Testo e commento

 

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Il libro dell’Esodo è il secondo del “Pentateuco”. Esso presenta tre punti: la liberazione dall’Egitto, il cammino nel deserto, l’alleanza del Sinai. Il personaggio centrale è Mosè, al quale bisogna riconoscere uno scritto iniziale sulla Legge come si rileva da Es 17,14; 24,4; Dt 31,9-21.24. La Legge scritta da Mosè venne moltiplicata in copie come dice Dt 17,18 e Gs 8,32.

La tradizione sacerdotale ha la sua radice in quello scritto.

La formazione del testo dell’Esodo è chiaramente successiva a Mosè.

Nel libro dell’Esodo è molto chiara la tradizione sacerdotale, mentre è difficile distinguere tra di loro le altre due tradizioni debolmente presenti: quelle jahvista ed elohista.

La composizione del testo, di mano sacerdotale, si colloca tra il tempo di Salomone (ca. 930) e di Ezechia (ca. 680), che ribadì la centralità cultuale del tempio di Gerusalemme (2Re 18,4.22; Cf. Pr 25,1), ma anche nel tempo del postesilio il testo fu oggetto, sempre sotto l’ispirazione divina, di aggiunte. 

 

L'oppressione degli Ebrei in Egitto

(1) (8-22) 8 Allora sorse sull’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. 9 Egli disse al suo popolo: "Ecco che il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più forte di noi. 10 Cerchiamo di essere avveduti nei suoi riguardi per impedire che cresca, altrimenti, in caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal paese". 11 Perciò vennero imposti loro dei sovrintendenti ai lavori forzati, per opprimerli con le loro angherie, e così costruirono per il faraone le città-deposito, cioè Pitom e Ramses. 12 Ma quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva, ed essi furono presi da spavento di fronte agli Israeliti. 13 Per questo gli Egiziani fecero lavorare i figli d’Israele trattandoli con durezza. 14 Resero loro amara la vita mediante una dura schiavitù, costringendoli a preparare l’argilla e a fabbricare mattoni, e ad ogni sorta di lavoro nei campi; a tutti questi lavori li obbligarono con durezza.

15 Il re d’Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua: 16 "Quando assistete le donne ebree durante il parto, osservate bene tra le due pietre: se è un maschio, fatelo morire; se è una femmina, potrà vivere". 17 Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d’Egitto e lasciarono vivere i bambini. 18 Il re d’Egitto chiamò le levatrici e disse loro: "Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i bambini?". 19 Le levatrici risposero al faraone: "Le donne ebree non sono come le egiziane: sono piene di vitalità. Prima che giunga da loro la levatrice, hanno già partorito!". 20 Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. 21 E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una discendenza.
22 Allora il faraone diede quest’ordine a tutto il suo popolo: "Gettate nel Nilo ogni figlio maschio che nascerà, ma lasciate vivere ogni femmina".

 

Il faraone è Ramses II (1290-1224). Questo faraone pose molta attenzione all’area del delta del Nilo perché a contatto con i territori “asiatici” ricchi e nello stesso tempo di difficile dominio da parte dell’Egitto. Ramses II paventava invasioni (i popoli del mare) da quei territori. Il nuovo faraone non aveva conosciuto Giuseppe, cioè non riconosceva la tradizione storica della presenza degli Ebrei in Egitto, e li vide come un pericolo: “In caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal paese”. “Partirà dal paese”, dice, sapendo che Israele aveva in mente la terra di Canaan.

Per Ramses II Israele era un popolo non integrabile con quello d’Egitto, nonostante tutti gli sforzi che si potessero fare. Non restava che l’oppressione; il far sentire la forza dell’Egitto sulle spalle degli Israeliti. Ma la costrizione ai lavori di costruzione di due città deposito nel Delta non fiaccò il popolo d’Israele.
Il faraone pensò ad un piano strisciante per fiaccare e umiliare Israele: quello di usare delle ostetriche egiziane per uccidere i figli maschi ebrei al momento della nascita. Piano che comprendeva, logicamente, l’attribuzione della morte al parto, e quindi al Dio di Israele, che non proteggeva il suo popolo.

Le ostetriche egiziane non vollero compiere un’azione così vile. Sifra e Pua dovevano essere alla dirigenza delle ostetriche egiziane offerte dal faraone ad Israele. Ramses II vide la sua astuzia finire nel ridicolo di una risposta che umiliava l’Egitto: le donne ebree figurarono più vitali di quelle egiziane.

A questo punto incominciò l’azione scoperta, affidata a tutti gli Egiziani, di uccidere i neonati gettandoli nel Nilo; in definitiva in pasto ai coccodrilli.

 

Il primo incontro con il faraone 

(5) (1-9) 1 In seguito, Mosè e Aronne vennero dal faraone e gli annunciarono: "Così dice il Signore, il Dio d’Israele: ‹Lascia partire il mio popolo, perché mi celebri una festa nel deserto!›". 2 Il faraone rispose: "Chi è il Signore, perché io debba ascoltare la sua voce e lasciare partire Israele? Non conosco il Signore e non lascerò certo partire Israele!". 3 Ripresero: "Il Dio degli Ebrei ci è venuto incontro. Ci sia dunque concesso di partire per un cammino di tre giorni nel deserto e offrire un sacrificio al Signore, nostro Dio, perché non ci colpisca di peste o di spada!". 4 Il re d’Egitto disse loro: "Mosè e Aronne, perché distogliete il popolo dai suoi lavori? Tornate ai vostri lavori forzati!". 5 Il faraone disse: "Ecco, ora che il popolo è numeroso nel paese, voi vorreste far loro interrompere i lavori forzati?".
6 In quel giorno il faraone diede questi ordini ai sovrintendenti del popolo e agli scribi: 7 "Non darete più la paglia al popolo per fabbricare i mattoni, come facevate prima. Andranno a cercarsi da sé la paglia. 8 Però voi dovete esigere il numero di mattoni che facevano finora, senza ridurlo. Sono fannulloni; per questo protestano: ‹Vogliamo partire, dobbiamo sacrificare al nostro Dio!› 9 Pesi dunque la schiavitù su questi uomini e lavorino; non diano retta a parole false!".

 

Il faraone, di fronte al comando di Dio di lasciar andare Israele nel deserto per compiere sacrifici, si indispettì, vedendo bene che era un richiedere un atto di riconoscimento del Dio d’Israele, il Dio unico del cielo e della terra. Il faraone non prese in considerazione la richiesta e con scaltrezza “spiegò” la richiesta con la poca voglia di lavorare. Il faraone poi “spiegò” l’incremento demografico di Israele come un premio in vista dei lavori da farsi nel Delta.
Israele è più numeroso degli Egiziani, in riferimento alla zona specifica del Delta: gli Egiziani complessivamente erano circa tre milioni.
Come si vede il faraone non lasciò il minimo spazio ad un riconoscimento del Dio d’Israele, cosa che al tempo di Giuseppe (Gn 41,1ss) era avvenuta (Amenofi IV?).

 

I flagelli sull'Egitto

Il bastone cambiato in serpente

(7) (8-13) 8 Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: 9 «Quando il faraone vi chiederà di fare un prodigio a vostro sostegno, tu dirai ad Aronne: “Prendi il tuo bastone e gettalo davanti al faraone e diventerà un serpente!”». 10 Mosè e Aronne si recarono dunque dal faraone ed eseguirono quanto il Signore aveva loro comandato: Aronne gettò il suo bastone davanti al faraone e ai suoi ministri ed esso divenne un serpente. 11 A sua volta il faraone convocò i sapienti e gli incantatori, e anche i maghi dell’Egitto, con i loro sortilegi, operarono la stessa cosa. 12 Ciascuno gettò il suo bastone e i bastoni divennero serpenti. Ma il bastone di Aronne inghiottì i loro bastoni. 13 Però il cuore del faraone si ostinò e non diede loro ascolto, secondo quanto aveva detto il Signore.

 

Il faraone chiese un segno per vedere il potere del Dio d’Israele, e metterlo a confronto con quello dei maghi dell'Egitto, operanti in nome degli idoli.
La scelta di Dio fu di mettere in campo un serpente, poiché il serpente era un simbolo della potenza e sapienza, legata agli dei egizi, del faraone. Il faraone aveva un voluminoso copricapo sulla cui fronte era raffigurato un serpente cobra, molto velenoso, l’Aspide, presente nella valle del Nilo e nell’Arabia.
Non bisogna pensare alla formazione di reali serpenti.
Il bastone di Aronne cominciò a muoversi, flessibile, sinuoso come un serpente: un segno prodigioso. I maghi d’Egitto riuscirono a fare lo stesso; infatti il demonio può benissimo fare questo. Ci fu però la differenza che il bastone-serpente di Aronne sbriciolò i bastoni-serpente dei maghi. Ma il faraone non ammise la supremazia del Dio d’Israele sugli incantesimi dei maghi.
 

1° Flagello: l’acqua cambiata in sangue

(14-25) 14 Il Signore disse a Mosè: "Il cuore del faraone è irremovibile: si rifiuta di lasciar partire il popolo. 15 Va’ dal faraone al mattino, quando uscirà verso le acque. Tu starai ad attenderlo sulla riva del Nilo, tenendo in mano il bastone che si è cambiato in serpente. 16 Gli dirai: “Il Signore, il Dio degli Ebrei, mi ha inviato a dirti: Lascia partire il mio popolo, perché possa servirmi nel deserto; ma tu finora non hai obbedito. 17 Dice il Signore: Da questo fatto saprai che io sono il Signore; ecco, con il bastone che ho in mano io batto un colpo sulle acque che sono nel Nilo: esse si muteranno in sangue. 18 I pesci che sono nel Nilo moriranno e il Nilo ne diventerà fetido, così che gli Egiziani non potranno più bere acqua dal Nilo!›”. 19 Il Signore disse a Mosè: "Di’ ad Aronne: ‹Prendi il tuo bastone e stendi la mano sulle acque degli Egiziani, sui loro fiumi, canali, stagni e su tutte le loro riserve di acqua; diventino sangue e ci sia sangue in tutta la terra d’Egitto, perfino nei recipienti di legno e di pietra!›”.

20 Mosè e Aronne eseguirono quanto aveva ordinato il Signore: Aronne alzò il bastone e percosse le acque che erano nel Nilo sotto gli occhi del faraone e dei suoi ministri. Tutte le acque che erano nel Nilo si mutarono in sangue. 21 I pesci che erano nel Nilo morirono e il Nilo ne divenne fetido, così che gli Egiziani non poterono più berne le acque. Vi fu sangue in tutta la terra d’Egitto. 22 Ma i maghi dell’Egitto, con i loro sortilegi, operarono la stessa cosa. Il cuore del faraone si ostinò e non diede loro ascolto, secondo quanto aveva detto il Signore. 23 Il faraone voltò le spalle e rientrò nella sua casa e non tenne conto neppure di questo fatto. 24 Tutti gli Egiziani scavarono allora nei dintorni del Nilo per attingervi acqua da bere, perché non potevano bere le acque del Nilo. 25 Trascorsero sette giorni da quando il Signore aveva colpito il Nilo.

