Padre Paolo Berti: "Note al Cantico dei Cantici"

Nulla Osta da parte dell'Ordine
alla stampa delle "Note al Cantico dei Cantici"
P. Corrado Quinto Corazza
Ministro Provinciale
Curia Provinciale dei frati minori Cappuccini
Bologna

Testo e commento

Capitolo    
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Il Cantico dei Cantici è una composizione poetica della Bibbia che lascia sorpresi.
A prima vista, di fronte al linguaggio dell'amore, viene il pensiero che il testo si riferisca direttamente all'incontro uomo-donna, ma ad una lettura più attenta e approfondita si vede nitidamente come il Cantico dei Cantici abbia riferimenti soprannaturali, sia cioè da ascrivere nell'ambito dell'incontro tra Dio e il suo popolo. Non è concepibile come uno sposo ardente (1,7) non abbia comunicato alla sposa dove porta il gregge.
Non è concepibile che un innamorato, che sente una possibilità di vacillamento dell'innamorata, che potrebbe andare (1,7) "dietro le greggi dei tuoi compagni", la mandi, rimproverandola, "presso le tende dei pastori", con le sue caprette, e non presso di sé.
Non è possibile pensare che uno sposo (2,8ss) corra verso la casa della sua diletta come un cerbiatto e lei lo veda e poi debba fermarsi "dietro il nostro muro" e guardi dalla finestra e spii tra le inferriate, e non entri; e poi dica all'amata di alzarsi, quasi che fosse ancora sul giaciglio.
È del tutto impensabile che una sposa (3,1) cerchi lungo la notte, sul suo giaciglio, nella sua stanza, il suo sposo senza trovarlo, e decida di uscire di casa per cercarlo.
Difficile che uno sposo (5,2) non possa entrare in casa e debba bussare, e alla fine se ne vada senza gridare e senza, perlomeno, sostare nei pressi.
Impossibile pensare che una sposa (8,1) sia così bramosa di baci pubblici, tanto da desiderare che lo sposo le sia fratello della stessa madre (siamo in campo poligamico) per non avere critiche. Ma, poi, i baci nuziali non sono ben diversi da quelli parentali?

Se nel Cantico dei Cantici si parla dell'incontro tra Dio e il suo popolo, deve esserci una storia: una storia d'amore. Chi non l'ha saputa trovare ha frammentato il Cantico in vari poemi, letti poi come poemi celebrativi dell'incontro nuziale umano. Ma una storia indubbiamente c'è. Nei versetti 3,7-11, si parla di Salomone in termini di aderenza storica con quanto si legge nel primo Libro dei Re (1,12ss). Poi (8,11-12) si parla di Salomone in termini non trionfali, come se fosse stato di ostacolo per la sposa, e di fatto lo fu perché incominciò a far entrare in Israele l'idolatria (1Re 11,1ss).
Fuori dubbio, ci sono i tratti di una storia, e questa è la base di riferimento della composizione del Cantico dei Cantici, che si snoda usando l'analogia nuziale dei profeti, in particolare di Osea.

La sposa (qalla') è propriamente "la fidanzata". Dunque nel Cantico dei Cantici si ha una sposa che è in realtà una sposa-fidanzata.
Si deve notare che non viene mai usato il termine "sposo", né "fidanzato"; i termini che usa la "la sposa-fidanzata" sono: "amore dell'anima mia"; "il mio diletto"; "mio diletto"; "l'amato del mio cuore". Dunque nessun rischio per il lettore di perdere il riferimento a Dio.

Una lettura che veda nel Cantico pesantezze di sensualità è inconcepibile, per la stessa realtà della composizione.

La sposa è la comunità di Gerusalemme.
La comunità di Gerusalemme, nell'ambito dell'impianto monarchico che la sorreggeva, e che da lei procedeva, era la comunità madre delle comunità di Israele. Le figlie di Gerusalemme sono così le varie comunità di Israele: (Cf. 2Sam 20,19; Is. 16,2; 23,10; 23, 12; ecc. Ger 46,11; 46, 24; 51, 33; ecc.; Ez 16,46).
L’impianto monarchico della dinastia davidica, nel post-esilio, era tramontato con la dominazione babilonese, rimanendo però, ancora più viva, l’attesa del futuro Re Messia.
La data della composizione del Cantico dei Cantici è nel post-esilio. Lo conferma il fatto che nel Cantico dei Cantici vi sono parole di origine persiana, ad esempio: égoz (noce), pardes (giardino), nerd (nardo), karkom (zafferano), ecc. e si ritrovano molti aramaismi tipici del post-esilio.
Il Cantico dei Cantici presenta la storia d’amore tra Dio e il suo popolo, segnata da incontri fulgidi, ma anche da infedeltà, per lanciarsi verso il futuro Messia Il presente commento metterà in luce il riferimento storico, di cronaca, ma bisogna avvertire che il fatto centrale del Cantico dei Cantici sono gli incontri d'amore: essi sono costitutivi della storia d'amore.
Bisogna lasciarsi prendere dal Cantico, dalle sue inesauribili luci.
C'è un insegnamento di inesauribile luce circa gli incontri tra la singola anima e Dio.

