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		Testo e commento 
		 Capitolo   
		
		1   
		2   
		3  
		4       
		 
		
  Di Gioele figlio di Petuèl non conosciamo altro che il suo testo e che era della tribù di Giuda.
		 Si è pensato che fosse un addetto al Tempio quale levita, ma è più coerente con il suo testo pensarlo 
		accanto al Tempio, poiché oltre a riconoscere il valore cultuale dei sacerdoti, li invita, come persona esterna, al pentimento e alla penitenza.
		 L’attività di Gioele è da porsi nel dopo esilio, dopo la ricostruzione del Tempio (515). 
		 La caduta di Gerusalemme (587-586), le deportazioni Assiro-Babilonesi, la perdita della sovranità monarchica, sono eventi del passato (4,1-3.17); la citazione dei greci - 
		figli di Javan - è quella di un popolo ancora lontano (4,6). 
		 Si parla di un ritorno da una deportazione e di una ricomposizione delle sorti di Giuda e di Gerusalemme (4,2), ma non è l’orizzonte immediato di Gioele, quale sarebbe se avesse profetato al tempo della monarchia, della quale non fa menzione. Gioele parla solo del Tempio e del popolo. 
		 L’attività di Gioele è posta dagli studiosi tra il 400 e il 350 dopo la ricostruzione del Tempio e prima dell’avvento del dominio di Alessandro Magno in Palestina (circa 330 a.C.).
		 Israele, ritornato dall’esilio, ridotto ormai alla sola tribù di Giuda, aveva ricostruito il Tempio (Esd 4,1), ma, pur con ciò, c’era la corruzione di matrimoni, vietati, con donne pagane (Eds 9,1), alla quale si diede un argine.
Così in genere il popolo pensava a darsi una buona sistemazione di vita.  L’andamento morale era molto mediocre, e qui si colloca l’azione di Gioele.
		 Essa prende il via da una straordinaria invasione di locuste, portatrice di desolazione e di fame (1,2-12).
		 L’invasione di locuste non fu l’unica, poiché si parla di più annate compromesse (2,25) 
		dalle cavallette, dalle locuste, dai bruchi, dai grilli (probabilmente le ninfe delle cavallette), e, inoltre, dalla siccità e da piogge tali che fecero marcire i semi sotto le zolle. 
		 La difesa dalle cavallette era fatta di fuochi, di rumori con battitura di recipienti di rame, con grida e colpi di rami: tutto fu inutile.
		 Le calamità appaiono come provenienti dalla privazione negli ecosistemi della provvidenza di Dio, quale era promessa nell’Alleanza (Es. 34,6; Lv 26,3s; Dt 4,40; 28,1s). Il vivere l’Alleanza portava invece ad avere le abbondanti benedizioni di Dio (Lv 26,14s; Dt 4,26; 26,14). 
		 Tali sventure dovevano portare al pentimento il popolo e i sacerdoti, per evitare, nella prospettiva futura, un’impressionante azione guerriera dai tratti apocalittici, che avrebbe colpito non solo la Giudea, ma anche i popoli vicini (2,6). 
		 È il principio dell’intensificarsi del castigo correttivo (Cf. Lv 26,18.23).
		 Sarebbe giunto il giorno del Signore (1,15; 2,11), cioè il giorno della giustizia, della vittoria di Dio contro la superbia di Israele, e delle genti limitrofe.
		 Senza conversione e penitenza, il futuro sarebbe stato ben più oscuro dell’invasione delle locuste.
		 Ma, il Signore, sempre fedele all’Alleanza, avrà di nuovo benevolenza per il suo popolo pentito (2,18-27).
		 Nel futuro ci sarà un tempo nuovo (Cf. Nm 11,29), che Mosè desiderò (Nm 11,28); sarà il tempo messianico dove Israele, regno di sacerdoti (Es 19,6), sarà anche popolo profetico, nell’unica Chiesa - 
		popolo regale, sacerdotale e profetico -, aperta a tutte le genti. Ciò per la discesa dello Spirito di Dio. Sarà un evento, che Pietro identificherà formalmente con la Pentecoste (At 2,16). 
		 Gioele si può definire il profeta della Pentecoste, oltre che della penitenza.
		 Ci sarà un giorno del Signore, un giorno estremo di intervento della giustizia del Signore, che non sarà più contro Israele, che verrà a far parte della Chiesa (Rm 11,26), ma contro tutti i nemici che combattono la Verità.
		 La composizione è unitaria e non la somma di due autori e neppure di due tempi di composizione.
 
		 
		1
		1 Parola del Signore, rivolta a Gioele, figlio di Petuèl. 
		    Invito a ricordare
			
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				2 Udite questo, anziani, 
 porgete l’orecchio, voi tutti abitanti della regione. 
 Accadde mai cosa simile ai giorni vostri 
 o ai giorni dei vostri padri? 
 3 Raccontatelo ai vostri figli, 
 e i vostri figli ai loro figli, 
 e i loro figli alla generazione seguente. 
 4 Quello che ha lasciato la cavalletta l’ha divorato la locusta; 
 quello che ha lasciato la locusta l’ha divorato il bruco; 
 quello che ha lasciato il bruco l’ha divorato il grillo. 
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		  Il profeta, vista la drammaticità unica dell’invasione di locuste che aveva prodotto sbalordimento e fame, chiede che sia ricordato dai padri ai figli e dai figli ai loro figli, come memento per non offendere più il Signore.  
		