 

Si tratta del fenomeno di un aumento di microrganismi (alghe microscopiche) nelle acque. Il fenomeno fu singolare e di proporzioni impressionanti. L’eutrofizzazione determinò un notevole abbassamento della presenza di ossigeno nelle acque per cui i pesci morirono. Non si tratta dunque del colore rossastro del Nilo durante la piena annuale, durante la quale i pesci muoiono. Quel fenomeno di eutrofizzazione toccò tutti i bacini d'acqua dell’Egitto. Gli Egiziani si ridussero a bere acqua prelevata dai pozzi che scavarono vicino al Nilo: la sabbia e la ghiaia fecero da filtro alle microscopiche alghe.

I maghi d’Egitto fecero lo stesso in recipienti pieni di acqua pulita: i microrganismi poterono essere presenti e prosperare per l’immissione di sostanze ritenute magiche; oppure i maghi bararono del tutto dando all’acqua il colore rosso con qualche colorante. Questo “prodigio” dei maghi bastò al faraone per rimanere nelle sue posizioni; il Dio di Israele non era, per lui, superiore agli dei d’Egitto.

Il Libro della Sapienza (11,6-7) vide il prodigio del sangue come un contrappasso al sangue versato dagli Egiziani negli infanticidi dei figli degli Ebrei.

 

2° Flagello: l’invasione delle rane

(26,29) 26 Il Signore disse a Mosè: "Va’ a riferire al faraone: ‹Dice il Signore: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire! 27 Se tu rifiuti di lasciarlo partire, ecco, io colpirò tutto il tuo territorio con le rane: 28 il Nilo brulicherà di rane; esse usciranno, ti entreranno in casa, nella camera dove dormi e sul tuo letto, nella casa dei tuoi ministri e tra il tuo popolo, nei tuoi forni e nelle tue madie. 29 Contro di te, contro il tuo popolo e contro tutti i tuoi ministri usciranno le rane›”.

 

(8) (1-11) 1 Il Signore disse a Mosè: "Di’ ad Aronne: ‹Stendi la mano con il tuo bastone sui fiumi, sui canali e sugli stagni e fa’ uscire le rane sulla terra d’Egitto!›”. 2 Aronne stese la mano sulle acque d’Egitto e le rane uscirono e coprirono la terra d’Egitto. 3 Ma i maghi, con i loro sortilegi, operarono la stessa cosa e fecero uscire le rane sulla terra d’Egitto.
4 Il faraone fece chiamare Mosè e Aronne e disse: "Pregate il Signore che allontani le rane da me e dal mio popolo; io lascerò partire il popolo, perché possa sacrificare al Signore!". 5 Mosè disse al faraone: "Fammi l’onore di dirmi per quando io devo pregare in favore tuo e dei tuoi ministri e del tuo popolo, per liberare dalle rane te e le tue case, in modo che ne rimangano soltanto nel Nilo".
6 Rispose: "Per domani". Riprese: "Sia secondo la tua parola! Perché tu sappia che non esiste nessuno pari al Signore, nostro Dio, 7 le rane si ritireranno da te e dalle tue case, dai tuoi ministri e dal tuo popolo: ne rimarranno soltanto nel Nilo".
8 Mosè e Aronne si allontanarono dal faraone e Mosè supplicò il Signore riguardo alle rane, che aveva mandato contro il faraone. 9 Il Signore operò secondo la parola di Mosè e le rane morirono nelle case, nei cortili e nei campi. 10 Le raccolsero in tanti mucchi e la terra ne fu ammorbata. 11 Ma il faraone vide che c’era un po’ di sollievo, si ostinò e non diede loro ascolto, secondo quanto aveva detto il Signore.

 

Momenti in cui il Nilo pullula di rane non sono ignoti, ma questa invasione di rane si presentò del tutto unica, eccezionale, immane.

Le rane cominciarono ad uscire dal Nilo e ad estendersi per il territorio d’Egitto. Una calamità che rese difficile la vita quotidiana degli Egiziani: una vera ossessione quelle rane, ovunque. I maghi d’Egitto fecero anche loro uscire rane dal fiume, ma ormai la loro dimostrazione di potenza era ben poca cosa. Il faraone rimase sconcertato e parve piegarsi al Dio D'Israele: rane anche nella sua reggia, rane nei templi, rane nelle case, rane dappertutto. Il Signore fece cessare il flagello dell’invasione delle rane. Le rane non uscirono più dal Nilo, le altre morirono e furono ammassate in cumuli maleodoranti. Ancora un segno di morte sull’Egitto.

 

3° Flagello: l’invasione delle zanzare

(12-15) 12 Quindi il Signore disse a Mosè: "Di’ ad Aronne: ‹Stendi il tuo bastone, percuoti la polvere del suolo: essa si muterà in zanzare in tutta la terra d’Egitto!›”. 13 Così fecero: Aronne stese la mano con il suo bastone, colpì la polvere del suolo e ci furono zanzare sugli uomini e sulle bestie; tutta la polvere del suolo si era mutata in zanzare in tutta la terra d’Egitto. 14 I maghi cercarono di fare la stessa cosa con i loro sortilegi, per far uscire le zanzare, ma non riuscirono, e c’erano zanzare sugli uomini e sulle bestie. 15 Allora i maghi dissero al faraone: "È il dito di Dio!". Ma il cuore del faraone si ostinò e non diede ascolto, secondo quanto aveva detto il Signore.

 

I maghi provarono a produrre le zanzare dalla polvere, ma dovettero darsi per vinti. “È il dito di Dio!” dissero.

Non si tratta di creazione di zanzare, ma di una loro straordinaria moltiplicazione.

 

4° Flagello: l’invasione di mosconi

(16-28) 16 Il Signore disse a Mosè: "Alzati di buon mattino e presèntati al faraone quando andrà alle acque. Gli dirai: ‹Così dice il Signore: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire! 17 Se tu non lasci partire il mio popolo, ecco, manderò su di te, sui tuoi ministri, sul tuo popolo e sulle tue case sciami di tafani: le case degli Egiziani saranno piene di tafani e anche il suolo sul quale essi si trovano. 18 Ma in quel giorno io risparmierò la regione di Gosen, dove dimora il mio popolo: là non vi saranno tafani, perché tu sappia che io sono il Signore in mezzo al paese! 19 Così farò distinzione tra il mio popolo e il tuo popolo. Domani avverrà questo segno›”. 20 Così fece il Signore: sciami imponenti di tafani entrarono nella casa del faraone, nella casa dei suoi ministri e in tutta la terra d’Egitto; la terra era devastata a causa dei tafani.
21 Il faraone fece chiamare Mosè e Aronne e disse: "Andate a sacrificare al vostro Dio, ma nel paese!". 22 Mosè rispose: "Non è opportuno far così, perché quello che noi sacrifichiamo al Signore, nostro Dio, è abominio per gli Egiziani. Se noi facessimo, sotto i loro occhi, un sacrificio abominevole per gli Egiziani, forse
non ci lapiderebbero? 23 Andremo nel deserto, a tre giorni di cammino, e sacrificheremo al Signore, nostro Dio, secondo quanto egli ci ordinerà!". 24 Allora il faraone replicò: "Vi lascerò partire e potrete sacrificare al Signore nel deserto. Ma non andate troppo lontano e pregate per me". 25 Rispose Mosè: "Ecco, mi allontanerò da te e pregherò il Signore; domani i tafani si ritireranno dal faraone, dai suoi ministri e dal suo popolo. Però il faraone cessi di burlarsi di noi, impedendo al popolo di partire perché possa sacrificare al Signore!".
26 Mosè si allontanò dal faraone e pregò il Signore. 27 Il Signore agì secondo la parola di Mosè e allontanò i tafani dal faraone, dai suoi ministri e dal suo popolo: non ne restò neppure uno. 28 Ma il faraone si ostinò anche questa volta e non lasciò partire il popolo.

 

I mosconi crearono una situazione di disagio drammatico. I cibi furono contaminati, il fastidio continuo, le punture dolorose. Nel Libro della Sapienza (15,18; 16,1) si afferma la presenza di un contrappasso tra la zoolatria degli Egizi e la calamità di tanti insetti: “Venerano anche gli animali più ripugnanti (vedi lo scarabeo) (…)Per questo furono giustamente puniti con esseri simili e torturati con una moltitudine di bestie”. Molte divinità egiziane avevano forme di animali, ma questo non determinava una formale adorazione degli animali, ma piuttosto una sorta di venerazione, una oscillante venerazione-adorazione, avendo gli Egiziani una religione enigmatica, contraddittoria, proteiforme. Dunque, i sacrifici di vitelli, di tori, di agnelli, di capri, sarebbero stati in abominio agli Egiziani.
Gosen è la terra dove c’era la città di Ramses; lì si erano insediati gli Israeliti con Giuseppe (Cf. Gn 47,1ss).

 

5° Flagello: la mortalità del bestiame

(9) (1-7) 1 Allora il Signore disse a Mosè: "Va’ a riferire al faraone: ‹Così dice il Signore, il Dio degli Ebrei: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire! 2 Se tu rifiuti di lasciarlo partire e lo trattieni ancora, 3 ecco, la mano del Signore verrà sopra il tuo bestiame che è nella campagna, sopra i cavalli, gli asini, i cammelli, sopra gli armenti e le greggi, con una peste gravissima! 4 Ma il Signore farà distinzione tra il bestiame d’Israele e quello degli Egiziani, così che niente muoia di quanto appartiene agli Israeliti›”. 5 Il Signore fissò la data, dicendo: "Domani il Signore compirà questa cosa nel paese!". 6 Appunto il giorno dopo, il Signore compì tale cosa: morì tutto il bestiame degli Egiziani, ma del bestiame degli Israeliti non morì neppure un capo. 7 Il faraone mandò a vedere, ed ecco, neppure un capo del bestiame d’Israele era morto. Ma il cuore del faraone rimase ostinato e non lasciò partire il popolo.

 

Il flagello colpì solo l’area del Delta. Infatti al faraone non mancarono i cavalli dell’esercito per inseguire Israele. Il flagello della peste sul bestiame è riportato nel salmo (77/78,48).

 

6° Flagello: le ulcere

(8-12) 8 Il Signore si rivolse a Mosè e ad Aronne: "Procuratevi una manciata di fuliggine di fornace: Mosè la sparga verso il cielo sotto gli occhi del faraone. 9 Essa diventerà un pulviscolo che, diffondendosi su tutta la terra d’Egitto, produrrà, sugli uomini e sulle bestie, ulcere degeneranti in pustole, in tutta la terra d’Egitto". 10 Presero dunque fuliggine di fornace e si posero alla presenza del faraone. Mosè la sparse verso il cielo ed essa produsse ulcere pustolose, con eruzioni su uomini e bestie. 11 I maghi non poterono stare alla presenza di Mosè a causa delle ulcere che li avevano colpiti come tutti gli Egiziani. 12 Ma il Signore rese ostinato il cuore del faraone, il quale non diede loro ascolto, come il Signore aveva detto a Mosè.