Il pensiero che il Cantico dei Cantici sia una raccolta di poemi di carattere nuziale (1,5-2,7; 2,8-3,5; 3,6-5,1; 5,2-5,16; 6,4-8,4) non risulta affatto un sicuro approdo esegetico. Il presente lavoro vuole essere la riconsiderazione attenta e rinnovata della plurisecolare tradizione, sia ebraica che cristiana, che ha interpretato il Cantico dei Cantici come incontro tra Dio e il suo popolo. Questo lavoro non vuole "sovrapporsi" alla bellezza luminosa del Cantico, ma vuole essere una traccia agevole e sicura per coglierla.

Con ciò viene, di conseguenza, celebrata la grandezza dell'incontro sponsale tra l'uomo e la donna, e in un modo che va ben oltre i parametri mentali del tempo di allora e anche, spessissimo, del tempo contemporaneo. L'unione sponsale tra l'uomo e la donna, che costituisce l'accesso all'interpersonalità (Gn 2,18: "Non è bene che l'uomo sia solo") al livello di "un'unica carne", diventa nel Nuovo Testamento l'immagine del grande mistero sponsale che unisce Cristo alla Chiesa (Ef 6,32). Questo grande mistero ha espressione non solo nel sacramento del matrimonio, ma anche, con la determinazione di una speciale sequela Christi, nella consacrazione verginale per un amore indiviso a Cristo (Mt 19,11-12; 1Cor 7,34).
  (1) Cantico dei cantici, che è di Salomone
 
Assolutamente il Cantico dei Cantici non è stato composto da Salomone; non c'è esegeta che ponga questo in dubbio. La titolazione è chiaramente tardiva.
  Prologo

Mi baci con i baci della sua bocca!
Sì, migliore del vino è il tuo amore.
Inebrianti sono i tuoi profumi per la fragranza,
aroma che si spande è il tuo nome:
per questo le ragazze di te si innamorano.
Trascinami con te, corriamo!
M'introduca il re nelle sue stanze:
gioiremo e ci rallegreremo di te,
ricorderemo il tuo amore più del vino.
A ragione di te ci si innamora!
 
È scontato che i baci vengono dati con la bocca e dunque può apparire inutile dire: "Mi baci coi baci della sua bocca". Ma, non è inutile, perché quella "bocca" indica la persona del Messia. Attraverso il Messia, Dio darà baci alla comunità di Gerusalemme. Gerusalemme li desidera ardentemente. È l'ardore della comunità gerolosomitana dell'immediato postesilio, il desiderio delle nozze con il Re-Messia. Le stanze nelle quali desidera essere introdotta insieme alle giovinette (le varie comunità di Israele), sono un'immagine viva del cammino di intimità con Dio, sempre crescente.
  La grande storia d'amore

Bruna sono ma bella,

o figlie di Gerusalemme,
come le tende di Kedar,
come le cortine di Salomone.
Non state a guardare se sono bruna,
perché il sole mi ha abbronzata.
I figli di mia madre si sono sdegnati con me:
mi hanno messo a guardia delle vigne;
la mia vigna, la mia, non l'ho custodita.
Dimmi, o amore dell'anima mia,
dove vai a pascolare il gregge,
dove lo fai riposare al meriggio,
perché io non debba vagare
dietro le greggi dei tuoi compagni.
 
Dopo il desiderio dei baci “della sua bocca”, comincia lo svolgimento della storia d’amore, che vede al centro la comunità di Gerusalemme. Le figlie di Gerusalemme sono le varie comunità di Israele unite nella monarchia, il cui trono è a Gerusalemme. A Gerusalemme sarà il futuro Messia, al quale il Cantico tende, poiché la monarchia davidica, non era solo una struttura politica, ma anche figura di quella, ben più alta, del Re Messia.
La comunità di Gerusalemme non dice "figlie mie", ma "figlie di Gerusalemme"; di Gerusalemme in quanto città regale e sede delle promesse sul futuro Re-Messia; strettamente parlando anche lei è "figlia di Gerusalemme" (Cf. 2Re 19,21; Is 3,11,ecc.; Ger 4,31; Mi 4,8; ecc.), ma certo in posizione diversa perché abitante a Gerusalemme.
Bruna sono ma bella”; è l'inizio dell'azione della comunità di Gerusalemme verso le altre comunità.
La città era, al tempo della conquista di Davide, una roccaforte a forma trapezoidale non regolare, di 400 metri circa di lunghezza e di circa 150 di larghezza. La città venne detta "Città di Davide". Il primo gruppo che si insediò fu di fedelissimi a Davide; indubbia la presenza del clan parentale betlemita (Cf 1Sam 22,1ss).
L'identità di comunità il clan betlemita lo riceve dalla città di Gerusalemme, ed è in questa identità acquisita che chiama la tribù di Giuda sua madre.
Il clan betlemita, facente parte della tribù di Giuda, per il passato era stato dirottato da quelli che ora chiama i "figli di sua madre", cioè i capi di Giuda, agli interessi terreni: "le vigne".
La sua vigna non l'aveva custodita. Tale vigna era lo spazio sociale dove doveva dare la sua testimonianza di fede e di attesa di "Colui al quale è dovuta l'obbedienza dei popoli", e che sarebbe sorto dalla tribù di Giuda (Gn 49,8-12). La responsabilità religiosa di questa attesa era estesa ad ogni clan.
La comunità si presenta come un'unità comunitaria trainante sulla base della novità della costituzione monarchica, che rinsalda la realtà tribale.
La comunità si presenta con un atto di umiltà: È bruna perché il sole delle cose terrene l'ha abbronzata, ma tuttavia è bella, perché resa tale da Dio.
La comunità è determinata nella fede a non cadere vittima del fascino politico dei capi della monarchia, detti "compagni" dello sposo, che con lui e in dipendenza di lui sono chiamati a governare Israele. I capi hanno le loro greggi, secondo le suddivisioni sociali.
Il sole del meriggio, quello più forte, segno di una vita sotto il sole, senza anelito verso l'alto, può afferrare di nuovo la sposa e condurla a non più confidare in Dio, ma nella forza militare e politica dei capi.
  Se non lo sai tu, bellissima tra le donne,
segui le orme del gregge
e mena a pascolare le tue caprette
presso le dimore dei pastori.
Alla corsiera del cocchio del faraone
io ti assomiglio, amica mia.
Belle sono le tue guance fra gli orecchini,
il tuo collo tra i fili di perle.
 