		  Dura ammonizione agli spensierati
		
			
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				5 Svegliatevi, ubriachi, e piangete, 
 voi tutti che bevete vino, urlate 
 per il vino nuovo che vi è tolto di bocca. 
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		Il profeta invita alla penitenza. L’invasione era un castigo correttivo di Dio, e perciò occorreva pentirsi dei peccati e cambiare vita. 
		 “Svegliatevi”; 
		dal sonno dell’inerzia della preghiera. “Ubriachi” 
		di vino e di carnalità. Il “vino 
		nuovo” che attendevano dalle 
		vendemmie non ci sarà. Questo dato ci porta a dire che il flagello 
		avvenne prima dei tempi di raccolta delle semine, delle olive e delle 
		uve. “Piangete”, 
		“urlate”, 
		per la devastazione, con l’umiltà di farlo senza maledire. Non si è 
		creduto in Dio, se non per pretendere da lui abbondanza e noncuranza dei 
		vizi, ma questo non è possibile neppure pensarlo. 
		  L’esercito delle cavallette
			
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				6 Poiché è venuta contro il mio paese 
 una nazione potente e innumerevole, 
 che ha denti di leone, mascelle di leonessa. 
 7 Ha fatto delle mie viti una desolazione 
 e tronconi delle piante di fico; 
 ha tutto scortecciato e abbandonato, 
 i loro rami appaiono bianchi. 
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		  L’invasione delle locuste è stata 
		come di nazione compatta. Il profeta non è l’arrogante che dice: “Ve lo 
		siete meritato!”; anche lui si sente coinvolto nel comune dolore per i 
		danni; questo può indicare che Gioele era un coltivatore di viti. Perciò 
		parla in prima persona: “Ha fatto 
		delle mie viti una desolazione…”. 
		Le locuste arrivano anche a scortecciare i rami delle piante, 
		lasciandoli “bianchi”.
		      
  Il 
		lutto generale 
		 
		
			
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				8 Lamentati come una vergine 
 che si è cinta di sacco per il lutto 
 e piange per lo sposo della sua giovinezza
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		 Il lamento di una vergine rimasta vedova prima delle nozze è fatto solo di dolore, non è carico di odio, ma di strazio. E’ un esempio che va seguito nel dolore della devastazione.  
		 
		
			
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				 9 Sono scomparse offerta e libagione 
 dalla casa del Signore; 
 fanno lutto i sacerdoti, ministri del Signore. 
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		 Il Tempio, la “casa del Signore” non ha più vittime per il 
		tāmîd, il sacrificio quotidiano, e neppure olio e vino per le libagioni. Le libagioni di vino e olio non erano dei sacrifici in se stessi, ma venivano sparsi sulle vittime immolate per gli olocausti.
		 I “sacerdoti” 
		sono in lutto per tanta perdita, poiché essi vivevano dei proventi dei 
		tempio e delle carni dei sacrifici e dei pani. 
		
		
			
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				 10 Devastata è la campagna, 
 è in lutto la terra, 
 perché il grano è devastato, 
 è venuto a mancare il vino nuovo, 
 è esaurito l’olio. 
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		 La terra “è 
		in lutto” perché orfana di 
		vegetazione, di raccolti che si aspettavano. Tutto ispira morte: il 
		bestiame che languisce, così pure gli animali selvatici (1,18). 
		
			
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				 11 Restate confusi, contadini, 
 alzate lamenti, vignaioli, 
 per il grano e per l’orzo, 
 perché il raccolto dei campi è perduto. 
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		 “Restate confusi”, 
		sbalorditi, non ribelli al castigo, per riflettere sulle proprie colpe. 
		“Alzate lamenti”, 
		cioè preghiere umili e accorate per ottenere misericordia.
			
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				 12 La vite è diventata secca, 
				 il fico inaridito, 
 il melograno, la palma, il melo, 
 tutti gli alberi dei campi sono secchi, 
 è venuta a mancare la gioia tra i figli dell’uomo
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		 Tutto è come investito da un tappeto 
		funebre: “E’ venuta a mancare la 
		gioia”. 
  
		Invito alla penitenza
			
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				13 Cingete il cilicio e piangete, o sacerdoti, 
				 urlate, ministri dell’altare, 
 venite, vegliate vestiti di sacco, 
 ministri del mio Dio, 
 perché priva d’offerta e libagione 
 è la casa del vostro Dio. 
 14 Proclamate un solenne digiuno,  convocate una riunione sacra, 
 radunate gli anziani 
 e tutti gli abitanti della regione 
 nella casa del Signore, vostro Dio, 
 e gridate al Signore: 
 15 “Ahimè, quel giorno!  È infatti vicino il giorno del Signore 
 e viene come una devastazione dall’Onnipotente. 
 16 Non è forse scomparso il cibo 
 davanti ai nostri occhi 
 e la letizia e la gioia 
 dalla casa del nostro Dio?”. 
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		 Il cilicio o sacco (saq) era una veste grossolana, aspra, tessuta 
		con peli di cammello o di capra (2Re 6,30); veniva indossata 
		direttamente sulla pelle. L’invito alla penitenza è ai “ministri 
		dell’altare”, “ministri 
		del mio Dio”, colpevoli e 
		complici delle colpe del popolo. Essi non devono essere in lutto solo 
		perché sono venuti a mancare loro i proventi del Tempio (1,9), ma perché 
		hanno peccato e spinto il popolo al peccato con le loro inadempienze. 
		Essi, responsabili davanti a Dio del popolo, devono indire “un 
		solenne digiuno”. Essi in “una 
		riunione sacra” devono dire al Signore che 
		meritano un intervento della giustizia di Dio ben più forte: “Ahimè, 
		quel giorno!”. E di fatto non si 
		può non riconoscere che è “vicino 
		il giorno del Signore”, cioè il 
		giorno della giustizia di Dio, qualora non si faccia penitenza.  
		