 

I maghi e il faraone di fronte ai prodigi delle zanzare e dei mosconi cercarono di ricomporre i loro convincimenti, non riconoscendo il Dio di Israele, quale unico Dio. I prodigi-flagello continuarono. Mosè lanciò in aria della fuliggine di fornace, materiale residuo del fuoco e quindi non ipotizzabile come materiale di contagio, ma ci fu un contagio che produsse ulcere. Anche qui non si deve pensare alla creazione di specie virali, ma ad una estesissima epidemia, probabilmente la flogosi o scabbia del Nilo, che produce eruzioni cutanee, degenerabili in gravi ulcerazioni. Le ulcerazioni colpirono anche i maghi, così venne dichiarato che essi erano impotenti a scacciare il male delle ulcere.
Non è Dio che rende ostinato il faraone, ma il suo colpevole rifiuto di piegarsi davanti a Dio. L'indurimento risale a Dio nel senso che questo avviene di fronte ai flagelli, che però di per sé erano per portare il faraone a vedere l'impotenza dei suoi falsi dei. Anche di fronte alla risurrezione di Lazzaro, miracolo fatto per portare alla fede, molti si indurirono fino alla decisione di dare la morte a Gesù (Gv 11,46s).
 

7° Flagello: la grandine

(13-35) 13 Il Signore disse a Mosè: "Alzati di buon mattino, presèntati al faraone e annunciagli: ‹Così dice il Signore, il Dio degli Ebrei: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire! 14 Perché questa volta io mando tutti i miei flagelli contro il tuo cuore, contro i tuoi ministri e contro il tuo popolo, perché tu sappia che nessuno è come me su tutta la terra. 15 Se fin da principio io avessi steso la mano per colpire te e il tuo popolo con la peste, tu ormai saresti stato cancellato dalla terra; 16 invece per questo ti ho lasciato sussistere, per dimostrarti la mia potenza e per divulgare il mio nome in tutta la terra. 17 Ancora ti opponi al mio popolo e non lo lasci partire! 18 Ecco, io farò cadere domani, a questa stessa ora, una grandine violentissima, come non ci fu mai in Egitto dal giorno della sua fondazione fino ad oggi. 19 Manda dunque fin d’ora a mettere al riparo il tuo bestiame e quanto hai in campagna. Su tutti gli uomini e su tutti gli animali che si troveranno in campagna e che non saranno stati ricondotti in casa, si abbatterà la grandine e moriranno›”. 20 Chi tra i ministri del faraone temeva il Signore fece ricoverare nella casa i suoi schiavi e il suo bestiame; 21 chi invece non diede retta alla parola del Signore lasciò schiavi e bestiame in campagna.

22 Il Signore disse a Mosè: "Stendi la mano verso il cielo: vi sia grandine in tutta la terra d’Egitto, sugli uomini, sulle bestie e su tutta la vegetazione dei campi nella terra d’Egitto!". 23 Mosè stese il bastone verso il cielo e il Signore mandò tuoni e grandine; sul suolo si abbatté fuoco e il Signore fece cadere grandine su tutta la terra d’Egitto. 24 Ci furono grandine e fuoco in mezzo alla grandine: non vi era mai stata in tutta la terra d’Egitto una grandinata così violenta, dal tempo in cui era diventata nazione! 25 La grandine colpì, in tutta la terra d’Egitto, quanto era nella campagna, dagli uomini alle bestie; la grandine flagellò anche tutta la vegetazione dei campi e schiantò tutti gli alberi della campagna. 26 Soltanto nella regione di Gosen, dove stavano gli Israeliti, non vi fu grandine.
27 Allora il faraone mandò a chiamare Mosè e Aronne e disse loro: "Questa volta ho peccato: il Signore è il giusto; io e il mio popolo siamo colpevoli. 28 Pregate il Signore: ci sono stati troppi tuoni violenti e grandine! Vi lascerò partire e non dovrete più restare qui". 29 Mosè gli rispose: "Non appena sarò uscito dalla città, stenderò le mani verso il Signore: i tuoni cesseranno e non grandinerà più, perché tu sappia che la terra appartiene al Signore. 30 Ma quanto a te e ai tuoi ministri, io so che ancora non temerete il Signore Dio". 31 Ora il lino e l’orzo erano stati colpiti, perché l’orzo era in spiga e il lino in fiore; 32 ma il grano e la spelta non erano stati colpiti, perché tardivi.
33 Mosè si allontanò dal faraone e dalla città; stese le mani verso il Signore: i tuoni e la grandine cessarono e la pioggia non si rovesciò più sulla terra. 34 Quando il faraone vide che la pioggia, la grandine e i tuoni erano cessati, continuò a peccare e si ostinò, insieme con i suoi ministri. 35 Il cuore del faraone si ostinò e non lasciò partire gli Israeliti, come aveva detto il Signore per mezzo di Mosè.

 

Dio potrebbe annientare con una peste tutto l’Egitto, ma usa moderazione in vista di un pentimento (Cf. Sap 11,15s), che tragicamente non vi sarà. La grandine scende disastrosa sull’Egitto, ma il faraone continua a credere di essere lui a condurre il gioco. Mosè però lo informa che sa che ancora non teme il Signore. Il fatto della perdita del raccolto dell’orzo e del lino dice che si era in febbraio.

 

8° Flagello: l’invasione di cavallette

(10) (1-20) 1 Allora il Signore disse a Mosè: "Va’ dal faraone, perché io ho indurito il cuore suo e dei suoi ministri, per compiere questi miei segni in mezzo a loro, 2 e perché tu possa raccontare e fissare nella memoria di tuo figlio e del figlio di tuo figlio come mi sono preso gioco degli Egiziani e i segni che ho compiuti in mezzo a loro: così saprete che io sono il Signore!".
3 Mosè e Aronne si recarono dal faraone e gli dissero: "Così dice il Signore, il Dio degli Ebrei: ‹Fino a quando rifiuterai di piegarti davanti a me? Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire. 4 Se tu rifiuti di lasciar partire il mio popolo, ecco, da domani io manderò le cavallette sul tuo territorio. 5 Esse copriranno la superficie della terra, così che non si possa più vedere il suolo: divoreranno il poco che è stato lasciato per voi dalla grandine e divoreranno ogni albero che rispunta per voi nella campagna. 6 Riempiranno le tue case, le case di tutti i tuoi ministri e le case di tutti gli Egiziani, cosa che non videro i tuoi padri, né i padri dei tuoi padri, da quando furono su questo suolo fino ad oggi!›”. Poi voltò le spalle e uscì dalla presenza del faraone.
7 I ministri del faraone gli dissero: "Fino a quando costui resterà tra noi come una trappola? Lascia partire questa gente, perché serva il Signore, suo Dio! Non ti accorgi ancora che l’Egitto va in rovina?". 8 Mosè e Aronne furono richiamati presso il faraone, che disse loro: "Andate, servite il Signore, vostro Dio! Ma chi sono quelli che devono partire?". 9 Mosè disse: "Partiremo noi insieme con i nostri
giovani e i nostri vecchi, con i figli e le figlie, con le nostre greggi e i nostri armenti, perché per noi è una festa del Signore". 10 Rispose: "Così sia il Signore con voi, com’è vero che io intendo lasciar partire voi e i vostri bambini! Badate però che voi avete cattive intenzioni. 11 Così non va! Partite voi uomini e rendete culto al Signore, se davvero voi cercate questo!". E li cacciarono dalla presenza del faraone.
12 Allora il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sulla terra d’Egitto per far venire le cavallette: assalgano la terra d’Egitto e divorino tutta l’erba della terra, tutto quello che la grandine ha risparmiato!». 13 Mosè stese il suo bastone contro la terra d’Egitto e il Signore diresse su quella terra un vento d’oriente per tutto quel giorno e tutta la notte. Quando fu mattina, il vento d’oriente aveva portato le cavallette. 14 Le cavallette salirono sopra tutta la terra d’Egitto e si posarono su tutto quanto il territorio d’Egitto. Fu cosa gravissima: tante non ve n’erano mai state prima, né vi furono in seguito. 15 Esse coprirono tutta la superficie della terra, così che la terra ne fu oscurata; divorarono ogni erba della terra e ogni frutto d’albero che la grandine aveva risparmiato: nulla di verde rimase sugli alberi e fra le erbe dei campi in tutta la terra d’Egitto.
16 Il faraone allora convocò in fretta Mosè e Aronne e disse: "Ho peccato contro il Signore, vostro Dio, e contro di voi. 17 Ma ora perdonate il mio peccato anche questa volta e pregate il Signore, vostro Dio, perché almeno allontani da me questa morte!".

18 Egli si allontanò dal faraone e pregò il Signore. 19 Il Signore cambiò la direzione del vento e lo fece soffiare dal mare con grande forza: esso portò via le cavallette e le abbatté nel Mar Rosso; non rimase neppure una cavalletta in tutta la terra d’Egitto. 20 Ma il Signore rese ostinato il cuore del faraone, il quale non lasciò partire gli Israeliti.

 

Il faraone è entrato nel tunnel cieco della negazione dell’azione sovrana di Dio e il suo cuore è diventato irremovibile. E’ diventato irremovibile nel rifiutare il comando di Dio di lasciare uscire il popolo d’Israele. Questo indurimento tragico produce l’effetto positivo di far vedere ad Israele la grandezza di Dio sull’Egitto. Dio è “Colui che è”, mentre gli dei d’Egitto “non sono”. Di fronte all’annuncio del flagello delle cavallette i ministri del faraone consigliano di lasciare partire Israele per quel sacrificio richiesto dal suo Dio, ma il faraone aggancia di nuovo i ministri a sé presentando che sotto i discorsi di Mosè e di Aronne si cela il piano malvagio di una fuga dall’Egitto di tutto il popolo, ne segue che i due vengono portati via dalla presenza del faraone: “Li cacciarono”.
Giunse il disastroso flagello delle cavallette. Il faraone convocò in fretta Mosè e Aronne: un incontro informale con lo scopo di avere la protezione dei due davanti a Dio. Ma il faraone non lasciò partire Israele, disobbedendo al comando di Dio. L'indurimento del faraone diventò uno strumento della grandezza di Dio, che con la sua potenza corroborò la fede di Israele. Il faraone si chiuse nella sua negazione, ponendosi distante dal bene del suo popolo.
 

9° Flagello: le tenebre

(21-29) 21 Allora il Signore disse a Mosè: "Stendi la mano verso il cielo: vengano sulla terra d’Egitto tenebre, tali da potersi palpare!". 22 Mosè stese la mano verso il cielo: vennero dense tenebre su tutta la terra d’Egitto, per tre giorni. 23 Non si vedevano più l’un l’altro e per tre giorni nessuno si poté muovere dal suo posto. Ma per tutti gli Israeliti c’era luce là dove abitavano.
24 Allora il faraone convocò Mosè e disse: "Partite, servite il Signore! Solo rimangano le vostre greggi e i vostri armenti. Anche i vostri bambini potranno partire con voi". 25 Rispose Mosè: "Tu stesso metterai a nostra disposizione sacrifici e olocausti, e noi li offriremo al Signore, nostro Dio. 26 Anche il nostro bestiame partirà con noi: neppure un’unghia ne resterà qui. Perché da esso noi dobbiamo prelevare le vittime per servire il Signore, nostro Dio, e noi non sapremo quel che dovremo sacrificare al Signore finché non saremo arrivati in quel luogo". 27 Ma il Signore rese ostinato il cuore del faraone, il quale non volle lasciarli partire. 28 Gli rispose dunque il faraone: "Vattene da me! Guardati dal ricomparire davanti a me, perché il giorno in cui rivedrai il mio volto, morirai". 29 Mosè disse: "Hai parlato bene: non vedrò più il tuo volto!".