Il gregge da seguire è l'Israele che prega, che attende l'avverarsi delle promesse di Dio ed e a lui fedele.
Tale gregge lascia delle orme che conducono ai sacerdoti, alle "dimore dei pastori", o come vuole la nuova traduzione CEI "accampamenti", ma meglio "le tende".
Il paragone con la "corsiera del cocchio del faraone" - "corsiera" è la puledra da corsa, la traduzione CEI ha "puledra" -, indica la capacità trainante che ha la comunità di Gerusalemme. Dio le fa percepire questa capacità, che ha in lui.
  Faremo per te orecchini d'oro,
con grani d'argento
 
Le "figlie di Gerusalemme" renderanno ancora più bella la fidanzata .
  Mentre il re è nella sua sede,
il mio nardo effonde il suo profumo.
 
Dio, dà alla sposa pace, sicurezza. Il nardo, profumo pregiatissimo, è preso a segno di questa gioia calma, intima della sposa. Il suo recinto è il cuore della sposa. Il re segna l’avvento della monarchia davidica, che avrà il suo apogeo con Salomone, ma il suo obiettivo sarà il Re Messia.
  L'amato mio è per me un sacchetto di mirra,
che ha dimora sul mio petto.
L'amato mio è per me un grappolo di cipro
nelle vigne di Engaddi.
 
È la dolce professione d'amore di ciò che Dio è per lei.
La nuova traduzione CEI dice:"passa la notte tra i miei seni". La ragione di questa traduzione sta nel guardare al Cantico come ad un insieme di poemi che celebrano il matrimonio il che, pur dottrinalmente legittimo, non è esatto. La "Nova Vulgata", cioè la Vulgata revisionata, molto considerata dalla traduzione CEI, esprime un'immagine diversa: "Fasciculus myrrae dilectus meus mihi, qui inter ubera mea commoratur" ("Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra, che ha dimora tra i miei seni"). La traduzione proposta "che ha dimora sul mio petto" è aderente alla "Nova Vulgata".
In effetti, sacchetti di mirra appesi al collo e poggianti sul petto venivano usati per ricevere un profumo gradevole. Così la sposa riceve, simbolicamente presentate, le comunicazioni d'amore di Dio. Egli è simboleggiato dal sacchetto di mirra, il quale, posato sul petto, indica la vicinanza permanente dell'Amato.
La mirra è una resina odorosa che si ricava dalla corteccia del Balsamadendron Mirra, che si trova in Arabia.
Il Cipro è la Lausania Spinosa. Ha delle pannocchie di fiori bianchi odorosissimi; spiccavano sul verde delle vigne di Engaddi. Il cipro ha le proporzioni di un arboscello. Engaddi era una città situata sul mar Morto; era lussureggiante per le sue vigne e le sue palme.
Il cipro col suo candore e profumo è preso a simbolo della santità purissima del Diletto. Le vigne, col loro riferimento al vino, indicano l'amore.
  Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!
I tuoi occhi sono colombe.
 
L'Amato parla. Effonde il suo amore con lodi d'amore.
Gli occhi sono detti colombe, perché manifestano pace, confidenza.
  Come sei bello, amato mio, quanto grazioso!
Erba verde è il nostro letto!
Di cedro sono le travi della nostra casa,
di cipresso è il nostro soffitto.
 
La sposa subito loda il suo Amato. È dolce per lei lodarlo; farlo felice con il suo amore, è la sua gioia.
Il luogo di riposo è la Palestina: in essa c'è pace.
La "nostra casa" - immagine più densa di quella di prima - è ancora la Palestina. Gli elementi strutturali della "casa" sono la stessa realtà dei cedri e dei cipressi: è una casa senza pareti.
(2) Io sono un narciso della pianura di Saron,
un giglio delle valli.
Non si conosce esattamente a quale pianta corrisponda il fiore qui detto narciso. L'insieme del testo tuttavia suggerisce un dinamico inserimento di colore nella pianura di Saron. Il giglio, essendo nella valle, indica silenzio e raccoglimento.
  Come un giglio tra i rovi,
così l'amica mia tra le ragazze.
 