			
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				 17 Sono marciti i semi 
 sotto le loro zolle, 
 i granai sono vuoti, 
 distrutti i magazzini, 
 perché è venuto a mancare il grano. 
 18 Come geme il bestiame!  Vanno errando le mandrie dei buoi,
				 perché non hanno più pascoli; 
 anche le greggi di pecore vanno in rovina. 
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		 La desolazione è completa, ineludibile a ogni occhio. “Sono 
		marciti i semi sotto le loro zolle”; 
		le piogge hanno impedito la semina
  
		La preghiera del profeta 
		
			
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				19 A te, Signore, io grido, 
				 perché il fuoco ha divorato 
 i pascoli della steppa 
 e la fiamma ha bruciato 
 tutti gli alberi della campagna. 
 20 Anche gli animali selvatici 
 sospirano a te, 
 perché sono secchi i corsi d’acqua 
 e il fuoco ha divorato i pascoli della steppa. 
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		 Il profeta innalza a Dio il suo grido di 
		dolore, di richiesta di pietà. Gioele non è distaccato; non è uno 
		spettatore del dolore comune, ma ne è coinvolto, anzi più coinvolto 
		degli altri, perché vede il dolore di Dio nel dovere castigare (Cf. Os 
		11,8). “Il fuoco ha divorato i 
		pascoli della steppa e la fiamma ha bruciato tutti gli alberi della 
		campagna”. E’ la fiamma della 
		siccità, con conseguenti incendi.
		
   
  	    L’annuncio di un imminente giorno del Signore    
		
			
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				2 
				1 Suonate il corno in Sion 
 e date l’allarme sul mio santo monte! 
 Tremino tutti gli abitanti della regione 
 perché viene il giorno del Signore, 
 perché è vicino, 
 2 giorno di tenebra e di oscurità, 
 giorno di nube e di caligine.
 Come l’aurora, 
 un popolo grande e forte 
 si spande sui monti: 
 come questo non ce n’è stato mai 
 e non ce ne sarà dopo, 
 per gli anni futuri, di età in età. 
 3 Davanti a lui un fuoco divora 
 e dietro a lui brucia una fiamma. 
 Come il giardino dell’Eden 
 è la terra davanti a lui 
 e dietro a lui è un deserto desolato, 
 niente si salva davanti a lui. 
 4 Il suo aspetto è quello di cavalli, 
 anzi come destrieri che corrono; 
 5 come fragore di carri 
 che balzano sulla cima dei monti, 
 come crepitio di fiamma avvampante 
 che brucia la stoppia, 
 come un popolo forte 
 schierato a battaglia. 
 6 Davanti a lui tremano i popoli, 
 tutti i volti impallidiscono. 
 7 Corrono come prodi, 
 come guerrieri che scalano le mura; 
 ognuno procede per la propria strada, 
 e non perde la sua direzione. 
 8 Nessuno intralcia l’altro, 
 ognuno va per la propria via. 
 Si gettano fra i dardi, 
 ma non rompono le file. 
 9 Piombano sulla città, 
 si precipitano sulle mura, 
 salgono sulle case, 
 entrano dalle finestre come ladri. 
 10 Davanti a lui la terra trema, 
 il cielo si scuote,
 il sole, la luna si oscurano 
 e le stelle cessano di brillare. 
 11 Il Signore fa udire la sua voce 
 dinanzi alla sua schiera: 
 molto grande è il suo esercito, 
 potente nell’eseguire i suoi ordini! 
 Grande è il giorno del Signore, 
 davvero terribile: chi potrà sostenerlo? 
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		 “Viene 
		il giorno del Signore”; sarà un 
		giorno di giustizia contro Israele. Ciò deve sollecitare la penitenza, 
		il ritorno a Dio. Il profeta è messaggero di ciò che lo Spirito gli 
		dice: E’ un annuncio dai toni apocalittici, ma non slegati alla realtà. 
		“Giorno di tenebra e di oscurità, 
		giorno di nube e di caligine”; 
		non le nubi degli sciami di cavallette, ma il fumo dell’incendio di 
		intere città.  “Come l’aurora, 
		un popolo grande e forte si spande sui monti”; 
		l’aurora si spande dai monti nel cielo, rapida e vincente. E’ un popolo 
		invasore, agguerrito di carri inarrestabili.  “Davanti 
		a lui tremano i popoli, tutti i volti impallidiscono”; 
		poiché nessuno potrà resistere, “I 
		popoli”, sono quelli confinanti 
		con Israele, che non hanno mai cessato le loro ostilità nei confronti di 
		Israele; anche su di loro si abbatterà il giorno del Signore.  
		L’invasore è “un popolo forte 
		schierato a battaglia”, compatto 
		nella sua azione militare e pieno di vigore. “Si 
		gettano fra i dardi, ma non rompono le file”; 
		questa immagine è quella delle falangi: oplitica e obliqua.  “Piombano 
		sulla città, si precipitano sulle mura, salgono sulle case, entrano 
		dalle finestre come ladri”; La 
		città di Sion viene espugnata e saccheggiata. “Salgono 
		sulle case”; quelle addossate 
		alle mura.  “Davanti a lui la 
		terra trema, il cielo si scuote, il sole, la luna si oscurano e le 
		stelle cessano di brillare”. “La 
		terra trema” per la paura; “Il 
		cielo si scuote”, per il calore 
		si realizza il noto “effetto 
		camino”. L’aria calda che ascende 
		chiama in basso aria creando venti che alimentano ulteriormente 
		l’incendio. Il fumo degli incendi delle città è tale da oscurare con la 
		sua nube il sole di giorno e di notte la luna e le stelle: “il 
		sole, la luna si oscurano e le stelle cessano di brillare”. 
		La visione delle città incendiate è una vera visione apocalittica, tale 
		da fare uscire di mente i più deboli e sconvolgere i più forti.
  Nuovo invito a tornare al Signore
			