 

Le tenebre sono una fitta tempesta di sabbia dovuta al vento hamsin, detto anche simun. La sabbia arrivò ad oscurare il sole. Le tempeste di sabbia avvengono in Egitto nel tempo di marzo.

 

Annuncio della morte dei primogeniti

(11) (1-8) 1 Il Signore disse a Mosè: «Ancora una piaga manderò contro il faraone e l’Egitto; dopo di che egli vi lascerà partire di qui. Vi lascerà partire senza condizioni, anzi vi caccerà via di qui. 2 Di’ dunque al popolo che ciascuno dal suo
vicino e ciascuna dalla sua vicina si facciano dare oggetti d’argento e oggetti d’oro».
3 Il Signore fece sì che il popolo trovasse favore agli occhi degli Egiziani. Inoltre Mosè era un uomo assai considerato nella terra d’Egitto, agli occhi dei ministri del faraone e del popolo.
4 Mosè annunciò: «Così dice il Signore: Verso la metà della notte io uscirò attraverso l’Egitto: 5 morirà ogni primogenito nella terra d’Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito della schiava che sta dietro la mola, e ogni primogenito del bestiame. 6 Un grande grido si alzerà in tutta la terra d’Egitto, quale non vi fu mai e quale non si ripeterà mai più. 7 Ma contro tutti gli Israeliti neppure un cane abbaierà, né contro uomini, né contro bestie, perché sappiate che il Signore fa distinzione tra l’Egitto e Israele. 8 Tutti questi tuoi ministri scenderanno da me e si prostreranno davanti a me, dicendo: “Esci tu e tutto il popolo che ti segue!”. Dopo, io uscirò!». Mosè, pieno d’ira, si allontanò dal faraone.

 

I primogeniti sono in riferimento al primo nato in assoluto; infatti la poligamia non incrinava questo diritto di primogenitura (Cf. Dt 21,15-17). Tuttavia normalmente il matrimonio era monogamico. La poligamia era praticata soprattutto dal faraone, in chiave di alleanze politiche. Ovviamente, i primogeniti del bestiame sono quelli di ogni prima nascita.

 

La grande notte: la Pasqua

(12) (1-14) 1 Il Signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d’Egitto: 2 "Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno. 3 Parlate a tutta la comunità d’Israele e dite: ‹Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. 4 Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, il più prossimo alla sua casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l’agnello secondo quanto ciascuno può mangiarne. 5 Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre 6 e lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. 7 Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case nelle quali lo mangeranno. 8 In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. 9 Non lo mangerete crudo, né bollito nell’acqua, ma solo arrostito al fuoco, con la testa, le zampe e le viscere. 10 Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato, lo brucerete nel fuoco. 11 Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore! 12 In quella notte io passerò per la terra d’Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d’Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto. Io sono il Signore! 13 Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d’Egitto. 14 Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne (...)›".

 

Il sacrificio dell’agnello aveva un antecedente nella cultura degli antichi nomadi o seminomadi pastori, che sacrificavano un agnello prima della migrazione stagionale. Era un sacrificio notturno, fatto in casa, all’inizio della primavera, nel plenilunio della primavera. Col sangue tingevano l’ingresso della tenda, come uso apotropaico, per scongiurare le insidie degli spiriti avversi. Anche le erbe amare e i pani azzimi cotti su lastre di pietra ricordano gli usi dei nomadi. Questi elementi erano noti agli Israeliti che conoscevano la transumanza.

Gli Israeliti celebrarono così un rito di partenza, di una partenza che era di liberazione. Il sangue negli stipiti aveva il significato di protezione dal flagello della morte dei primogeniti.

 

10° Flagello: la morte dei primogeniti

(29-36) 29 A mezzanotte il Signore colpì ogni primogenito nella terra d’Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito del prigioniero in carcere, e tutti i primogeniti del bestiame. 30 Si alzò il faraone nella notte e con lui i suoi ministri e tutti gli Egiziani; un grande grido scoppiò in Egitto, perché non c’era casa dove non ci fosse un morto!
31 Il faraone convocò Mosè e Aronne nella notte e disse: "Alzatevi e abbandonate il mio popolo, voi e gli Israeliti! Andate, rendete culto al Signore come avete detto. 32 Prendete anche il vostro bestiame e le vostre greggi, come avete detto, e partite! Benedite anche me!". 33 Gli Egiziani fecero pressione sul popolo, affrettandosi a mandarli via dal paese, perché dicevano: "Stiamo per morire tutti!". 34 Il popolo portò con sé la pasta prima che fosse lievitata, recando sulle spalle le madie avvolte nei mantelli.
35 Gli Israeliti eseguirono l’ordine di Mosè e si fecero dare dagli Egiziani oggetti d’argento e d’oro e vesti. 36 Il Signore fece sì che il popolo trovasse favore agli occhi degli Egiziani, i quali accolsero le loro richieste. Così essi spogliarono gli Egiziani.

 

Il libro della Sapienza presenta questo contrappasso (18,5): “Poiché essi avevano deliberato di uccidere i neonati dei santi - e un solo bambino fu esposto e salvato -, tu per castigo hai tolto di mezzo la moltitudine dei loro figli”. Il decreto del faraone (4,22-23) infatti non era stato revocato e gli Egiziani lo eseguivano con la speranza di dimostrare la potenza degli dei dell’Egitto. È ipotizzabile che ciò che colpì i primogeniti degli Egiziani sia stata un’epidemia fulminante, Nel salmo (77/78,50-51) si parla di peste. La valenza religiosa di questo flagello sta nel fatto che essendo i primogeniti egiziani consacrati ai loro dei (le primizie andavano consacrate alle divinità), dovevano essere sotto la loro speciale protezione. La morte dei primogeniti faceva apparire l'inesistenza degli dei egiziani (Es 12,12; Nm 33,4). “L’angelo sterminatore” (Es 12,23) è solo una figura che indica Dio, o meglio, l’azione di Dio, La stessa immagine dell’“angelo devastatore” o “angelo del Signore” la si ha nella “peste” che colpì il popolo a causa di un censimento voluto da Davide - e dal popolo - per la costituzione di una tassazione, che rendesse potente il regno di Davide (1Cr 21,12.15.16). Un censimento richiedeva quanto era prescritto in (Es 30,12), e che Davide non fece.

Il rito del riscatto dei primogeniti in Israele, mediante un sacrificio, derivava dal ricordo che i primogeniti di Israele erano stati risparmiati in Egitto. Tutti i primogeniti, anche quelli Egiziani, appartenevano a Dio, ma quelli di Israele vennero risparmiati (Es 11,7; 12,12-13; 13,1; 13,11s; 34,20; Nm 18,15).

Per rendere giustizia agli oppressi Dio giunge a colpire gli oppressori, altrimenti gli oppressori vincerebbero sempre. Ma accanto alla giustizia Dio accompagna la misericordia. Vari sogni terrificanti avuti dal popolo annunciavano l’imminente castigo (Sap !8,19), e perciò crearono un evento di salvezza per coloro che vollero comprendere.

 

Il risultato di questo flagello fu che l’Egitto ebbe il totale collasso morale.

 

Il passaggio del Mar Rosso

L’uscita dall’Egitto avvenne, come affermano gli esperti, dopo il regno di Ramses II (ca. 1298-1232), che fondò la città di Ramses nel delta del Nilo. A Ramses e a Pitom (città-deposito) lavorarono gli Israeliti.

L’uscita dall’Egitto avvenne sotto il faraone Merneptah (ca. 1232-1224).

Una stele (La stele di Merneptah, conservata al museo del Cairo) menziona gli Israeliti e li presenta come disfatti: “Israele è devastato, non esiste più il suo seme”. E’ una notizia fissata con compiacimento, considerando la loro sconfitta a Corma (Nm 14,459) e il loro vagare nel deserto (Nm 14,26-35). Per il faraone questo non poteva che essere interpretato come un segno della superiorità degli dei dell’Egitto: il Dio professato da Israele li aveva fatti uscire per poi distruggerli (Es 32,12): “Perché dovranno dire gli Egiziani: ‹Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra?›”.

 

(13) (17-20) 17 Quando il faraone lasciò partire il popolo, Dio non lo condusse per la strada del territorio dei Filistei, benché fosse più corta, perché Dio pensava: "Che il popolo non si penta alla vista della guerra e voglia tornare in Egitto!". 18 Dio fece deviare il popolo per la strada del deserto verso il Mar Rosso. Gli Israeliti, armati, uscirono dalla terra d’Egitto. 19 Mosè prese con sé le ossa di Giuseppe, perché questi aveva fatto prestare un solenne giuramento agli Israeliti, dicendo: "Dio, certo, verrà a visitarvi; voi allora vi porterete via le mie ossa".

 

Il popolo partì da Ramses (Es 12,37). Ramses era la città regale, situata nella zona del delta del Nilo. La strada più breve verso la Palestina era quella lungo il Mediterraneo, ma questa zona era molto presidiata da forze armate egiziane e Israele non era in grado di affrontare subito la guerra. Se qualche gruppo di Israeliti tentò questa strada venne massacrato. Così il popolo, subito dopo, si diresse verso sud, per la strada del deserto, a est del Mare dei Giunchi. Il Mare dei Giunchi (Yam Suph) è il termine con il quale in ebraico si designa il mar Rosso (nome occidentale). In particolare è da riferirsi all’ampia zona dei Laghi Amari, dove c’erano canne e giunchi nelle rive.
Il popolo secondo il libro dell'Esodo (12,37) contava “seicentomila uomini adulti, senza contare i bambini. Inoltre una grande massa di gente promiscua partì con loro e greggi e armenti in mandrie molto grandi”, ma tali cifre sono irreali e rappresentano probabilmente un censimento molto più tardivo introdotto in una redazione della narrazione dell’Esodo. C’è chi dice che originariamente i “mille” esprimerebbero i nuclei famigliari, che in seguito per errori di copisti divennero migliaia. Si può pensare ad un popolo di 3.000 - 4.000 persone, più gli animali, e anche così non sarebbe una cosa da poco.


(20-22) 20 Partirono da Succot e si accamparono a Etam, sul limite del deserto. 21 Il Signore marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una colonna di fuoco, per far loro luce, così che potessero viaggiare giorno e notte. 22 Di giorno la colonna di nube non si ritirava mai dalla vista del popolo, né la colonna di fuoco durante la notte.


Succot fu la prima tappa a cui seguì quella di Etam, sul limitare del deserto, cioè il limitare della steppa sinaitica a nord dei Laghi Amari. Il cammino viene presentato percorso a tappe forzate, in fretta, come in una fuga, segnato giorno e notte da una colonna di nube e da una colonna di fuoco.

 

(14) (1-4) 1 Il Signore disse a Mosè: 2 "Comanda agli Israeliti che tornino indietro e si accampino davanti a Pi-Achiròt, tra Migdol e il mare, davanti a Baal-Sefòn; di fronte a quel luogo vi accamperete presso il mare. 3 Il faraone penserà degli Israeliti: ‹Vanno errando nella regione; il deserto li ha bloccati!›. 4 Io renderò ostinato il cuore del faraone, ed egli li inseguirà; io dimostrerò la mia gloria contro il faraone e tutto il suo esercito, così gli Egiziani sapranno che io sono il Signore!". Ed essi fecero così.