Le "ragazze" sono "le figlie di Gerusalemme". Il contatto con esse è irto di difficoltà per le loro imperfezioni. Tuttavia le spine dei "rovi" non fanno che favorire l'esalazione dei profumi del "giglio".
  Come un melo tra gli alberi del bosco,
così l'amato mio tra i giovani.
 
I "giovani" costituiscono l'affascinante apparato regale. Ma la fidanzata non ne rimarrà sedotta perché essi al paragone con il suo Amato sono come alberi del bosco senza frutti di fronte ad un melo.
  Alla sua ombra desiderata mi siedo
è dolce il suo frutto al mio palato.
Mi ha introdotto nella cella del vino
e il suo vessillo su di me è amore.
Sostenetemi con focacce d'uva passa,
rinfrancatemi con mele,
perché io sono malata d'amore.
La sua sinistra è sotto il mio capo
e la sua destra mi abbraccia.
 
La "sua ombra" è la protezione del Diletto, dell'Amato. Dunque la sposa non è più sotto il dardeggiare del sole, in un appiattimento alla terra. L'Amato paragonato ad un albero che protegge con la sua ombra e la nutre con il frutto che esso offre: la sapienza, cioè il dolcissimo conoscere Dio e come si è graditi a lui e pure agli uomini.

La "cella del vino" designa la tenda del convegno. L'arca è il vessillo. In connessione con l'arca si faceva ogni anno il sacrificio espiatorio per tutti i peccati del popolo (Cf. Lv 16,1ss). Dopo l'intronizzazione dell'arca, tale azione cultuale, prima trascurata, venne fatta a Gerusalemme. La sposa è introdotta nella cella del vino in senso spirituale; cioè in quanto vive del significato di essere la comunità che ha al centro di sé la tenda, l'arca, il culto mosaico. In questa condizione è lontana dal pericolo di rimanere affascinata dall'apparato monarchico, il quale centrato sul trono è però rivolto al culto.

La sposa è rivolta alle "figlie di Gerusalemme", alle quali richiede di essere sostenuta, perché malata d'amore, con nutrienti focacce di uva passa. (Cf. 2Sam 6,19; Is 16,7; Os 3,1). I pomi (in ebraico: lo "spirante profumo") avevano un valore dissetante, oltre che nutriente; inoltre ad essi ci si affidava per avere una bocca pulita. Focacce e pomi, sono rispettivamente segno di calore d'amore e di purezza. Questo vuole la sposa; non "orecchini d'oro, con grani d'argento" (1, 11).

La sposa è "malata d'amore". La malattia è causata dal desiderio dell'Amato, del possesso dell'Amato.
L'abbraccio che la sposa sperimenta, la guarisce, ma esso è solo una anticipazione dello sponsale eterno; cosicché mentre la guarisce la ferisce ancor più: solo in cielo si avrà nel possesso eterno di Dio eterna guarigione, senza malattia.
  Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
per le gazzelle o per le cerve dei campi:
non destate, non scuotete dal sonno l'amata (l'amore),
finché non lo voglia.
 
La traduzione CEI mette "dal sonno l'amore" ma, essendo che l'amore in ebraico è al femminile, la parola indica precisamente l'amata diventata amore per la comunicazione dello Sposo.
L'Amato si rivolge alle figlie di Gerusalemme affinché non turbino l'incantevole dolcezza che la sposa ha ricevuto da lui. Le gazzelle e le cerve dei campi sono un simbolo popolare delle donne, che, amate, amano. Il "sonno" designa l'assorbimento in Dio. Di sonno si parla, con significati diversi, pure in Ct 5,2 e 8,5.
  Ora l'amato mio prede a dirmi:
Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni, presto!
Perché, ecco, l'inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n'è andata;
i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato
e la voce della tortora ancora si fa sentire
nella nostra campagna.
Il fico sta maturando i primi frutti
e le viti in fiore spandono profumo.
Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni, presto!
O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia,
nei nascondigli dei dirupi,
mostrami il tuo viso,
fammi sentire la tua voce,
perché la tua voce è soave,
il tuo viso è incantevole".
 
Le lotte contro i popoli vicini sono ormai finite. Dopo l'inverno del tempo di guerra è giunta la primavera del tempo di pace, con tutto il suo fascino.
La colomba nelle fenditure della roccia è un'immagine di umiltà e di stato di difensiva.
  Prendeteci le volpi,
le volpi piccoline
che devastano le vigne:
le nostre vigne sono in fiore
 
C'è prosperità materiale, simboleggiata dalle vigne in fiore. Tale prosperità è insidiata dalle "volpi piccoline". Le volpi vanno prese fin tanto che sono piccoline, perché dopo l'impresa è difficile. Le volpi piccoline sono i gruppi che in breve potrebbero prendere piede e porre difficoltà. È necessario, nella prosperità del tempo di pace, la vigilanza. Le figlie di Gerusalemme fanno cosi una domanda relativa ai loro interessi materiali.
Le figlie di Gerusalemme, con quel "prendeteci" riconoscono la sposa e il Diletto, ma nello stesso tempo scaricano su di loro l'onere della liberazione dalla "volpi piccoline"; esse intendono poco fare la loro parte. La sposa rimale lusingata e non afferma alle figlie di Gerusalemme che esse devono fare la loro parte.
  Il mio amato è mio e io sono sua;
egli pascola fra i gigli.
 