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				12“Or dunque - oracolo del Signore -, 
				 ritornate a me con tutto il cuore, 
 con digiuni, con pianti e lamenti.  13 Laceratevi il cuore e non le vesti, 
				 ritornate al Signore, vostro Dio, 
 perché egli è misericordioso e pietoso, 
 lento all’ira, di grande amore, 
 pronto a ravvedersi riguardo al male”.  14 Chi sa che non cambi e si ravveda 
				 e lasci dietro a sé una benedizione? 
 Offerta e libagione per il Signore, vostro Dio. 
				 15 Suonate il corno in Sion, 
 proclamate un solenne digiuno, 
 convocate una riunione sacra.  16 Radunate il popolo,
 			    indite un’assemblea solenne, 
 chiamate i vecchi, 
 riunite i fanciulli, i bambini lattanti; 
 esca lo sposo dalla sua camera 
 e la sposa dal suo talamo.  17 Tra il vestibolo e l’altare piangano 
				 i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: 
 “Perdona, Signore, al tuo popolo 
 e non esporre la tua eredità al ludibrio 
 e alla derisione delle genti”. 
 Perché si dovrebbe dire fra i popoli: 
 “Dov’è il loro Dio?”. 
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		 “Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso”. La penitenza non deve consistere in fatti esterni, ma nella conversione del cuore. Occorre lacerare la veste della superbia che avvolge il cuore.
		 “Chi sa che non cambi e si ravveda e lasci dietro a sé una benedizione”: Non è dubbio, “chi sa che”, ma umiltà riconoscendo l’insufficienza di ogni preghiera, nella consapevolezza però che “egli è misericordioso e pietoso” e che perciò colma con la sua misericordia l’insufficienza della nostra preghiera. ”Offerta e libagione per il Signore, vostro Dio”, sono viste come insufficienti davanti a Dio.
		 Noi sappiamo che la nostra preghiera è colmata dalla misericordia di Cristo, vittima sulla Croce, e nostro sommo ed eterno sacerdote presso il Padre.
		 “Suonate il corno in Sion, proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra”. Ancora un invito pressante ai sacerdoti a indire “un solenne digiuno”, cioè un generale e rigoroso digiuno,  e “una riunione sacra” di preghiera.
		 “Tra il vestibolo e l’altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: Perdona, Signore, al tuo popolo”. Il vestibolo era l’atrio di accesso al tempio vero e proprio. L’altare degli olocausti era di fronte, all’interno di un cortile colonnato che circondava il tempio.  Quello è il punto dove devono porsi i sacerdoti per piangere per i loro peccati e chiedere perdono e pietà per tutto il popolo.
		 “Perché si dovrebbe dire fra i 
		popoli: ‹Dov’è il loro Dio?›”. 
		Queste parole dicono che se Dio colpirà il suo popolo le genti diranno 
		che non c’è Dio in Israele, e significherebbe che Dio ha ritirato 
		l’alleanza, ma ciò non sarà. E’ un appello alla fedeltà di Dio e un 
		invito a lui a salvaguardare il suo onore, che già usò Mosè per far 
		retrocedere Dio dal distruggere il suo popolo (Es 32,12; Nm 14,15; Dt 
		9,28). A Babilonia Israele aveva già sentito le torturanti parole (Ps 
		42/41): “Dov’è il tuo Dio?
  