 

Dio fece compiere al popolo una mossa strategica. Il diversivo era quello di far credere che gli Israeliti, di fronte al deserto del Sinai si fossero scoraggiati, e ora vagassero “nella regione”. Israele, tornando indietro verso il delta, riprese il cammino a ovest dei Laghi Amari, verso Suez. Per l’attraversamento c’era a Suez il guado della pista dei minatori, che portava alle miniere di rame della penisola del Sinai.

Al popolo la prospettiva appariva ragionevole, anche se indubbiamente Mosè non aveva comunicato il disegno di Dio. Un popolo, così pronto alla critica, doveva essere condotto con somma prudenza.

Gli Egiziani videro l’azione di Israele e concepirono un piano semplicissimo e micidiale: da una parte aspettare gli Israeliti tagliando loro la strada verso il guado di Suez e, dall’altra raggiungerli comprimendoli tra la montagna scoscesa e il mare (a sud dei Laghi Amari).

Giuseppe Flavio (“Antichità Giudaiche”, Libro II,324), descrive l’accerchiamento degli Egiziani: “Chiusero tutte le strade dalle quali immaginavano che gli Ebrei potessero fuggire, confinandoli così tra balze inaccessibili e il mare; si trattava del mare nel quale termina la montagna, per sua natura scabrosa: si pensava che fosse impossibile trovare in esso una strada per fuggire”.

Pi-Achirot” (bocca delle gole); “Migdol” (fortilizio); “Baal-Sefòn” (luogo di culto a Baal). Questi luoghi non sono identificati.

 

Cartina esodo

 

(5-9) 5 Quando fu riferito al re d’Egitto che il popolo era fuggito, il cuore del faraone e dei suoi ministri si rivolse contro il popolo. Dissero: "Che cosa abbiamo fatto, lasciando che Israele si sottraesse al nostro servizio?»" 6 Attaccò allora il cocchio e prese con sé i suoi soldati. 7 Prese seicento carri scelti e tutti i carri d’Egitto con i combattenti sopra ciascuno di essi. 8 Il Signore rese ostinato il cuore del faraone, re d’Egitto, il quale inseguì gli Israeliti mentre gli Israeliti uscivano a mano alzata. 9 Gli Egiziani li inseguirono e li raggiunsero, mentre essi stavano accampati presso il mare; tutti i cavalli e i carri del faraone, i suoi cavalieri e il suo esercito erano presso Pi-Achiròt, davanti a Baal-Sefòn.

 

Il popolo era fuggito”, cioè si era allontanato dall’Egitto come in una fuga, temendo un ripensamento del faraone. Il faraone aveva inteso dare agli Israeliti la libertà di andare nel deserto per compiere sacrifici a Dio, così come aveva chiesto Mosè (Es 5,3), ma ci fu anche una partenza (12,35) voluta dagli Egiziani stessi, che li scacciarono dal paese (12,39) dando loro tutto l'occorrente per andarsene via per sempre dall'Egitto. Il faraone, che temeva la fuga (10,10), reagì apprestando un inseguimento il cui esito, secondo il suo pensiero, non poteva che essere vincente. A “mano alzata” indica la libertà ottenuta da Israele.

 

(10-20) 10 Quando il faraone fu vicino, gli Israeliti alzarono gli occhi: ecco, gli Egiziani marciavano dietro di loro! Allora gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore. 11 E dissero a Mosè: "È forse perché non c’erano sepolcri in Egitto che ci hai portati a morire nel deserto? Che cosa ci hai fatto, portandoci fuori dall’Egitto? 12 Non ti dicevamo in Egitto: ‹Lasciaci stare e serviremo gli Egiziani, perché è meglio per noi servire l’Egitto che morire nel deserto?›". 13 Mosè rispose: "Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza del Signore, il quale oggi agirà per voi; perché gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete mai più! 14 Il Signore combatterà per voi, e voi starete tranquilli".
15 Il Signore disse a Mosè: "Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. 16 Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all’asciutto. 17 Ecco, io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. 18 Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri".
19 L’angelo di Dio, che precedeva l’accampamento d’Israele, cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò dietro. 20 Andò a porsi tra l’accampamento degli Egiziani e quello d’Israele. La nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la notte.

 

Mosè diede l'ordine di mettersi in cammino piegando verso la riva del mare. La nube si spostò dietro il popolo e dovette ingigantirsi in una nebbia densissima ed estesa. La velocità di assalto che gli Egiziani possedevano fu bloccata da una visibilità zero. Giunse la sera e Mosè stese la mano "sul mare" come gli aveva indicato il Signore
 

(21-23) 21 Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. 22 Gli Israeliti entrarono nel mare sull’asciutto, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. 23 Gli Egiziani li inseguirono, e tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono dietro di loro in mezzo al mare.

 

Israele si trovò di fronte ad un largo canale naturale, prolungamento del Mar Rosso, che giungeva fino ai Laghi Amari. Il tratto da attraversare non era più di due chilometri e mezzo, con una profondità di una decina di metri. Il passaggio avvenne sul far del mattino in tempo di bassa marea nel Mar Rosso, cosicché l’acqua non giungeva ad oltrepassare il guado di Suez, ma il canale era ugualmente profondo, inoltre il prodigio era avvenuto in tempo di alta marea. La marea a Suez giunge a un picco di 210 cm.

Il forte vento (un vento d’oriente), di carattere assolutamente straordinario (miracoloso: quoad modum), spirò da sud-est (Bisogna notare che il vento predominante in Egitto è quello di ponente - ovest - ed esistono anche venti da nord-ovest, che a volte sono così forti da respingere le acque basse della punta settentrionale dei canali creando spazi che si possono percorrere a piedi. Il vento d’oriente - est - è tipico della Palestina). Il vento da est era orientato proprio a prosciugare il fondo del varco.

Occorre considerare che le acque, cessato il vento, rimasero divise per il passaggio di Israele. Il forte vento avrebbe creato grosse difficoltà per il transito. Le acque, così, si aprirono in virtù della potenza divina segnalata dal gesto di Mosè - “stese la mano sul mare” -. Il vento, che soffiò tutta la notte ebbe il compito di asciugare il fondale fangoso, non di aprire un varco nel canale, la cui profondità non era di pochi metri.

"Un muro a destra e a sinistra”; le due muraglie rimasero fin quando gli Egiziani passarono e, trovandosi poi in difficoltà ritornarono indietro. Le acque si richiusero per il gesto dello stendere la mano di Mosè (13,26), e non perché il vento cessò, che già era cessato da tempo.

Va notato che le due muraglie indicano precisamente la modalità dell’intervento divino. Nel passaggio del Giordano c’è un solo argine, quella che fece da diga al fluire delle acque (Gs 3,13.16): “L’acqua che scorre da monte si fermerà come un solo argine”.

Risospinse il mare”, è l’azione naturale del vento che, rivolta a rendere asciutto il fondo, agita anche il mare; infatti si può tradurre anche con “agitò il mare”.

 

(24-28) 24 Ma alla veglia del mattino il Signore, dalla colonna di fuoco e di nube, gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. 25 Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: "Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!".
26 Il Signore disse a Mosè: "Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri". 27 Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. 28 Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno.

 

La veglia del mattino era tra le due e le sei: è dunque ormai passato un giorno. Gli Egiziani, che avevano proceduto nella notte lentamente a causa della visibilità zero, si inoltrarono a loro volta lungo il passaggio in mezzo al mare. Appena giunti alla riva opposta gli Egiziani si trovarono immobilizzati, probabilmente, nel fango di un temporale proveniente dalla nube e quindi nell’impossibilità di raggiungere Israele (Cf. Ps 77,18). Gli Egiziani capirono subito di essere perdenti di fronte al Dio d’Israele e per questo fuggirono ripercorrendo il passaggio nel mare, ma le acque piombarono su di loro con un fronte travolgente, e fu l’annientamento.

 

Il cammino nel deserto

Le acque di Mara

(15) (22-27) 22 Mosè fece partire Israele dal Mar Rosso ed essi avanzarono verso il deserto di Sur. Camminarono tre giorni nel deserto senza trovare acqua. 23 Arrivarono a Mara, ma non potevano bere le acque di Mara, perché erano amare. Per questo furono chiamate Mara. 24 Allora il popolo mormorò contro Mosè: "Che cosa berremo?". 25 Egli invocò il Signore, il quale gli indicò un legno. Lo gettò nell’acqua e l’acqua divenne dolce. In quel luogo il Signore impose al popolo una legge e un diritto; in quel luogo lo mise alla prova. 26 Disse: "Se tu darai ascolto alla voce del Signore, tuo Dio, e farai ciò che è retto ai suoi occhi, se tu presterai orecchio ai suoi ordini e osserverai tutte le sue leggi, io non t’infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitto agli Egiziani, perché io sono il Signore, colui che ti guarisce!". 27 Poi arrivarono a Elìm, dove sono dodici sorgenti di acqua e settanta palme. Qui si accamparono presso l’acqua.

 

Israele nel deserto dovette procedere alla media di una decina di km al giorno, e forse meno (5 km) considerando che c’era anche il bestiame - pecore, capre, vitelli - da far pascolare nei radi arbusti del deserto; poi c’era il lento procedere dei carri in una terra senza strade. La direzione presa non fu quella di percorrere il perimetro sud della penisola, ma di procedere a nord del Golfo di Aqaba, attraverso il deserto di Sur. Così si era lontani dalle fortezze egiziane del litorale Mediterraneo, come dall’intenzione originale.
Il Monte Sinai (Jebel Musa) nel sud della penisola non può essere l’autentico Sinai. Venne designato come tale dalla madre di Costantino, Flavia Giulia Elena, per un’impressione personale dovuta all’imponenza del monte.
Il Monte Sinai va ricercato nel territorio Madianita e non in quello egizio della penisola del Sinai. Mosè fuggi proprio presso i madianiti e il Monte di Dio, con il roveto ardente, era in quel territorio (Es 3,1s.12; 18,5). San Paolo dice (Gal 4,25) che il “Sinai è un monte dell’Arabia”. Nella stessa lettera (1,17) Paolo dice che dopo l’incontro con il Signore nella via di Damasco si recò in Arabia. Il senso di tale pellegrinaggio lo si può avere pensando che Paolo si recasse al Sinai per rivisitare tutta la storia di Israele prima di ritornare a Damasco a evangelizzare. Il monte rimane oggetto di discussione quanto alla localizzazione.

 

Quando assetati arrivarono alle acque di Mara vennero presi dallo sgomento perché le acque erano salate. La località è geograficamente incerta; quella ipotizzata dalla tradizione, come le altre successive, dipende dalla localizzazione del Sinai nel sud della penisola. Dio indicò a Mosè un legno per rendere bevibile l’acqua. Con tutta probabilità venne usato il succo di un arbusto per far precipitare un composto salino e quindi rendere l’acqua bevibile. Gli arabi dicono che c’è effettivamente un arbusto capace di fare questo.Il problema dell’acqua nel cammino verso il Sinai si affaccerà ancora una volta a Refidim (17,1ss). Nel deserto non mancavano oasi con sorgenti d’acqua, ma non alle distanze desiderate.