Con tutto ciò pensa che nulla sia successo nei confronti del Diletto, che pascola il gregge tra i gigli, cioè dove non c'è schiavitù all'idolo delle ricchezza.
  Prima che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
ritorna, amato mio,
simile a gazzella
o a cerbiatto,
sopra i monti degli aromi.
 
È sera; la notte le sta dinnanzi con il suo buio e il suo silenzio, le sue possibilità di pericoli. La sposa avverte che il Diletto è lontano e lo invita a ritornare, credendo di essere esaudita senza rimozione di infedeltà, del velo di vanagloria che ha depositato su di sé.
  (3) Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato
l'amore dell'anima mia;
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
"Mi alzerò e farò il giro della città
per le strade e per le piazze;
voglio cercare l'amore dell'anima mia".
L'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città:
Avete visto l'amore dell'anima mia?"
Da poco le avevo oltrepassate,
quando trovai l'amore dell'anima mia.
Lo strinsi forte e non lo lascerò
finché non l'abbia condotto nella casa di mia madre,
nella stanza di colei che mi ha concepita.
 
La visita desiderata non giunge; cerca però l'Amato lungamente. Dovrebbe trovarlo perché è Colui che si fa trovare a chi lo cerca, ma la sposa non lo cerca con tutto il cuore, perché offuscato dall'infedeltà avuta che non vuole rimuovere, perché giudicata irrilevante. L'Amato non si fa trovare, appunto perché si vuol fare trovare. Se l'Amato avesse fatto altrimenti la sposa si sarebbe sentita approvata, e ciò non sarebbe stato il bene per lei.
La sposa decide allora di rivolgere il suo sguardo alla forza espressa dalla città. Troverà l'Amato guardando alle opere che segnano la sua vicinanza. L'Amato è sicuramente pronto a correre da lei, ma non lo trova, non si fa trovare.
Le guardie in servizio di vigilanza sono il segno delle sicurezze terrene. La domanda che essa rivolge loro non risolve la situazione.
Solo quando le ha "oltrepassate", cioè quando non si poggia più su di loro, ritrova l'Amato del suo cuore.
La sposa, ravvedutasi, vuole portare l'Amato nella "casa di mia madre"; nella "stanza di colei che mi ha concepita".
La madre, la genitrice etnica, è la tribù di Giuda. La stanza è la sala del trono. La sposa si impegna a rimanere unita all'Amato. A non lasciarsi prendere da prospettive di grandezza terrena; a non dimenticarsi mai che il trono di Gerusalemme è in funzione del futuro Re-Messia. Lui sarà il profeta che Mosè aveva detto di attendere e nel futuro di ascoltare. La sposa accogliendo il Re-Messia, introdurrà l'Amato nella stanza del trono, perché il Re-Messia segnerà la massima presenza di Dio.
  Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
per le gazzelle o per le cerve dei campi:
non destate, non scuotete dal sonno l'amata (l'amore),
finché lei non lo voglia.
 
L'Amato ripete alle figlie di Gerusalemme le stesse parole dette in 2,7. Ciò è necessario perché le figlie di Gerusalemme hanno guardato alla sposa solo per il tornaconto terreno.
  Chi sta salendo dal deserto
come una colonna di fumo,
esalando profumo di mirra e d'incenso
e d'ogni polvere di mercanti?
Ecco, la lettiga di Salomone:
sessanta uomini prodi le stanno intorno,
tra i più valorosi d'Israele.
Tutti sanno maneggiare la spada,
esperti nella guerra;
ognuno porta la spada al fianco
contro i pericoli della notte.
 
È il corteo di Salomone che sale dal deserto di Giuda. L'incoronazione di Salomone non avvenne a Gerusalemme, ma a Ghicon. Il luogo non è archeologicamente identificato, ma è certo che per raggiungerlo bisognava scendere da Gerusalemme (1Re 1,33).
Salomone è dentro una lettiga. Il corteo presenta la sicurezza dei valorosi d'Israele, pronti contro le insidie della notte. L'immagine della colonna di fumo, richiama il procedere del popolo nel deserto al tempo dell'uscita dall'Egitto. I profumi della colonna di fumo, indicano un'azione cultuale: è come un pellegrinaggio orante. Forza delle armi, presenza della preghiera, saggezza del re.
  Un baldacchino si è fatto il re Salomone,
con legno del Libano.
Le sue colonne le ha fatte d'argento,
d'oro la sua spalliera;
il suo seggio è di porpora,
il suo interno è un ricamo d'amore
delle figlie di Gerusalemme.
 