		Il Signore difenderà il suo popolo
			
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				18 Il Signore si mostra geloso per la sua terra 
				 e si muove a compassione del suo popolo. 
				 19 Il Signore ha risposto al suo popolo: 
				 “Ecco, io vi mando il grano, il vino nuovo e l’olio e ne avrete a sazietà; 
				 non farò più di voi il ludibrio delle genti. 
				 20 Allontanerò da voi quello che viene dal settentrione 
				 e lo spingerò verso una terra arida e desolata: spingerò la sua avanguardia verso il mare orientale. 
				 Esalerà il suo lezzo, salirà il suo fetore, 
 perché ha fatto cose grandi.  
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		 “Il Signore si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione del suo popolo”. Spinto dalla gelosia che vuole per sé il suo popolo, e per le preghiere, Dio “si muove a compassione”
		 “Non farò più di voi il ludibrio delle genti”. Non ci sarà un nuova catastrofe militare come ai tempi delle invasioni assiro-babilonesi conseguite dalle deportazioni. “Allontanerò da voi quello che viene dal settentrione”. Da settentrione, l’opposta direzione della provenienza delle nubi di locuste, attraverso la valle di Esdrelon giungevano gli eserciti invasori.
		 L’invasore verrà disorientato da Dio (2Cr. 20,13s; Gdt 15,2; Ps 48/47,6; Ez. 7,17) tanto da sospingerlo “verso una terra arida e desolata”, impedendo così l’accesso alla Giudea.
		 “Spingerò la sua avanguardia verso il mare orientale e la sua retroguardia verso il mare occidentale”. L’esercito invasore, che non ci è dato conoscere, ma che non è l’esercito apocalittico del  “giorno del Signore” (2,1s), si spezzerà in due. Il mare orientale è il lago di Genesaret; quello occidentale è il mar Morto.
		 “Esalerà il suo lezzo, salirà 
		il suo fetore, perché ha fatto cose grandi”. 
		La moltitudine dell’esercito sarà annientata - forse un’epidemia - e non 
		ci sarà sepoltura; ciò in punizione ai grandi misfatti commessi: “perché 
		ha fatto cose grandi”. 
  
		Il Signore fa prorperare Israele	
		 
		
			
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				21 Non temere, terra, 
 ma rallegrati e gioisci, 
 poiché cose grandi ha fatto il Signore. 
 22 Non temete, animali selvatici, 
 perché i pascoli della steppa hanno germogliato, 
 perché gli alberi producono i frutti, 
 la vite e il fico danno le loro ricchezze. 
 23 Voi, figli di Sion, rallegratevi, 
 gioite nel Signore, vostro Dio, 
 perché vi dà la pioggia in giusta misura, 
 per voi fa scendere l’acqua, 
 la pioggia d’autunno e di primavera, 
 come in passato. 
 24 Le aie si riempiranno di grano  e i tini traboccheranno di vino nuovo e di olio. 
				 25 Vi compenserò delle annate 
				 divorate dalla locusta e dal bruco, 
 dal grillo e dalla cavalletta, 
 da quel grande esercito 
 che ho mandato contro di voi. 
 26 Mangerete in abbondanza, a sazietà,  e loderete il nome del Signore, vostro Dio, 
				 che in mezzo a voi ha fatto meraviglie: 
 mai più vergogna per il mio popolo. 
 27 Allora voi riconoscerete che io sono in mezzo a Israele, 
				 e che io sono il Signore, vostro Dio, 
 e non ce ne sono altri: 
 mai più vergogna per il mio popolo”. 
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		 “Non temere, terra, ma rallegrati e gioisci, poiché cose grandi ha fatto il Signore”. La terra di Israele non deve temere invasioni, poiché il Signore l’ha protetta sgominando eserciti nemici: “Cose grandi ha fatto il Signore”. 
		 “Mangerete in abbondanza, a sazietà, e loderete il nome del Signore, vostro Dio, che in mezzo a voi ha fatto meraviglie”. Non ci si rivolgerà a falsi dei per avere la protezione dei campi, perché questo è stato colpevole e inutile. Si loderà invece il Signore che dopo avere colpito con la sventura dell’invasione di locuste, con la sua benedizione ha fatto rifiorire tutto: “Ha fatto meraviglie”. 
		 “Mai più vergogna per il mio 
		popolo”. La calamità delle 
		locuste era stata un’umiliazione cocente, e causa di vergogna per non 
		avere osservato la legge del Signore.
  
L’effusione dello Spirito su ogni uomo
		
			
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				3 1 
				Dopo questo, 
 io effonderò il mio spirito 
 sopra ogni uomo 
 e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, 
				 i vostri giovani avranno visioni. 
 2 Anche sopra gli schiavi e sulle schiave
				 in quei giorni effonderò il mio spirito. 
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		 “Dopo questo, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo [carne]”. La proposizione è di carattere universalistico, con una focalizzazione su Israele presentando “i vostri figli e le vostre figlie”. La citazione degli schiavi e delle schiave conferma l’aperura universale, poiché gli schiavi e le schiave in Israele per la maggior parte provenivano da popoli pagani come acquistati (Lv 25,44s). Gli altri schiavi erano gli ebrei che per miseria si vendevano (Lv 25,39s).
		 Pietro, all’inizio, dovette intendere questo oracolo di Gioele in modo restrittivo a Israele (At 2,16), ma poi arrivò a comprendere che esso includeva anche i Gentili (At 10,34s.44; 11,15). Il testo di Gioele assolutamente non formalizza una chiusura ai pagani. 
		 Il testo presenta una rivoluzione: Israele non avrà più la figura del profeta come particolare inviato di Dio, perché tutti diventeranno profeti in virtù dello Spirito.  
  