 

La manna e le quaglie

(16) (1-16) 1 Levarono le tende da Elìm e tutta la comunità degli Israeliti arrivò al deserto di Sin, che si trova tra Elìm e il Sinai, il quindici del secondo mese dopo la loro uscita dalla terra d’Egitto.
2 Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. 3 Gli Israeliti dissero loro: "Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine".
4 Allora il Signore disse a Mosè: "Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo
metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. 5 Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò che avranno raccolto ogni altro giorno".
6 Mosè e Aronne dissero a tutti gli Israeliti: "Questa sera saprete che il Signore vi ha fatto uscire dalla terra d’Egitto 7 e domani mattina vedrete la gloria del Signore, poiché egli ha inteso le vostre mormorazioni contro di lui. Noi infatti che cosa siamo, perché mormoriate contro di noi?". 8 Mosè disse: "Quando il Signore vi darà alla sera la carne da mangiare e alla mattina il pane a sazietà, sarà perché il Signore ha inteso le mormorazioni con le quali mormorate contro di lui. Noi infatti che cosa siamo? Non contro di noi vanno le vostre mormorazioni, ma contro il Signore".
9 Mosè disse ad Aronne: "Da’ questo comando a tutta la comunità degli Israeliti: ‹Avvicinatevi alla presenza del Signore, perché egli ha inteso le vostre mormorazioni!”›". 10 Ora, mentre Aronne parlava a tutta la comunità degli Israeliti, essi si voltarono verso il deserto: ed ecco, la gloria del Signore si manifestò attraverso la nube. 11 Il Signore disse a Mosè: 12 "Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: ‹Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio›”.
13 La sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino c’era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. 14 Quando lo strato di rugiada svanì, ecco, sulla superficie del deserto c’era una cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. 15 Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: "Che cos’è?", perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: "È il pane che il Signore vi ha dato in cibo. 16 Ecco che cosa comanda il Signore: ‹Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne, un omer a testa, secondo il numero delle persone che sono con voi. Ne prenderete ciascuno per quelli della propria tenda›”.

 

Deserto di Sin, che si trova tra Elìm e il Sinai”. Sin indica la divinità luna adorata nell’Arabia preislamica, fino alla Mesopotamia, quindi si deve intendere per “deserto di Sin” un’area ampia confluente nel deserto dell’Arabia. Si è all’estremo nord del Golfo di Aqaba. Il cibo scarseggiava, da qui la sfiducia nei confronti di Dio e di Mosè e di Aronne.

Le quaglie che arrivarono sull’accampamento erano quelle di ritorno dalla migrazione in Europa. Stremate dalla traversata del Mediterraneo, si fermavano a nord della penisola del Sinai, nella zona costiera. Gli Israeliti le poterono prendere senza difficoltà. Il prodigio delle quaglie sta dunque nella direzione del vento che le portò sul campo Israelita (Cf. Nm 11,31).

La manna è un secreto resinoso dato dai tamerischi quando sono punti da insetti: cocciniglie. I tamerischi sono numerosi anche oggi nelle valli del Sinai. La manna dunque è un prodotto naturale. La straordinarietà sta tutta nella quantità, certamente superiore a quella che potevano produrre le punture delle cocciniglie, e nel trasporto prodigioso al terreno attorno all’accampamento.

La manna, di forma granulosa, era depositata sul terreno insieme ad uno strato di rugiada. Lo strato di rugiada sciogliendosi lasciava allo scoperto la manna. La manna andava raccolta all’alba, poiché dopo si impastava con la sabbia.

I tamerischi danno la manna nella stagione tardo primaverile ed estiva. Le quaglie giungono abbondanti verso settembre.

 

(17-24) 17 Così fecero gli Israeliti. Ne raccolsero chi molto, chi poco. 18 Si misurò con l’omer: colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo; colui che ne aveva preso di meno, non ne mancava. Avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne. 19 Mosè disse loro: "Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino". 20 Essi non obbedirono a Mosè e alcuni ne conservarono fino al mattino; ma vi si generarono vermi e imputridì. Mosè si irritò contro di loro. 21 Essi dunque ne raccoglievano ogni mattina secondo quanto ciascuno mangiava; quando il sole cominciava a scaldare, si scioglieva.
22 Quando venne il sesto giorno essi raccolsero il doppio di quel pane, due omer a testa. Allora tutti i capi della comunità vennero a informare Mosè. 23 Egli disse loro: "È appunto ciò che ha detto il Signore: ‹Domani è sabato, riposo assoluto consacrato al Signore. Ciò che avete da cuocere, cuocetelo; ciò che avete da bollire, bollitelo; quanto avanza, tenetelo in serbo fino a domani mattina›”. 24 Essi lo misero in serbo fino al mattino, come aveva ordinato Mosè, e non imputridì, né vi si trovarono vermi.

 

La raccolta della manna non doveva essere ispirata all’accumulo, in una sfiducia in Dio per il domani. Chi fece questo vide che la manna accumulata veniva invasa dai vermi e imputridiva. Nella doppia raccolta per l’osservanza del sabato essa non imputridì.

La manna, se ben custodita, è conservabile, ma nel deserto tanti accorgimenti non si potevano attuare e chi trasgredì ebbe la sorpresa di vederla invasa dai vermi: una cosa che richiamava i flagelli d’Egitto (Cf. 15,26).

 

(25-36) 25 Disse Mosè: "Mangiatelo oggi, perché è sabato in onore del Signore: oggi non ne troverete nella campagna. 26 Sei giorni lo raccoglierete, ma il settimo giorno è sabato: non ve ne sarà".
27 Nel settimo giorno alcuni del popolo uscirono per raccoglierne, ma non ne trovarono. 28 Disse allora il Signore a Mosè: "Fino a quando rifiuterete di osservare i miei ordini e le mie leggi? 29 Vedete che il Signore vi ha dato il sabato! Per questo egli vi dà al sesto giorno il pane per due giorni. Restate ciascuno al proprio posto! Nel settimo giorno nessuno esca dal luogo dove si trova". 30 Il popolo dunque riposò nel settimo giorno.
31 La casa d’Israele lo chiamò manna. Era simile al seme del coriandolo e bianco; aveva il sapore di una focaccia con miele.
32 Mosè disse: "Questo ha ordinato il Signore: ‹Riempitene un omer e conservatelo per i vostri discendenti, perché vedano il pane che vi ho dato da mangiare nel deserto, quando vi ho fatto uscire dalla terra d’Egitto›". 33 Mosè disse quindi ad Aronne: "Prendi un’urna e mettici un omer completo di manna; deponila davanti al Signore e conservala per i vostri discendenti". 34 Secondo quanto il Signore aveva ordinato a Mosè, Aronne la depose per conservarla davanti alla Testimonianza.
35 Gli Israeliti mangiarono la manna per quarant’anni, fino al loro arrivo in una terra abitata: mangiarono la manna finché non furono arrivati ai confini della terra di Canaan. 36 L’omer è la decima parte dell’efa.

 

L’efa corrisponde a 45 litri, così un omer corrisponde a 4,5 litri. Israele non dovette sempre mangiare la manna, dato il ciclo biologico dei tamerischi, e neppure avere sempre le quaglie, così nei quarant'anni nel deserto, dovette sostenersi con i prodotti del bestiame come i nomadi: carne e latte; poi miele selvatico e anche vegetali presenti nelle oasi.

 

L’acqua scaturita dalla roccia

(17) (1-7) 1 Tutta la comunità degli Israeliti levò le tende dal deserto di Sin, camminando di tappa in tappa, secondo l’ordine del Signore, e si accampò a Refidìm. Ma non c’era acqua da bere per il popolo. 2 Il popolo protestò contro Mosè: "Dateci acqua da bere!". Mosè disse loro: "Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?". 3 In quel luogo il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: "Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?". 4 Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: "Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!". 5 Il Signore disse a Mosè: "Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! 6 Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà". Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. 7 E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: "Il Signore è in mezzo a noi sì o no?".

 

La comunità accampata nel “deserto di Sin” riprese il cammino giungendo a Redifim (località non nota), ma non distante dal Monte di Dio.

 Israele si trovò di fronte a un contingente Amalecita, che proveniva dal Negev, sua sede principale. Gli Amaleciti intendevano predare Israele. Israele costretto ad accamparsi in una zona priva d’acqua, ne ebbe in abbondanza per intervento di Dio. Oreb è un altro nome dato al Monte Sinai.

Il nome di “Massa e Meriba” va attribuito piuttosto a Meriba di Kades (Nm 20,13) dove avvenne un uguale prodigio dell’acqua (Nm 20,1s), ma dove, diversamente, Mosè ebbe parole insipienti.

Il Salmo 105/106,32-33 presenta il prodigio dell’acqua a Meriba di Kades connesso con l’esasperazione di Mosè: non è spiegabile, prima dell’arrivo al Sinai, tale esasperazione, che gli demeritò di vedere la Terra Promessa.

 

Il combattimento contro Amalek

(8-16) 8 Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm. 9 Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio». 10 Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. 11 Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. 12 Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. 13 Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli poi a fil di spada.

14 Allora il Signore disse a Mosè: "Scrivi questo per ricordo nel libro e mettilo negli orecchi di Giosuè: io cancellerò del tutto la memoria di Amalèk sotto il cielo!". 15 Allora Mosè costruì un altare, lo chiamò “Il Signore è il mio vessillo” 16 e disse:

"Una mano contro il trono del Signore!

Vi sarà guerra per il Signore contro Amalèk,
di generazione in generazione!".

 

Nello scontro non c’è ancora l’arca, che era, dopo il Sinai, il segno stabile con il quale Israele affrontava i suoi nemici (Cf. Nm 10,35; 14,44).

 Qui il segno è Mosè, che teneva nelle mani il bastone di Dio, con il quale aveva fatto scaturire l’acqua dalla roccia.

 

Le teofanie del Sinai e l'alleanza

Arrivo al Sinai e promessa dell’alleanza

(18) (1-8) 1 Ietro, sacerdote di Madian, suocero di Mosè, venne a sapere quanto Dio aveva operato per Mosè e per Israele, suo popolo, cioè come il Signore aveva fatto uscire Israele dall’Egitto. 2 Allora Ietro prese con sé Sipporà, moglie di Mosè, che prima egli aveva rimandata, 3 con i due figli di lei, uno dei quali si chiamava Ghersom, perché egli aveva detto: "Sono un emigrato in terra straniera", 4 e l’altro si chiamava Elièzer, perché: "Il Dio di mio padre è venuto in mio aiuto e mi ha liberato dalla spada del faraone". 5 Ietro dunque, suocero di Mosè, con i figli e la moglie di lui, venne da Mosè nel deserto, dove era accampato, presso la montagna di Dio. 6 Egli fece dire a Mosè: "Sono io, Ietro, tuo suocero, che vengo da te con tua moglie e i suoi due figli!". 7 Mosè andò incontro al suocero, si prostrò davanti a lui e lo baciò; poi si informarono l’uno della salute dell’altro ed entrarono sotto la tenda. 8 Mosè raccontò al suocero quanto il Signore aveva fatto al faraone e agli Egiziani a motivo di Israele, tutte le difficoltà incontrate durante il viaggio, dalle quali il Signore li aveva liberati.