Il baldacchino è quello che conteneva il trono. I materiali con cui è costruito il baldacchino rimandano, attraverso il loro simbolismo, ai contenuti del governo regale di Salomone.
L'oro rimanda alla carità. L'argento alla purezza nell'osservanza della legge. La porpora alla fedeltà sino al sacrificio. Il legno del Libano alla sua durevolezza.
Il ricamo riveste il fondo e il soffitto del baldacchino. Il ricamo è fatto dalle fanciulle di Gerusalemme, che sono le ragazze della città.
  Uscite figlie di Sion,
guardate il re Salomone
con la corona che di ci lo cinse sua madre,
nel giorno delle sue nozze,
nel giorno di letizia del suo cuore.
 
Gli araldi invitano le varie comunità (le figlie di Sion) a riconoscere il nuovo re. La madre è Betsabea. L'investitura regale è vista come nozze con la nazione.
  (4) Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe,
dietro il tuo velo.
Le tue chiome sono come un gregge di capre,
che scendono dal monte Gàlaad.
I tuoi denti come un gregge di pecore tosate,
che risalgono dal bagno;
tutte hanno gemelli,
nessuna di loro è sola.
Come nastro di porpora le tue labbra
la tua bocca è piena di fascino;
come spicchio di melagrana la tua gota
dietro il tuo velo.
Il tuo collo è come la torre di Davide
costruita a strati.
Mille scudi vi sono appesi,
tutte armature di eroi.
I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella,
che pascolano tra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
me ne andrò sul monte della mirra
e sul colle dell'incenso.
Tutta bella sei tu, amata mia,
in te non vi è difetto.
 
La descrizione della bellezza fisica, che il Cantico celebra, è ad indicazione della perfezione morale.
La sposa-fidanzata è bellissima, nulla le manca.
Gli scudi indicano le vittorie militari.
I seni sono segno della sua maturità (Cf. Ez 16,7) e della sua purezza. Essi sono come due cerbiatti pronti a fuggire da ogni spirito di adulterio con gli idoli. I gigli indicano come la sposa-fidanzata viva nella verginale dedizione al Diletto.
  Vieni dal Libano, o sposa,
vieni dal Libano, vieni!
Scendi dalla vetta dell'Amana,
dalla cima del Senir e dell'Ermon,
dalle spelonche dei leoni,
dai monti dei leopardi.
Tu mi hai rapito il cuore,
sorella mia, mia sposa,
tu mi hai rapito il cuore
con un solo tuo sguardo,
con una perla sola della tua collana!
Quant'è soave il tuo amore
sorella mia, mia sposa
quanto più inebriante del vino è il tuo amore,
e la fragranza dei tuoi profumi, più di ogni balsamo.
Le tue labbra stillano nettare, o sposa,
c'è miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue vesti è come quello del Libano.
Giardino chiuso tu sei,
sorella mia, mia sposa,
giardino chiuso, fontana sigillata.
I tuoi germogli sono un giardino di melagrane,
con i frutti più squisiti,
alberi di cipro e nardo,
nardo e zafferano, cannella e cinnamomo
con ogni specie d'alberi d'incenso;
mirra e aloe
con tutti gli aromi migliori .
Fontana che irrora i giardini,
pozzo d'acque vive
che vengono dal Libano.
 
Il Libano costituiva il limite settentrionale della Terra Promessa. Il Libano è una catena montuosa della costa siriaca prospiciente il Mediterraneo. Alcune cime sorpassano i 3000 metri. Una grande vallata la separa dall'Antilibano. Il nome pare che derivi da Laban = bianco, cioè dalle nevi. L'Amana sorge a nord del grande Ermon. Dall'Amana nasce il fiume Abana ricordato in 2Re 5,12. Il Senir è un'altra cima dell'Antilibano; è distinta dall'Ermon (Cf. 1Cr 5,23): l'Ermon sorge nella parte meridionale dell'Antilibano e domina tutta la Palestina. Le tane dei leoni erano nel sud della Palestina.
Il Libano, nella conquista della Terra Promessa, venne raggiunto in maniera piena da Salomone. Il Diletto chiama dal Libano la sposa, in un immaginario viaggio. Le vuole fare vedere la Terra Promessa: é il Diletto che gliel'ha donata.
"Sorella mia" è un titolo di dilezione (Cf. Tb 7,15).
  Alzati, vento del settentrione, vieni,
vento del meridione,
soffia nel mio giardino
si effondano i suoi aromi.
venga l'amato mio nel suo giardino
e ne mangi i frutti squisiti.
 
L'aquilone è il vento settentrionale della Palestina; è freddo e secco e mortifica le piante. L'austro è il vento che viene dal mezzogiorno; è caldo e umido e perciò nelle intensità opportune favorisce la vegetazione, e quindi il diffondersi degli aromi.
L'aquilone è preso a segno dell'azione gelida del peccato. Gli viene detto di levarsi, cioè di andarsene. L'austro è preso a segno del calore dell'amore. Quello che desidera la sposa è che la Palestina sia come un giardino profumato, pieno di frutti, dove il l'Amato trovi delizia.
  (5) Son venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa,
e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo;
mangio il mio favo e il mio miele,
bevo il mio vino e il mio latte.
Mangiate, amici, bevete;
inebriatevi, d'amore.
 