		I segni premonitori del prossimo giorno del Signore
		
			
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				3 
				Farò prodigi nel cielo e sulla terra, 
 sangue e fuoco e colonne di fumo. 
 4 Il sole si cambierà in tenebre 
 e la luna in sangue, 
 prima che venga il giorno del Signore, 
 grande e terribile. 
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		 “Sangue e fuoco e colonne di 
		fumo”. Sono segni di morte, di 
		distruzione sulla terra (Cf. Mt 24,7). “Il 
		sole si cambierà in tenebre e la luna in sangue”. 
		Ci saranno eclissi totali di sole “tenebre” 
		e il fenomeno della luna rossa “sangue”; 
		ciò per uno sconvolgimento planetario; questi, insieme ad altri segni 
		cosmici (Is 13,9; 34,4; Am 8,9), rientrano nei “prodigi 
		nel cielo”. I prodigi “sulla 
		terra”, sono il riflesso dei 
		prodigi nel cielo, poiché la terra ne verrà inevitabilmente 
		condizionata.
			
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				 5 
				Chiunque invocherà il nome del Signore, 
 sarà salvato, 
 poiché sul monte Sion e in Gerusalemme 
 vi sarà la salvezza,
 come ha detto il Signore, 
 anche per i superstiti 
 che il Signore avrà chiamato. 
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		 “Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato”. Paolo cita questo passo (Rm 10,13) quale prova profetica dell’universalità della salvezza.
		 “Poiché sul monte Sion e in Gerusalemme vi sarà la salvezza”. Cristo sarà, con la sua morte in croce, l’autore della salvezza. Israele sarà salvato quando accoglierà Cristo (Rm 11,26).
		 “Anche per i superstiti che il 
		Signore avrà chiamato”. Sono 
		quelli che ritornano a Sion dopo essere stati dispersi tra le genti: “Ristabilirò 
		le sorti di Giuda e di Gerusalemme”.
		 
 
	
		Il ritorno di Israele nella sua terra dopo la dispersione tra le genti
			
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				4
				1 Poiché, ecco, in quei giorni e in quel tempo, 
				 quando ristabilirò le sorti di Giuda e Gerusalemme, 
 2 riunirò tutte le genti 
 e le farò scendere nella valle di Giòsafat, 
 e là verrò a giudizio con loro 
 per il mio popolo Israele, mia eredità, 
 che essi hanno disperso fra le nazioni dividendosi poi la mia terra. 
 3 Hanno tirato a sorte il mio popolo  
 e hanno dato un fanciullo in cambio di una prostituta, hanno venduto una fanciulla in cambio di vino e hanno bevuto.  
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		 “Quando ristabilirò le sorti di Giuda e Gerusalemme, riunirò tutte le genti”. Nel futuro ci sarà una conquista della Giudea da parte di una potenza bellica, con conseguente deportazione. Il “giorno del Signore” (2,1-11), era stato annullato dal ritorno a Dio, ma poi era giunto. E’ la distruzione di Gerusalemme da parte delle legioni romane (70 d.C.), con conseguente deportazione tra le genti.
		 Ma la diaspora sarà superata e allora sarà prossimo il giorno del Signore.
		 “Riunirò tutte le genti  e le farò scendere nella valle di Giòsafat e là verrò a giudizio con loro”. Durante il regno di Giosafat Dio annientò con la sua sola mano i nemici di Giuda nella valle di Beracà (2Cr 20,16s): “Domani scendete contro di loro; ecco saliranno per la salita di Sis (…). Il Signore tese un agguato agli Ammoniti, i Moabiti e quelli della montagna (…). Gli Ammoniti e i Moabiti insorsero contro gli abitanti della montagna di Seir per votarli allo sterminio e distruggerli. Quando ebbero finito con gli abitanti della montagna di Seir, contribuirono a distruggersi a vicenda”.
		 Gioele assunse simbolicamente quell’evento per dire la vittoria di Dio contro tutti i suoi nemici, che “hanno disperso fra le nazioni” il suo popolo Israele, “dividendosi poi la sua terra”.
		 “Hanno tirato a sorte il mio 
		popolo e hanno dato un fanciullo in cambio di una prostituta, hanno 
		venduto una fanciulla in cambio di vino e hanno bevuto”. 
		Non solo l’asservimento, ma una noncuranza ripugnante “un 
		fanciullo in cambio di una prostituta”; 
		“una fanciulla in cambio di vino”
  
		Dio fa giustizia dei soprusi commessi nei confronti del suo popolo  
		4 Anche voi, Tiro e Sidone, e voi tutte contrade della Filistea, che cosa siete per me? Vorreste prendervi la rivincita e vendicarvi di me? Io ben presto farò ricadere sul vostro capo il male che avete fatto. 
		5 Voi infatti avete rubato il mio oro e il mio argento, avete portato nei vostri templi i miei tesori preziosi; 
		6 avete venduto ai figli di Iavan i figli di Giuda e i figli di Gerusalemme per mandarli lontano dalla loro patria. 
		7 Ecco, io li richiamo dalle città, dal luogo dove voi li avete venduti e farò ricadere sulle vostre teste il male che avete fatto. 
		8  Venderò i vostri figli e le vostre figlie per mezzo dei figli di Giuda, i quali li venderanno ai Sabei, un popolo lontano. Il Signore ha parlato. 
		