 

 Il monte Sinai non coincide con il Jebel Musa (m. 2292). Il deserto presso il Monte Sinai, dove Israele si era accampato, è in terra madianita e si presenta con zone di pascolo e sorgenti d’acqua. Dal momento dell’uscita dall’Egitto all’ingresso nel deserto del Sinai trascorsero tre mesi (19,1).

 

Preparazione del popolo

(9-15) 9 Il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per venire verso di te in una densa nube, perché il popolo senta quando io parlerò con te e credano per sempre anche a te».
Mosè riferì al Signore le parole del popolo. 10 Il Signore disse a Mosè: "Va’ dal popolo e santificalo, oggi e domani: lavino le loro vesti 11 e si tengano pronti per il terzo giorno, perché nel terzo giorno il Signore scenderà sul monte Sinai, alla vista di tutto il popolo. 12 Fisserai per il popolo un limite tutto attorno, dicendo: ‹Guardatevi dal salire sul monte e dal toccarne le falde. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte. 13 Nessuna mano però dovrà toccare costui: dovrà essere lapidato o colpito con tiro di arco. Animale o uomo, non dovrà sopravvivere›. Solo quando suonerà il corno, essi potranno salire sul monte". 14 Mosè scese dal monte verso il popolo; egli fece santificare il popolo, ed essi lavarono le loro vesti. 15 Poi disse al popolo: "Siate pronti per il terzo giorno: non unitevi a donna".

 

Dio pose il divieto di avvicinarsi al monte per sottolineare come il cuore dell’uomo era sconsacrato dal peccato e per sottolineare la sua maestà.

La legge che Dio diede al popolo svelerà drammaticamente all’uomo la sua condizione di peccato (Cf. Rm 7,7).

Chi disobbediva e si avvicinava al monte prima del segnale del suono del corno era messo a morte. Il timor di Dio era inculcato sulla base del timore della pena.

C’era tutta una purità legale che doveva essere osservata, e che l’unione con donna comprometteva.

 

La prima teofania

(16-25) 16 Il terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore. 17 Allora Mosè fece uscire il popolo dall’accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte. 18 Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco, e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. 19 Il suono del corno diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce.
20 Il Signore scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte, e il Signore chiamò Mosè sulla vetta del monte. Mosè salì. 21 Il Signore disse a Mosè: "Scendi, scongiura il popolo di non irrompere verso il Signore per vedere, altrimenti ne cadrà una moltitudine! 22 Anche i sacerdoti, che si avvicinano al Signore, si santifichino, altrimenti il Signore si avventerà contro di loro!». 23 Mosè disse al Signore: «Il popolo non può salire al monte Sinai, perché tu stesso ci hai avvertito dicendo: ‹Delimita il monte e dichiaralo sacro›". 24 Il Signore gli disse: "Va’, scendi, poi salirai tu e Aronne con te. Ma i sacerdoti e il popolo non si precipitino per salire verso il Signore, altrimenti egli si avventerà contro di loro!". 25 Mosè scese verso il popolo e parlò loro.

 

Davanti agli Israeliti non si presenta un’attività vulcanica, ma è la nube che accompagnava Israele che si addensa cupa sulla cima del Sinai, con fulmini e tuoni, mentre il monte tremava per un terremoto. La nube, poi, si poserà mite sulla tenda del convegno. Sul Sinai, Dio si presentò come l’Onnipotente. Tutto ispirava tremore, timore. Egli aveva liberato il popolo dall’Egitto, dimostrando la sua potenza e misericordia, ma il popolo deve sapere in maniera inequivocabile che non lo potrà mai condizionare, chiudere a sé, né alcuno potrà reggere di fronte alla sua maestà.

La tromba che suonava ossessivamente è il segno che Dio teneva il popolo in stato di convocazione.

Non mancava chi era tentato di salire sul monte come Mosè, e Dio disse a Mosè di scendere a scongiurare il popolo di non irrompere verso il Signore per vedere. Era la tentazione di acquistare forza su Dio, carpendone il mistero, come gli Egiziani che pensavano di avere il potere sui loro dei.

Israele uscito dall’Egitto non era un popolo puro, come avrà a ricordare Ezechiele (20,6-11): “Allora alzando la mano giurai di farli uscire dalla terra d’Egitto e condurli in una terra scelta per loro, stillante latte e miele, che è la più bella fra tutte le terre. Dissi loro: “Ognuno getti via gli abomini che sono sotto i propri occhi e non vi contaminate con gli idoli d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio”.
Ma essi mi si ribellarono e non vollero ascoltarmi: non gettarono via gli abomini dei propri occhi e non abbandonarono gli idoli d’Egitto. Allora io decisi di riversare sopra di loro il mio furore e di sfogare contro di loro la mia ira, in mezzo al paese d’Egitto. Ma agii diversamente per onore del mio nome, perché non fosse profanato agli occhi delle nazioni in mezzo alle quali si trovavano, poiché avevo dichiarato che li avrei fatti uscire dalla terra d’Egitto sotto i loro occhi. Così li feci uscire dall’Egitto e li condussi nel deserto; diedi loro le mie leggi e feci loro conoscere le mie norme, perché colui che le osserva viva per esse
".

 

Il decalogo

(20) (2-17) 2 "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile:
3 Non avrai altri dèi di fronte a me.
4 Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. 5 Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, 6 ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

 

L’alleanza è stabilita da Dio con tutto un popolo.

La colpa è sempre un fatto personale, ma qui si vuole dare un avviso di punizione che riguarda il concetto di solidarietà familiare e tribale, per cui un padre influisce sui figli che ne devono condividere le idee. Se un Israelita, facendo leva sull’unità famigliare e tribale, tentasse una discendenza sulla base di una sua defezione religiosa, doveva sapere che la sua discendenza non sarebbe durata a lungo, poiché privata, in quanto discendenza, dell’assistenza di Dio.

Cristo col suo messaggio ha spezzato i tentativi di costruire discendenze religiose fondate sulla carne e sul sangue (Cf. Gv 1,13).


7 Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.
8 Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. 9 Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; 10 ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te.  11 Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato.
12 Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.
13 Non ucciderai.
14 Non commetterai adulterio.
15 Non ruberai.
16 Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
17 Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo".

 

La seconda teofania

Dopo la conclusione dell’alleanza Dio permise di salire sul monte anche ad Aronne e a settanta anziani rappresentanti del popolo.

 

(24) (9-11) 9 Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani d’Israele. 10 Essi videro il Dio d’Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffiro, limpido come il cielo. 11 Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e poi mangiarono e bevvero.

 

Il gruppo entrò nella nube (non è menzionata, ma va presupposta) ed ebbe una visione. Si può pensare che Dio si presentò nell’immagine di un sovrano su di un trono (Cf. Ez 1,26; Ap 4,2-3). Sotto di lui un pavimento di zaffiro, azzurro come il cielo. E’ una visione di pace, di sicurezza, che Dio dà al gruppo perché la diffonda tra il popolo spaventato dalla prima teofania. Dio è il re il cui trono è nel cielo; a lui si deve obbedienza.

 

L’arca della testimonianza

(25) (10-22) 10 "Faranno dunque un’arca di legno di acacia: avrà due cubiti e mezzo di lunghezza, un cubito e mezzo di larghezza, un cubito e mezzo di altezza. 11 La rivestirai d’oro puro: dentro e fuori la rivestirai e le farai intorno un bordo d’oro. 12 Fonderai per essa quattro anelli d’oro e li fisserai ai suoi quattro piedi: due anelli su di un lato e due anelli sull’altro. 13 Farai stanghe di legno di acacia e le rivestirai d’oro. 14 Introdurrai le stanghe negli anelli sui due lati dell’arca per trasportare con esse l’arca. 15 Le stanghe dovranno rimanere negli anelli dell’arca: non verranno tolte di lì. 16 Nell’arca collocherai la Testimonianza che io ti darò.
17 Farai il propiziatorio, d’oro puro; avrà due cubiti e mezzo di lunghezza e un cubito e mezzo di larghezza. 18 Farai due cherubini d’oro: li farai lavorati a martello sulle due estremità del propiziatorio. 19 Fa’ un cherubino a una estremità e un cherubino all’altra estremità. Farete i cherubini alle due estremità del propiziatorio. 20 I cherubini avranno le due ali spiegate verso l’alto, proteggendo con le ali il propiziatorio; saranno rivolti l’uno verso l’altro e le facce dei cherubini saranno rivolte verso il propiziatorio. 21 Porrai il propiziatorio sulla parte superiore dell’arca e collocherai nell’arca la Testimonianza che io ti darò. 22 Io ti darò convegno in quel luogo: parlerò con te da sopra il propiziatorio, in mezzo ai due cherubini che saranno sull’arca della Testimonianza, dandoti i miei ordini riguardo agli Israeliti".

 

L’arca probabilmente fu distrutta dai Babilonesi, che indubbiamente ne portarono via le parti in oro (587) (Cf. Ger 3,16); (Cf. 2Mac 2,5; riporta una leggenda attribuita a Geremia su come venne nascosta l’arca e sul suo futuro), ma è pensiero comune che nel tempio eretto nel postesilio vi fosse il propiziatorio: il coperchio d’oro massiccio posto sopra l’arca, della quale faceva parte integrante sebbene strutturalmente distinto. Il propiziatorio fece dunque parte degli arredi che vennero restituiti ad Israele da Ciro (Cf. Esd 1,7-11; purtroppo l’elenco degli arredi è mutilo).

Il nome dato ai due esseri alati, i cherubini, corrisponde ai karibu babilonesi. Il termine, di origine accadica, è stato preso dalla tradizione jahvista (Cf. Gn 3,24) e va visto come un elemento del patrimonio culturale di cui fu portatore Abramo.

La tipologia di esseri alati su di un’arca portatile che con le ali proteggevano un idolo era diffusa in Egitto, dove gli esseri alati rappresentavano delle semidivinità.

La Testimonianza sono le due tavole dei comandamenti. Nell’arca venne messa anche un’urna contenente della manna (Es 16,34) e la verga di Aronne (Cf. Eb 9,4).

