Vangelo secondo Giovanni
Vangelo secondo Giovanni, testo e commento
       
(15,1-11)

La vite e i tralci
15 1 "Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
9
Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11 Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
 
Io sono la vite vera”. Israele è stato paragonato dalla Scrittura ad una vigna dai vitigni pregiati, genuini, posti vicino alle acque, rigogliosa per i suoi tralci che arrivavano fino al mare (Ps 79,80s; Is 5,2; Ger 2,21; Ez 19,10; Os 10,1). L’immagine della vite è anche usata per indicare il sapere di un popolo (Dt 32,32). L’immagine della vite e dei tralci è usata anche per tratteggiare la sapienza di Dio (Sir 24,17): “Io come vite ho prodotto splendidi germogli”.
Il tema della vite era presente nella decorazione della porta del tempio, vero e proprio. Giuseppe Flavio (Guerra Giudaica V, 210) ci ha lasciato scritto: “Sopra (la porta) vi erano delle viti d’oro da cui pendevano grappoli dell’altezza di un uomo”.
Israele era così la vigna del Signore fatta di viti scelte diventate tali per la sapienza data da Dio. Il tempio era la rappresentazione plastica della sapienza di Dio.
Gesù con una dichiarazione magistrale afferma che lui è la vera vite. Il tempio, centro del culto e della sapienza di Israele (Sir 24,10), sottintendeva lui, ma ora tutto ciò è diventato buio perché lui, visto da Abramo (8,56), annunciato Mosè (Dt 18,15s) e dai profeti, è rifiutato e sarà messo a morte.
Ma Gesù non parla solo di sé quale vera vite, ma anche dei tralci, perché anch’essi sono vite. I tralci procedono dal tronco e ricevono dal tronco la linfa. Così la Chiesa procede da lui e riceve da lui la linfa dello Spirito Santo, che egli ha ottenuto per lei dal Padre.
Il Padre mio è l’agricoltore”. L’agricoltore divino che ha piantato (inviato e dato) la vite (Cristo) nel campo del mondo, opera sui tralci, che uniti alla vite sono essi stessi vite.
Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”. Se non porta frutto il tralcio viene tagliato dall’agricoltore divino, perché parassita. Se invece porta frutto il tralcio viene potato perché ne porti ancora di più. Il tralcio parassita simboleggia quanti restano formalmente con Cristo per finalità terrene; il Padre allora si ritira da loro (li taglia) lasciando che essi compiano ciò che vogliono: seccarsi completamente. L’uomo è sempre lasciato libero. Dio non agisce violando la libertà, perché sono nella libertà c’è l’amore.
Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato”. I discepoli hanno creduto alla sua parola e quindi in lui e sono perciò, nella rigenerazione operata nella lavanda dei piedi, tralci vivi uniti a lui (13,10).
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci”. Il tralcio riceve la linfa dalla vite e perciò non può far frutto da se stesso. Gesù è la vite e credenti in lui sono i tralci. Gli apostoli sono perciò invitati a rimanere nella vite, cioè nell’unione con lui.
Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. I tralci ricevono la capacità di produrre dalla vite, per cui Gesù dice “io in lui”. Ma i tralci non sono soggetto passivo perché possono produrre solo se restano in lui.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”. Le parole del Signore rimangono quando sono vissute. Non rimarrebbero se fossero solo imparate a memoria, perché esse si comprendono nella volontà di viverle.
Il Padre non è geloso o avaro, ma è glorificato dal nostro portare frutto. Il frutto, i frutti, sono il risultato dell’amore che resta nelle difficoltà perché reso forte e autentico dall’obbedienza alla parola. Il Padre desidera che “diventiate miei discepoli”, cioè miei imitatori, poiché Gesù è il Maestro che insegna con le azioni e con le parole.
Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano”. Chi si separa da Cristo entra nella morte e perde anche quel po’ che gli rimane di umano (Mt 13,12) diventando secco, e infine viene gettato nel fuoco della dannazione eterna.
Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore”. Il motivo altissimo per cui i discepoli sono invitati a rimanere nel suo amore è che Gesù li ha amati senza misura, come il Padre ha amato lui. L’amore all’amato non è disgiunto dall’obbedienza alla volontà dell’amato. I discepoli rimarranno in lui se osserveranno i suoi comandamenti, così come lui rimane nell’amore del Padre osservando i comandamenti del Padre, cioè accettando tutti gli eventi insiti nella missione affidatagli dal Padre fino alla croce. Così l’amore di Gesù per il Padre include l’amore salvifico per gli uomini, secondo il volere del Padre. L’amore dei discepoli per Gesù include l’amore in lui verso tutti gli uomini perché il suo è comandamento di carità (13,34). “I comandamenti”, sono quelli antichi, già centrati nell’amore, ma resi nuovi dalla perfezione da lui portata (Mt 5,17). Gesù non chiede l’obbedienza a un codice di leggi, ma alle sue parole di luce e di amore, a lui stesso; come lui ha obbedito al Padre.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. La gioia di Gesù è nella carità, e questa gioia rimane anche nel dolore, poiché il dolore, accettato nella sapienza della croce (1Cor 1,17s), è invito ad una maggiore adesione d’amore. Gesù vuole parteciparci la sua gioia, che sarà piena con l’amore alla croce per portare amore tra gli uomini (16,22; 17,13; 1Gv 1,4; 2Gv v,12; 1Pt 1,6).