  Questo brano è in prosa, parte dal tempo della conquista e distruzione di Gerusalemme (587), quando restò in patria una piccola parte di Israele (2Re 24,14; 25,22), soggetta ai saccheggiatori che partivano dai popoli vicini, che qui sono Tiro e Sidone, e in genere le contrade della Filistea. Oro e argento erano i tesori che gli Israeliti erano riusciti a salvare dalle mani Babilonesi, che razziarono tutte le ricchezze di Gerusalemme (2Re 24,13; 25,13s). Tali tesori, come qui viene detto, furono oggetto di razzie, insieme a uomini e donne, per il guadagno di venderli come schiavi ai “figli di Iavan”, cioè dei greci dello Ionio.
		 Dio, con il ritorno dall’esilio, si fa vendicatore delle crudeltà subite dai figli e dalle figlie del suo popolo. Le scorribande non hanno più successo e Tiro e Sidone vorrebbero vendicarsi di questo, con assurdità: “Vorreste prendervi la rivincita e vendicarvi di me?”.
		 Anzi, Israele potrà vendere i figli e le figlie di Tiro e Sidone ai lontani Sabei, popolo dell’Arabia meridionale. Ciò va collocato tra il (332), data della disfatta di Tiro e dell’annessione di Sidone e della Fenicia da parte di Alessandro Magno, e il (331) data dell’occupazione - non distruzione e deportazione - di Gerusalemme da parte dei Macedoni. Le conquiste di Tiro e Sidone produssero un numero grande di schiavi, che in parte poterono essere acquistati da Israele, per essere commerciati con i Sabei, popolo dell’Arabia meridionale. La conquista di Tiro e di Sidone era già stata annunciata (Is, 23; Ger. 47,4; Ez. 28,11s; Zc. 9,1s).
   
		Dio sfida i nemici di Israele
		
			
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				9  Proclamate questo fra le genti: 
				 preparatevi per la guerra, 
 incitate i prodi, 
 vengano, salgano tutti i guerrieri. 
 10 Con i vostri vomeri fatevi spade  e lance con le vostre falci; 
				 anche il più debole dica: “Io sono un guerriero!”. 
 11 Svelte, venite, o nazioni tutte dei dintorni,
				 e radunatevi là! 
 Signore, fa scendere i tuoi prodi! 
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		 I popoli vicini alla Giudea vorrebbero sopprimere Israele, vendicandosi di Dio perché aveva ristabilito “le sorti di Giuda e Gerusalemme”; ma Dio li sfida a venire a battaglia con lui. “Preparatevi per la guerra, incitate i prodi (…). Svelte, venite, o nazioni tutte dei dintorni,  e radunatevi là!”. E’ l’attacco al popolo ebraico che sarà parte viva e unitaria, in Cristo, della Chiesa.
		 Israele di fronte alla moltitudine che si raduna contro di lui 
		invoca che Dio entri in battaglia con i suoi prodi: “Signore, 
		fa scendere i tuoi prodi!”. I 
		prodi di Dio sono le legioni angeliche.  
 
		Il giorno del Signore	
		
		
			
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				12 Si affrettino e salgano le nazioni 
				 alla valle di Giòsafat, 
 poiché lì sederò per giudicare 
 tutte le nazioni dei dintorni. 
 13 Date mano alla falce, 
 perché la messe è matura; 
 venite, pigiate, 
 perché il torchio è pieno 
 e i tini traboccano, 
 poiché grande è la loro malvagità! 
 14 Folle immense 
 nella valle della Decisione, 
 poiché il giorno del Signore è vicino 
 nella valle della Decisione. 
 15 Il sole e la luna si oscurano 
 e le stelle cessano di brillare. 
 16 Il Signore ruggirà da Sion, 
 e da Gerusalemme farà udire la sua voce; tremeranno i cieli e la terra.  | 
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		 “Si affrettino e salgano le nazioni alla valle di Giòsafat”. Si predispongano pure le nazioni (Ap 20,8: “Gog e Magog”) alla lotta contro Dio, ma sarà la loro sconfitta sarà terribile. Il luogo simbolico è “La valle di Giosafat”, 
		detta con più specificità “Valle 
		del giudizio”. “Poiché 
		lì sederò per giudicare tutte le nazioni dei dintorni”. 
		Le “nazioni dei dintorni”, cioè della terra di Israele, che sono una parte dell’insieme delle nazioni convocate nella “valle del giudizio” (4,2).
		 I prodi di Dio, le schiere angeliche, entrano in azione contro gli assalitori; “Date mano alla falce, perché la messe è matura; venite, pigiate, perché il torchio è pieno e i tini traboccano, poiché grande è la loro malvagità!”. Con le azioni simboliche della mietitura e della vendemmia e della torchiatura, si indica che è raggiunto il culmine di ogni nefandezza e Dio pronuncia  il suo “basta” (2Sam. 24,16) finale.
		 La mietitura e la vendemmia il profeta le presenta per opera delle schiere angeliche. Gli angeli, secondo la concezione di allora, erano deputati al governo dei venti (Ap 7,1) delle piogge (acqua) (Ap 16,5) e della temperatura (fuoco) (14,18); quindi delle condizioni di vita sulla terra.
Scompariranno le condizioni di vita sulla terra. Gli assalitori si ammasseranno pieni di violenza nella “Valle della Decisione” per dare battaglia contro Dio, annientando il suo popolo; “Folle immense nella valle della Decisione, poiché il giorno del Signore è vicino nella valle della Decisione”.
		 “Il Signore ruggirà da Sion, e 
		da Gerusalemme farà udire la sua voce; tremeranno i cieli e la terra”. 
		Il Signore ruggirà da Sion perché a Sion e a Gerusalemme è stata 
		stabilita nel sangue di Cristo la nuova eterna alleanza. Il sacrifico 
		del Figlio di Dio è il titolo con quale Dio può dire il suo basta 
		finale. Gioele, prendendo il linguaggio da Amos (1,2), presenta il “basta” 
		come un ruggito vittorioso di un leone che semina lo sgomento. “Tremeranno 
		i cieli e la terra”, perché sarà 
		loro fine. Lo sconvolgimento sarà cosmico; “Il 
		sole e la luna si oscurano e le stelle cessano di brillare”.
 
