Salmo 142 (143) Preghiera nella tribolazione

 

Salmo. Di Davide

 

Signore, ascolta la mia preghiera!
Per la tua fedeltà, porgi l’orecchio alle mie suppliche
e per la tua giustizia rispondimi.

Non entrare in giudizio con il tuo servo:
davanti a te nessun vivente è giusto.

Il nemico mi perseguita,
calpesta a terra la mia vita;
mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi
come i morti da gran tempo.

In me viene meno il respiro,
dentro di me si raggela il mio cuore.

Ricordo i giorni passati,
ripenso a tutte le tue azioni,
medito sulle opere delle tue mani.

A te protendo le mie mani,
sono davanti a te come terra assetata.

Rispondimi presto, Signore:
mi viene a mancare il respiro.
Non nascondermi il tuo volto:
che io non sia come chi scende nella fossa.

Al mattino fammi sentire il tuo amore,
perché in te confido.
Fammi conoscere la strada da percorrere,
perché a te s’innalza l’anima mia.

Liberami dai miei nemici, Signore,
in te mi rifugio.

Insegnami a fare la tua volontà,
perché sei tu il mio Dio.
Il tuo spirito buono
mi guidi in una terra piana.

Per il tuo nome, Signore, fammi vivere;
per la tua giustizia, liberami dall’angoscia.

Per la tua fedeltà stermina i miei nemici,
distruggi quelli che opprimono la mia vita,
perché io sono tuo servo.

 

Commento

 

L'orante è molto probabilmente un Giudeo rimasto in Palestina al tempo della deportazione a Babilonia.

Egli è disorientato e domanda a Dio che gli indichi “la strada da percorrere”, e quindi lo fortifichi per fare la sua volontà, ora che Gerusalemme è distrutta e non c'è più il tempio e quindi il culto.

Peccatore, domanda a Dio di avere clemenza: “Non entrare in giudizio con il tuo servo: davanti a te nessun vivente è giusto”.

Egli chiede di avere pace nel cuore e di giungere ad una vita che sia protetta dalle incursioni dei predatori: “Il tuo spirito buono mi guidi in terra piana”.

Il nemico è soprattutto Edom, dal quale partono scorribande devastatrici di quel po' che è rimasto in Palestina e di quel po' che i  Giudei rimasti riescono a coltivare. La terra è ormai incolta, la vita difficile, ridotta allo stremo, al di sotto del livello di sussistenza: “Il nemico mi perseguita, calpesta a terra la mia vita; mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da gran tempo“.

L'avvicinarsi di crudeli predoni lo sconvolge: “In me viene meno il respiro, dentro di me si raggela il mio cuore".

Egli tuttavia non cede ricordando “i giorni passati”, cioè la liberazione dall'Egitto, l'alleanza, l'ingresso nella Terra Promessa, l'apogeo di Gerusalemme sotto Davide e Salomone.

L'angoscia che lo attanaglia si smorza nella fiduciosa preghiera: “Rispondimi presto, Signore: mi viene a mancare il respiro. Non nascondermi il tuo volto: che io non sia come chi scende nella fossa".

Egli è pieno di fede e fa appello alla giustizia di Dio, affinché lo liberi dall'angoscia, e disperda chi lo opprime: “per la tua giustizia, liberami dall’angoscia...”.

La strada da percorrere” è Cristo; egli ci insegna il volere di Dio e come si compie il volere di Dio. Egli è il Buon Pastore che ci guida “in terra piana”, donandoci pace e gioia nell'intimo del cuore.