Commento

 

Il libro di Rut è un vero gioiello della letteratura biblica. Lo pervade un afflato poetico, un senso dell’umano, che tratteggia con finezza i vari personaggi mettendo in luce i loro sentimenti di fedeltà, di amicizia, di correttezza e di fede.

Il libro certamente fu originato dalla presentazione della assoluta legittimità dei natali del casato di Davide, vista la presenza di Rut, una moabita. Ma il testo non ha nessun tono polemico, neppure remoto; la storia di Rut è tanto limpida e lineare che si difende da sé: nulla di illecito, nulla da nascondere, solo una meravigliosa storia esemplare, dai toni commoventi.

Dio vi compare nel suo carattere universale. Egli dona aiuto a tutti gli uomini, e provoca e permette circostanze dolorose per creare situazioni di vita. Rut riceve la fede in Jahwe proprio per le difficoltà causate da una carestia in Israele che costringe una famiglia, come altre, ad andare nel territorio di Moab per avere sostentamento. Si è al tempo dei Giudici, e la carestia è un castigo di Dio per le molte contaminazioni di Israele con i culti pagani, ma ecco che una donna pagana si stacca dai suoi dei, dalla sua terra, dai suoi parenti, e sceglie il Dio d’Israele senza nessun opportunismo, sulla spinta dell’affetto verso la suocera Noemi, che le ha dato testimonianza del Dio di Israele, del Dio vero e unico, creatore di tutto, la cui legge è legge d’amore. E la giovane Rut si muove docilmente sotto il consiglio di Noemi, che la invita a dar luogo alla legge del levirato (Cf. Gn 38,7-26; Dt 25,5-10) con Booz, il proprietario che le ha dimostrato commossa attenzione vedendola curva a spigolare un po’ di orzo sotto il sole.

Booz, ricco proprietario, si presenta come un grande onesto, pieno di prudenza nel considerare che prima di lui c’è un altro che ha il diritto di levirato su Rut, e correttamente lo invita davanti a testimoni a considerare la sua precedenza. Un obbligo molto blando nel caso specifico perché sia Booz che l’altro non erano cognati né di Noemi né di Rut; ma la questione sorgeva per un’estensione dell’obbligo. Noemi, rimasta vedova con due figli, i quali ben presto erano morti senza lasciare eredi, aveva lei, per prima, il favore dato dalla legge di avere una discendenza che perpetuasse il nome del marito e ne tramandasse l’eredità. Ma Noemi non considera questo diritto e mette avanti Rut quando vede che Booz ha un interesse per lei. Così il matrimonio tra l’attempato Booz e la giovane Rut appare non come il puro compimento di un dovere legislativo, ma come un evento d’amore.

Dalla loro unione nacque Obed, che fu il padre di Iesse, padre di Davide.

La data in cui venne scritto il testo è stata oggetto di molte discussioni e praticamente sono state presentate date che vanno dal tempo di Davide e Salomone a quello di Neemia, nel postesilio.

Ma forse il libretto ha avuto un nucleo iniziale al tempo di Davide e di Salomone, per dare ragione della piena legittimità del loro casato, nel quale era coinvolto il futuro Messia; per poi ricevere un’amplificazione nel postesilio, sull’onda dell’attenzione al quotidiano familiare di cui è grande interprete il libro di Tobia.