La mirra e il balsamo sono profumi indicanti le preghiere e le azioni cultuali. Il favo e il miele, la dolcezza dei sentimenti. Il vino indica l'amore. Il latte la purezza della riflessione.
A questo banchetto l'Amato fa partecipare gli "amici". Essi sono i suoi "compagni", cioè l'apparato regale, che favorisce l'incontro tra la sposa e lui. Essi sono invitati a nutrirsi, a rallegrarsi delle ricchezze spirituali presenti nella fervente comunità di Gerusalemme.
  Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore.
 
Il sonno della sposa è quello ristoratore della notte, garantito da coloro che "portano la spada al fianco contro i pericoli della notte" (3,8).
Il suo cuore veglia perché ama. L'amore le è stabile nel cuore.
  Un rumore! La voce del mio amato che bussa:
"Aprimi, sorella mia,
mia amica, mia colomba, perfetta mia;
perché il mio capo è bagnato di rugiada,
i miei riccioli di gocce notturne".
 
Un rumore la interpella repentinamente, e subito capisce che è il Diletto che bussa. Bussa, dicendole le parole più toccanti. Proprio mentre la sposa è nella "sicurezza", il Diletto le fa visita, di notte: una visita drammatica nel freddo e nella rugiada della notte. Il Diletto si presenta nella condizione di mendicante d'amore, di uno che è respinto da molti. È una nuova situazione: Salomone sta introducendo l'idolatria in Israele (Cf. 2Re 11,1-13).
  "Mi sono tolta la veste;
come indossarla di nuovo?
Mi sono lavata i piedi;
come sporcarli di nuovo?".
L'amato mio ha introdotto la mano nell'occhiello (della porta)
e nel mio intimo fremetti per lui.
Mi sono alzata per aprire al mio amato
e le mie mani stillavano mirra,
fluiva mirra dalle mie dita
sulla maniglia del chiavistello.
Ho aperto allora all'amato mio,
ma l'amato mio se n'era andato, era scomparso.
Io venni meno, per la sua scomparsa.
L'ho cercato, ma non l'ho trovato,
l'ho chiamato, ma non mi ha risposto.
Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città;
mi hanno percossa, mi hanno ferita,
mi hanno tolto il mantello
le guardie delle mura.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
se trovate l'amato mio,
che cosa gli racconterete?
Che sono malata d'amore!
 
La sposa di fronte a questa visita dimostra pigrizia, volontà di restare estranea ai suoi perché.
La serratura, secondo le indicazioni del testo, era fatta da una nottola con la maniglia. La maniglia applicata alla nottola era all'interno. All'esterno la nottola poteva essere sollevata mettendo le dita in una fessura che ne permetteva il contatto. Un qualche sistema fissava la nottola per impedire l'ingresso. L'occhiello, all'interno, poteva essere chiuso con una scatola per evitare che si vedesse l'interno.
Il Diletto, che prima aveva bussato e parlato sicuro della prontezza della prontezza della sposa ad aprirgli, ora agisce sulla serratura nel tentativo di entrare, ma essa è serrata.
La sposa è sconvolta. “Nel mio intimo”; la traduzione CEI ha "le mie viscere", è tuttavia un semitismo che indica l'intimo dell'essere, il cuore.
Le mani che stillano mirra indicano l'amaro e il tremore che pervade la sposa alla percezione della sua freddezza.
Pensava di trovare il Diletto, ma questi si è allontanato.
Presa dal rimorso, dal disvalore che si è procurata, lo cerca, ma non lo trova; lo chiama, ma questi tace: Tutto ciò perché cerca male. La sposa è presa da tristezza (Cf. 7,10) secondo la carne e non da tristezza secondo lo spirito, che porta al pentimento. La sposa ha il rimorso, ma non un vero pentimento.
La sposa, come in Ct 3,2, cerca nello sguardo alla potenza di Gerusalemme l'occasione dell'incontro. Ma al trionfalismo il Diletto non risponde.
Viene trovata dalle guardie, che le dimostrano aperta ostilità. Le "sicurezze terrene" hanno fatto un voltafaccia; non condividono la sua ricerca e la osteggiano. La colpiscono e la privano del mantello, segno del prestigio, della dignità di cui prima godeva.
Comincia l'umiltà, il pentimento. Essa è malata d'amore; cioè dal desiderio del Diletto.
(Le vesti che indossano i beduini sono: gli indumenti intimi, una sottoveste leggera, una sopraveste, il mantello, il copricapo e i sandali).
  Che cosa ha il tuo amato più di ogni altro,
tu che sei bellissima tra le donne?
Che cosa ha il tuo amato più di ogni altro,
perché così ci scongiuri?
 