		 
Il tempo di pace prima del glorioso giorno del Signore
		
			
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				Ma il Signore è un rifugio per il suo popolo, 
 una fortezza per gli Israeliti.  17 Allora voi saprete che io sono il Signore, vostro Dio, 
				 che abito in Sion, mio monte santo, 
 e luogo santo sarà Gerusalemme; 
 per essa non passeranno più gli stranieri.  18 In quel giorno 
				 le montagne stilleranno vino nuovo 
 e latte scorrerà per le colline; 
 in tutti i ruscelli di Giuda 
 scorreranno le acque. 
 Una fonte zampillerà dalla casa del Signore 
 e irrigherà la valle di Sittìm.  19 L’Egitto diventerà una desolazione 
				 ed Edom un arido deserto, 
 per la violenza contro i figli di Giuda, 
 per il sangue innocente sparso nel loro paese, 
				 20 mentre Giuda sarà sempre abitata 
 e Gerusalemme di generazione in generazione.  21 Non lascerò impunito il loro sangue,      
				 e il Signore dimorerà in Sion.
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		 “Ma il Signore è un rifugio per il suo popolo, una fortezza per gli Israeliti”. Prima della fine ci sarà un ultimo tempo di pace nel quale Israele avrà la salvezza (Dn 12,1).
		 Il punto di vista di Gioele parte dal suo popolo, la cui identità non tramonterà (Cf. Rm 9,4; 11,16s.28s; 2Cor 3,4s), ma accogliendo Cristo diventerà parte viva della Chiesa. Il popolo di Dio è uno, ma c’è un tratto morto, ed è Israele, e uno vivo, che è la Chiesa. Giungerà il tempo nel quale il tratto morto dell’unico popolo di Dio sarà vivo in Cristo. Ci sarà il 
		nuovo Israele, detto ”Israele di Dio”
		(Gal 6,16). Non si pensi che la sede del successore di Pietro si sposti a Gerusalemme. Gerusalemme ha demeritato questo, e dentro le sue mura resta la condanna a morte del Figlio Dio, ucciso fuori dalle sue mura (Eb 13,12). La sede del successore di Pietro resterà Roma.
		 “Allora voi saprete che io sono il Signore, vostro Dio, che abito in Sion, mio monte santo, e luogo santo sarà Gerusalemme”. Israele sarà salvo perché accoglierà Cristo, partecipando della
		nuova ed eterna alleanza (Is. 55,3; Ger. 24,4; 30,22; 31,31; Ez 16,60; 37,26; Zc. 2,15; Bar. 2,35). Abiterà in Sion, ma Israele sarà Chiesa, che è il nuovo Israele, e Sion sarà di tutti, perché sul monte Sion è morto e risorto il Signore (Cf. Ps 87/86,7; Ap 14,1s). Resterà la Nazione, ma senza gli antichi confini, poiché la 
		terra promessa era figura della terra riconciliata con Dio in Cristo; ciò senza millenarismi, interpretando male le parole dell’Apocalisse (20,1s).
		 “Per essa non passeranno più gli stranieri”; non sarà più in balia di quelli che “stranieri” di volta vi eressero idoli e culti idolatrici; la Chiesa sarà indefettibile.
		 “In quel giorno le montagne stilleranno vino nuovo e latte scorrerà per le colline; in tutti i ruscelli di Giuda scorreranno le acque”. La benedizione di Dio produrrà l’abbondanza.
		 “Una fonte zampillerà dalla casa del Signore e irrigherà la valle di Sittìm”. La pace sarà segnata da una fonte che zampillerà dalla “casa del Signore” (4,18), cioè da Cristo, nel quale abita la pienezza della Deità (Col 2,9);
		pienezza poiché la Persona di Cristo è la seconda Persona della Trinità, che non può essere disgiunta, per l’unica Essenza, dalle altre due. Egli è la “casa del Signore” annunciata a Davide (2Sam 7,11). Da lui sgorgherà acqua viva simboleggiante lo Spirito (Is 44,3; Zc 14,8; Gv 7,38). “Sittim” vuol dire 
		"alberi di acacia"; il luogo è fittizio, comunque di legno di acacia erano l’arca, la tavola per i pani, l’altare, i legni della tenda. Es. 25,10.23; 26,15; 27,1). Gioele allude che in nuovo culto, quello della nuova ed eterna alleanza, passerà alla realtà che prefigurava.
		 “L’Egitto diventerà una desolazione ed Edom un arido deserto…”. Egitto e Edom simboleggiano i nemici più accaniti di Giuda. Egitto e Edom non potranno più prevalere perché dissolte quali nazioni nemiche.
		 “E il Signore dimorerà in Sion”; nella novità della
		nuova ed eterna alleanza alla quale parteciperanno tutte le genti (Is 45,6; 59,19; 60,3-22; Dn 9,11; 6,26; Am 9,11; Zc 2,15; Ml 1,5).
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