono tutti gli animali domestici utili all'uomo. In tal modo si forma una sfera del mondo resa buona per l'uomo. Il fatto che il mito consideri l'equinozio di primavera, quindi il momento del riprendersi della vegetazione, ha  una stretta correlazione con i beni dati all'uomo.

La tauroctonia la si ritrova raffigurata nel cielo lungo l'equatore celeste al momento in cui gli equinozi erano in Toro e Scorpione (costellazione equinoziale d'autunno). In successione si trovano il Toro, il Cane Minore, l'Idra (serpente) la Coppa (entra nel mito mitriaco successivamente nella regione Reno-Danubiana, poiché originariamente si hanno solo figure animali), il Corvo, lo Scorpione. Chiaro che i formatori del mito hanno fatto collimare la struttura celeste con la tauroctonia. La struttura celeste ha costruito la tauroctomia. Tutto torna, sopra il Toro c'è la costellazione del Perseo, che pienamente si adatta a Mitra, col berretto frigio, e l'atteggiamento vincente sul Toro.

 

La vittoria sul toro, condotto nella grotta e la successiva formazione delle cose buone per l'uomo, è festeggiata da Mithra e da Helios con un banchetto. Quindi l'Oceano cerca di sopraffare Mithra, ma questi gli sfugge salendo sul carro del Sole. Mithra non muore affatto. Seguendo un percorso logico, Mithra giunto in cielo, al vertice del cosmo, sposta la volta celeste facendo ruotare l'asse cosmico; poi, trasformandosi in costellazione, si pone vincitore perenne sopra il Toro. Egli diventa il “Sol Invictus”, cioè il centro che mantiene l'universo in posizione di bontà verso l'uomo.

Chi volesse ipotizzare una morte e risurrezione di Mitra, affidandosi ai testi in lingua pahlavi (iranica) del Mazdeismo, deve sapere che gli studiosi, tra i quali Joan P. Couliano, discepolo di Mircea Eliade, hanno ben considerato che, quanto alla risurrezione alla fine del mondo presentata dai testi pahlavi, e all'escatologia si ha dipendenza dall'influsso del cristianesimo, ciò, sia per la data di composizione dei testi, sia perché tali temi non trovano corrispondenze nei testi antichi dell'Avesta.

Nella rappresentazione della tauroctonia compaiono due figure: Cautes e Cautopates. Il primo ha in mano una fiaccola alzata, il secondo abbassata: sono simboli dell'aurora e del tramonto. I due hanno le gambe incrociate, ad indicare la X formata dall'equatore celeste e dall'eclittica.

Il culto del dio Mithra è il fatto principale del mitraismo, ma accanto vi sono altre divinità. In particolare, nell'ambito delle divinità planetarie, risalta il dio Saturno assimilato al dio Kronos e rappresentato in forma leontocefala. Forte l’incidenza del dio Helios (Sole).

Le anime che scendono dal cielo, per un imprecisato peccato celeste, e assumono un corpo, trovano in Mitra la possibilità di non essere sballottate dal Fato, dalle Moire. Egli è il salvatore che le libera dalle forze oscure e ineluttabili del Fato. Egli, inoltre, permette loro di giungere purificate, prima attraverso un percoso iniziatico costituito da sette gradi e sotto la protezione di sette divinità (Corox: corvo, protettore Mercurio; Nymphus: sposo, protettore Venere; Miles: soldato, protettore Marte; Leo: leone, protettore Giove; Perses: persiano, protettore la Luna; Heliodromus: corriere del Sole, protettore il Sole; Pater: padre, protettore Saturno) e poi un percorso tra i pianeti nelle regioni celesti, per giungere allo stato di divinizzazione.

 

Il dio darà poi agli iniziati in terra la protezione dai mali dell'influsso del Fato, e la prosperità dei beni.

Mitra divenne il protettore dei naviganti che affrontavano le incertezze dei mari. Il protettore dei militari, dando loro vittoria nelle battaglie.

 

 

I luoghi di culto, i mitrei, erano sempre in luogo sotterraneo, oscuro, simboleggiando la caverna dell'uccisione del toro. Il mitreo aveva sempre come fatto centrale la raffigurazione dell'uccisione del toro da parte del dio Mitra, che indossa un mantello stellato, a significazione della sua realtà di dominatore stellare. Presente costantemente il cerchio zodiacale attorno al dio.

L'iniziazione dell'adepto comprendeva l'essere messo dentro una vasca (fossa sanguinis) nella quale colava il sangue di un toro ritualmente ucciso, a ricordo del gesto di Mitra. All'iniziazione mitraica non venivano ammesse le donne.

Nei mitrei si teneva un banchetto di solidarietà tra gli iniziati che aveva come cibo pane ed acqua. La presenza del vino non è sicura, ma non farebbe alcun problema, poiché attingerebbe agli usi dei re babilonesi e persiani che usavano lasciarsi andare al vino, (Cf. Ne 2,1; Est 1,10; 7,2) loro bevanda nazionale.

Tutto avveniva nel segreto. Segreta doveva rimanere la dottrina, le pratiche dell'iniziazione.

Mitra era anche il dio della solidarietà, della compattezza, necessaria negli eserciti per giungere alla vittoria. Mitra è una parola indo-iranica che significa: “patto, accordo, contratto, giuramento”, e anche “amicizia”.

Come protettore dei soldati, Mitra era rappresentato su di un carro con armi in mano, in atto di combattere. Era un dio militare e le legioni romane contribuirono a diffonderne il culto.

Chi volesse ipotizzare una morte e risurrezione di Mitra, affidandosi ai testi in lingua pahlavi (iranica) del Mazdeismo, deve sapere che gli studiosi, tra i quali Joan P. Culiano, discepolo di Mircea Eliade, hanno ben considerato che, quanto alla risurrezione alla fine del mondo presentata dai testi pahlavi, e all'escatologia si ha dipendenza dall'influsso del cristianesimo, ciò, sia per la data di composizione dei testi, sia perché tali temi non trovano corrispondenze nei testi antichi dell'Avesta.

Bibliografia

Roger Beck: “Planetary Gods and Planetary Orders in the Mysterieres of Mithras”, London: Brill, 1988.

Franz Cumont: “The Mysteria of Mithra”, New York: Dover, 1956.

Richard Gordon: “Image and Value in the Greco-Roman World”, Aldershot: Variorum, 1996.

Mithraic Studies: “Proceedings of the First Intaernational Congress of Mithraic Studies”, Manchester U. Press, 1975.
Joan P. Culiano in collaborazione con H. S. Wiesner (dell'istituto lingue orientali Università di Chicago):
Encicolpedia tematica aperta
, volume Religioni”, ed. Jaca Book, Milano, 1992, pag. 374.

Ruggero Iorio: “Mitra. Il mito della forza invincibile”, ed. Marsilio, Venezia, 1998.

David Ulansey: “I Misteri di Mithra”, ed. Mediterranee, Roma, 2001.

Enciclopedia delle Religioni”, Vallecchi editore, Vol VI, Firenze, 1978. Vol. IV, 542.

Sulla precessione: http/it.Wikipedia.org/wiki/precessione_degli_equinozi

 

Molti dati importanti sul mitraismo, che si affiancano ai reperti archeologici (scritte, effigi), ci sono giunti da autori cristiani. Essi sottolinearono la diversità profonda tra il cristianesimo e il mitraismo. Così san Gerolamo (da lui conosciamo i gradi dell'iniziazione mitraica: Epist. CVII, ad Laetam), sant'Agostino, Tertulliano, Firmico Materno, san Gregorio Nazianzeno, ecc.