Le figlie di Gerusalemme, interpellate dalla sposa che crede che l'Amato sia andato da loro, rispondono non comprendendo l'affanno d'amore della sposa. Le cose sono già precipitate: le figlie di Gerusalemme guardano già agli idoli introdotti dal potere politico.
Storicamente si è all'inizio del regno del Nord, in cui si ebbe subito ad opera di Geroboamo una posizione di ribellione religiosa a Gerusalemme con la costruzione di due vitelli d'oro. C'è della dura ironia nell'espressione: "Tu che sei bellissima tra le donne".
  L'amato mio è bianco e vermiglio,
riconoscibile tra miriadi.
Il suo capo è oro, oro puro,
i suoi riccioli sono grappoli di palma,
neri come il corvo.
I suoi occhi, sono come colombe
su ruscelli d'acqua;
i suoi denti bagnati nel latte,
si posano (regolari) sui bordi.
Le sue guance sono come aiuole di balsamo,
dove crescono piante aromatiche,
le sue labbra sono gigli,
che stillano fluida mirra.
Le sue mani sono anelli d'oro,
incastonati di gemme di Tarsis.
Il suo petto è tutto d'avorio,
tempestato di zaffiri.
le sue gambe, colonne di alabastro,
posate su basi d'oro puro.
Il suo aspetto è quello del Libano,
magnifico come i cedri.
Dolcezza è il suo palato;
egli è tutto delizie!
Questo l'amato mio, questo l'amico mio,
o figlie di Gerusalemme.
 
La sposa risponde alle figlie di Gerusalemme con un'ardente professione di fede e d'amore, attuata con una magnifica pittura morale.
Il Diletto è bianco perché purissimo, tre volte santo. È vermiglio perché Re, e come tale è avvolto da un mantello di porpora. Il suo capo è oro perché è re; non si parla di corona: la sua regalità è divina.
I grappoli di palma sono i filamenti del grappolo al momento della fioritura.
Il suo sguardo è di pace e di bontà; eternamente vivace: i "ruscelli d'acqua".
Le sue labbra sono gigli rossi, che stillano fluida mirra; cioè il suo parlare è purezza, incanto d'amore e pure invito al dominio di sé, al sacrificio.
Le sue mani sono magnifiche nei gesti del comando e della benevolenza.
Gli anelli rimandano al suo essere sovrano.

Il suo petto” o anche “il suo torso”. La nuova traduzione CEI mette "ventre" sulla scorta della Vulgata revisionata, detta "Nova Vulgata", ("venter eius opus eburneum distinctum sapphiris"), ma l'ebraico indica anche il torso completo, come molti biblisti hanno letto. Volendo utilizzare la traduzione "il suo ventre", bisogna fare attenzione alla tradizione esegetica del passo (Cf. Commento Antonio Martini), che considera il ventre (parte estremamente vulnerabile alla spada) come l'espressione della vulnerabilità assunta da Cristo.
Tale vulnerabilità ha vinto (saldezza dell'avorio) l'odio del mondo con la purezza della carità, e ha vinto la morte con la gloria della risurrezione (splendore degli zaffiri).

Le gambe sono come colonne d'alabastro su basi d'oro puro. Ciò indica la stabilità eterna della regalità del Diletto.
Il suo aspetto è radiante come è radiante il Libano nelle sue cime avvolte dalla neve. La sua maestà si impone, magnifica come i cedri del Libano. I cedri hanno un tronco conico, largo alla base; e hanno rami lunghi, quasi orizzontali.
IIl palato fa parte dell'apparato fonetico: le parole del Diletto hanno in sé una dolcezza che affascina.
  (6) Dov'è andato il tuo amato,
tu che sei bellissima tra le donne?
Dove ha diretto i suoi passi il tuo amato,
perché lo cerchiamo con te?
 
Si è nel momento drammatico della deportazione a Babilonia. Le figlie di Gerusalemme cercano salvezza.
La sposa è il "canestro buono" di cui parla Geremia (Ger 24,2ss).
  L'amato mio è sceso nel suo giardino
fra le aiuole di balsamo
a pascolare nei giardini
e a cogliere gigli.
Io sono del mio amato e il mio amato è mio;
egli pascola tra i gigli.
 
L'Amato era "sceso" per raccogliere e dare, ma vide l'aridità dell'introduzione degli idoli. Fu in quella visita che il Diletto giunse nottetempo a bussare alla porta della sposa.
La sposa è sostenuta da una viva fede nell'amore del Diletto per lei: "io sono del mio amato e il mio amato è mio".
Ma quando c'è la contaminazione con gli idoli il Diletto non c'è, perché "egli pascola tra i gigli".
  Tu sei bella, amica mia, come la città Tirsa,
incantevole come Gerusalemme,
terribile come un vessillo di guerra.
Distogli da me i tuoi occhi:
perché mi sconvolgono.
Le tue chiome sono come un gregge di capre
che scendono dal Galaad.
I tuoi denti come un gregge di pecore
che risalgono dal bagno.
Tutti hanno gemelli;
e nessuno di loro ne è privo.
Come spicchio di melagrana la tua guancia,
dietro il tuo velo.
Sessanta sono le regine,
ottanta le concubine,
innumerevoli le ragazze.
Ma unica è la mia colomba, la mia perfetta,
unica per sua madre,
la preferita di colei che l'ha generata.
La vedono le giovani e la dicono beata,
le regine e le concubine la coprono di lodi.
 
Il Diletto le si rivela nuovamente. Nelle lodi il Diletto fa riferimento a Tirza, la prima capitale del regno del Nord, e a Gerusalemme.
Essa è nelle ristrettezze dell'esilio, eppure è bella, leggiadra; terribile di fronte ai suoi nemici.
Lo sguardo orante della sposa nell'esilio è tanto intenso da commuovere il Diletto (Cf. Os 11,8; