Salmo 38 (39)  Preghiera nella malattia

 

Al maestro del coro. A Iedutùn. Salmo. Di Davide

 

Ho detto: “Vigilerò sulla mia condotta
per non peccare con la mia lingua;
metterò il morso alla mia bocca
finché ho davanti il malvagio”.

Ammutolito, in silenzio,
tacevo, ma a nulla serviva,
e più acuta si faceva la mia sofferenza.

Mi ardeva il cuore nel petto;
al ripensarci è divampato il fuoco.
Allora ho lasciato parlare la mia lingua:

“Fammi conoscere, Signore, la mia fine,
quale sia la misura dei miei giorni,
e saprò quanto fragile io sono”.

Ecco, di pochi palmi hai fatto i miei giorni,
è un nulla per te la durata della mia vita.
Sì, è solo un soffio ogni uomo che vive.

Si, è come un’ombra l'uomo che passa.
Sì, come un soffio si affanna,
accumula e non sa chi raccolga.

Ora, che potrei attendere, Signore?
È in te la mia speranza.

Liberami da tutte le mie iniquità,
non fare di me lo scherno dello stolto.

Ammutolito, non apro bocca,
perché sei tu che agisci.

Allontana da me i tuoi colpi:
sono distrutto sotto il peso della tua mano.

Castigando le sue colpe
tu correggi l'uomo,
corrodi come un tarlo i suoi tesori.
Sì, ogni uomo non è che un soffio.

Ascolta la mia preghiera, Signore,
porgi l'orecchio al mio grido,
non essere sordo alle mie lacrime,
perché presso di te io sono forestiero,
ospite come tutti i miei padri.

Distogli da me il tuo sguardo:
che io possa respirare,
prima che me ne vada
e di me non resti più nulla.

 

Commento

 

Il salmista ha fatto il fermo proposito di essere controllato nell’agire e nel parlare mentre l’empio gli sta dinanzi.

Il salmista aspettava che Dio umiliasse l’empio colpendolo, e invece eccolo felice e forte, mentre lui si trova costretto a tacere, senza riuscire con ciò ad evitare la sua azione malvagia: “ma a nulla serviva, e più acuta si faceva la mia sofferenza

Il cuore del salmista è oppresso e tenta di reagire con l’ira e il rancore, ma lui lo domina. Egli chiede a Dio umiltà; chiede la consapevolezza di quando sia fuggente la vita di ogni uomo si stampi nel profondo della sua coscienza: “Si, è solo un soffio ogni uomo che vive. Si, è come un'ombra l’uomo che passa”.

La pace avanza nel suo cuore e chiede di essere liberato da tutte le sue colpe che ha commesso nell’agitazione del suo cuore, e vede bene che senza l’aiuto di Dio finirà per cadere nell’infedeltà a Dio ed essere così “scherno dello stolto”.

Egli chiede di essere umile nelle umiliazioni; mite di fronte alle prepotenza.

Perché presso di te io sono forestiero, ospite come tutti i miei padri”. Il salmista riconosce la sovranità universale di Dio. Egli non considera di essere il padrone assoluto della terra che abita. Dio ha dato al suo popolo una terra dove abitare, ma tale terra non può diventare sua in assoluto, poiché in assoluto è solo di Dio. Il popolo la possiede, ma come un forestiero o un ospite che abita nella proprietà di un altro. Nel libro del Levitico si legge (25,23): “Perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti”. Ciò corregge il pensiero dell'uomo di ritenersi il proprietario assoluto della sua terra, tanto da considerare come un essere inferiore chi non possiede beni, ma ciò non è perché il proprietario assoluto della terra è Dio,  e Dio vuole che i beni abbiano una destinazione universale.
Il salmista si sente veramente a un passo dalla rovina, un castigato da Dio, ma continua la sua preghiera considerando con insistenza che “
ogni uomo non è che un soffio”, e che perciò non deve preoccuparsi di ribaltare l’empio, che sarà ribaltato da Dio, ma piuttosto di essere umile davanti a Dio perché anche egli non è che un “soffio”.
Il salmista ha capito: quando feriti cerchiamo di piegare gli altri, di umiliarli, gli altri piegano noi, perché volendo farci giustizia da noi stessi, ci priviamo dell’intervento di Dio.