 

La tenda del convegno

(26) (1-37) "1 Quanto alla Dimora, la farai con dieci teli di bisso ritorto, di porpora viola, di porpora rossa e di scarlatto. Vi farai figure di cherubini, lavoro d’artista. 2 La lunghezza di un telo sarà di ventotto cubiti; la larghezza di quattro cubiti per un telo; la stessa dimensione per tutti i teli. 3 Cinque teli saranno uniti l’uno all’altro e anche gli altri cinque saranno uniti l’uno all’altro. 4 Farai cordoni di porpora viola sull’orlo del primo telo all’estremità della sutura; così farai sull’orlo del telo estremo nella seconda sutura. 5 Farai cinquanta cordoni al primo telo e farai cinquanta cordoni all’estremità della seconda sutura: i cordoni corrisponderanno l’uno all’altro. 6 Farai cinquanta fibbie d’oro e unirai i teli l’uno all’altro mediante le fibbie, così la Dimora formerà un tutto unico. 7 Farai poi teli di pelo di capra per la tenda sopra la Dimora. Ne farai undici teli.  8 La lunghezza di un telo sarà di trenta cubiti; la larghezza di quattro cubiti per un telo; la stessa dimensione per gli undici teli. 9 Unirai insieme cinque teli da una parte e sei teli dall’altra. Piegherai in due il sesto telo sulla parte anteriore della tenda. 10 Farai cinquanta cordoni sull’orlo del primo telo, che è all’estremità della sutura, e cinquanta cordoni sull’orlo del telo della seconda sutura. 11 Farai cinquanta fibbie di bronzo, introdurrai le fibbie nei cordoni e unirai insieme la tenda; così essa formerà un tutto unico. 12 La parte che pende in eccedenza nei teli della tenda, la metà cioè di un telo che sopravanza, penderà sulla parte posteriore della Dimora. 13 Il cubito in eccedenza da una parte, come il cubito in eccedenza dall’altra parte, nel senso della lunghezza dei teli della tenda, ricadranno sui due lati della Dimora, per coprirla da una parte e dall’altra. 14 Farai per la tenda una copertura di pelli di montone tinte di rosso e al di sopra una copertura di pelli di tasso.
15 Poi farai per la Dimora le assi di legno di acacia, da porsi verticali. 16 La lunghezza di un’asse sarà dieci cubiti e un cubito e mezzo la larghezza. 17 Ogni asse avrà due sostegni, congiunti l’uno all’altro da un rinforzo. Così farai per tutte le assi della Dimora. 18 Farai dunque le assi per la Dimora: venti assi verso il mezzogiorno, a sud. 19 Farai anche quaranta basi d’argento sotto le venti assi, due basi sotto un’asse, per i suoi due sostegni, e due basi sotto l’altra asse, per i suoi due sostegni. 20 Per il secondo lato della Dimora, verso il settentrione, venti assi, 21 come anche le loro quaranta basi d’argento, due basi sotto un’asse e due basi sotto l’altra asse. 22 Per la parte posteriore della Dimora, verso occidente, farai sei assi. 23 Farai inoltre due assi per gli angoli della Dimora sulla parte posteriore. 24 Esse saranno formate ciascuna da due pezzi uguali abbinati e perfettamente congiunti dal basso fino alla cima, all’altezza del primo anello. Così sarà per ambedue: esse formeranno i due angoli. 25 Vi saranno dunque otto assi, con le loro basi d’argento: sedici basi, due basi sotto un’asse e due basi sotto l’altra asse. 26 Farai inoltre traverse di legno di acacia: cinque per le assi di un lato della Dimora 27 e cinque traverse per le assi dell’altro lato della Dimora e cinque traverse per le assi della parte posteriore, verso occidente. 28 La traversa mediana, a mezza altezza delle assi, le attraverserà da una estremità all’altra. 29 Rivestirai d’oro le assi, farai in oro i loro anelli, che serviranno per inserire le traverse, e rivestirai d’oro anche le traverse. 30 Costruirai la Dimora secondo la disposizione che ti è stata mostrata sul monte.
31 Farai il velo di porpora viola, di porpora rossa, di scarlatto e di bisso ritorto. Lo si farà con figure di cherubini, lavoro d’artista. 32 Lo appenderai a quattro colonne di acacia, rivestite d’oro, munite di uncini d’oro e poggiate su quattro basi d’argento. 33 Collocherai il velo sotto le fibbie e là, nell’interno oltre il velo, introdurrai l’arca della Testimonianza. Il velo costituirà per voi la separazione tra il Santo e il Santo dei Santi. 34 Porrai il propiziatorio sull’arca della Testimonianza nel Santo dei Santi. 35 Collocherai la tavola fuori del velo e il candelabro di fronte alla tavola sul lato meridionale della Dimora; collocherai la tavola sul lato settentrionale. 36 Farai una cortina all’ingresso della tenda, di porpora viola e di porpora rossa, di scarlatto e di bisso ritorto, lavoro di ricamatore. 37 Farai per la cortina cinque colonne di acacia e le rivestirai d’oro. I loro uncini saranno d’oro e fonderai per esse cinque basi di bronzo".

 

La tenda, la Dimora, è descritta come una struttura smontabile e quindi trasportabile. Il suo disegno è presentato proveniente da una visione avuta da Mosè sul monte (Cf. Es 33,7; 38,8; Nm 11,16; 12,4; Dt 31,14).

Il testo non ha una descrizione completa della tenda; manca la descrizione dei pali di sostegno, delle corde longitudinali per il sostegno dei tendoni, delle corde e dei picchetti per il fissaggio a terra, come pure manca l’annotazione delle dimensioni dei due ultimi tendoni.

Tutto fa dire che non si ha un’invenzione redazionale della tenda, perché il testo non avrebbe presentato lacune posta la descrizione analitica di tanti dettagli. Subito si può rilevare che quattro tendoni per la tenda del Sinai appaiono eccessivi. La tenda del Sinai doveva avere solo due tendoni: quello dipinto di rosso e il sovrastante tendone di pelli di tasso. Gli altri due tendoni, quello di capra e quello di bisso colorato, non possono che appartenere ad un'altra edizione della tenda del convegno: anche oggi infatti la copertura delle tende dei beduini è di pelo di capra.

Questi due ultimi tendoni, di fattura elaborata, hanno un modulo (1 cubito equivale a 45 cm) che non collima con quello dei pannelli rivestiti di lamina d’oro, e dunque questi vanno pensati in relazione con i due tendoni riportati senza le misure.

Si presentano così due tende. Una di queste è quella del deserto, che al tempo dell’ingresso nella Terra Promessa venne collocata a Silo (Gs 18,1; 1Sam 2,22) (Silo era situato nel territorio della tribù di Efraim, a nord di Betel) dentro un recinto di pietra, realizzando così il cortile dove c’era l’altare degli olocausti e la vasca per le abluzioni. Il tutto venne detto “la casa di Jahvéh” (1Sam 1,7.24; 3,15), “il tempio (palazzo) di Jahvéh” (1Sam 3,3), “la casa di Dio” (Giud 18,31). Addossati all'interno del muro del recinto, dotato di una porta che si chiudeva di notte (1Sam 1,9; 3,15.18), c’erano le abitazioni dei sacerdoti, i magazzini per l’acqua e la legna, i locali necessari per il cambio delle vesti. Poiché non è pensabile che la tenda del deserto avesse dei pannelli di legno, rivestiti per di più di oro, visto che il trasporto sarebbe stato improponibile nel deserto, tali pannelli dovettero essere costruiti come arricchimento della tenda del convegno una volta posta nel tempio di Silo.

Il santuario, tenda compresa, venne distrutto dai Filistei (1 Sam 4,1s; Ps 78,60; Ger 7,12; 26,6). L’arca non era presente, perché in mano ai Filistei (1Sam 4,11).

L’altra tenda si deve pensare che sia quella fatta costruire da Davide in Gerusalemme (2Sam 7,1; 1Re 1,39), e poi portata, smontata, in un qualche locale del tempio di Salomone (1Re 8,4).

Il recinto di bisso della tenda del deserto (Es 27,9) deriva probabilmente da quello della tenda di Davide, poiché il recinto del deserto doveva essere di robuste pelli di montone.

Concludendo, lo scrittore sacro si trovò di fronte ai dati delle due tende, accreditati come facenti parte dell’unica tenda del deserto, e li presentò come tali, senza intervenire con un’armonizzazione dei dati.

 

La terza teofania

(33) (18-23) 18 Gli disse: "Mostrami la tua gloria!". 19 Rispose: "Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia". 20 Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». 21 Aggiunse il Signore: "Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: 22 quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. 23 Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere".

 

Questa teofania si colloca dopo l’episodio tragico del vitello d’oro. Mosè, che nello sdegno aveva spezzato le tavole della legge, pregò Dio di continuare a camminare in mezzo al popolo, e Dio ascoltò la sua supplica (Es 33,1-17). Mosè a questo punto gli chiese di poter vedere la sua Gloria, come segno di intimità con lui, come forza per sostenere il peso di un popolo di “dura cervice” (Cf. Es 33,3).

La teofania avvenne sul Sinai. Il fatto della morte di chi vede il volto di Dio è - semplicemente - legato al rispetto che si deve a Dio; il servo deve abbassare lo sguardo. Teologicamente nessun uomo potrebbe vedere Dio, ora, nel tempo, così come egli è (Gv 1,18) e rimanere in vita, poiché l'anima e quindi di riflesso il corpo avrebbero un tale sobbalzo da causare la morte.

I cherubini, che vedono Dio così come egli è (Cf. Is 6,2; Mt 18,10), si coprivano il volto, nella visione avuta da Isaia, per riverenza alla maestà di Dio

Elia sull’Oreb (19,13) si coprì il volto quando uscì dalla caverna alla presenza di Dio.

Si legge (Es 33,11) che Mosè parlava con Dio “faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico”, ma non si tratta della visione beatifica di Dio, del vederlo così come egli è. Solo in cielo noi vedremo Dio così come egli è.

Dio disse: “A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia”. La misericordia di Dio è libera e non conseguente all’iniziativa dell’uomo. Essa, tuttavia, si realizza nell'uomo quando l’uomo apre il  cuore ad accoglierla.

 

La quarta teofania e il rinnovo dell’alleanza

(34) (1-12.27-29) 1 Il Signore disse a Mosè: "Taglia due tavole di pietra come le prime. Io scriverò su queste tavole le parole che erano sulle tavole di prima, che hai spezzato. 2 Tieniti pronto per domani mattina: domani mattina salirai sul monte Sinai e rimarrai lassù per me in cima al monte. 3 Nessuno salga con te e non si veda nessuno su tutto il monte; neppure greggi o armenti vengano a pascolare davanti a questo monte". 4 Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano.
5 Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. 6 Il Signore passò davanti a lui, proclamando: "Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, 7 che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione". 8 Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. 9 Disse: "Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità".
10 Il Signore disse: "Ecco, io stabilisco un’alleanza: in presenza di tutto il tuo popolo io farò meraviglie, quali non furono mai compiute in nessuna terra e in nessuna nazione: tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l’opera del Signore, perché terribile è quanto io sto per fare con te.
11 Osserva dunque ciò che io oggi ti comando. Ecco, io scaccerò davanti a te l’Amorreo, il Cananeo, l’Ittita, il Perizzita, l’Eveo e il Gebuseo. 12 Guardati bene dal far alleanza con gli abitanti della terra nella quale stai per entrare, perché ciò non diventi una trappola in mezzo a te (...)".

27 Il Signore disse a Mosè: "Scrivi queste parole, perché sulla base di queste parole io ho stabilito un’alleanza con te e con Israele".
28 Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole.
29 Quando Mosè scese dal monte Sinai - le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte - non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui.

 

Il libro dell’Esodo presenta come Mosè sul Sinai incontrò il Signore e da lui ricevette la Legge, cioè i comandamenti e le disposizioni cultuali e anche civili, tuttavia una tradizione giudaica diceva che la Legge era stata data a Mosè per mano di angeli. La tradizione però non oscurava Dio, ma solo dava un ruolo mediatore agli angeli nella consegna delle disposizioni divine a Mosè.
Tale tradizione fu sicuramente molto sostenuta e diffusa dai farisei contro i sadducei, i quali negavano l’esistenza degli angeli, la tradizione è ritrovabile in alcuni testi del Nuovo Testamento (At 7,38.53; Gal 3,19; Eb 2,2).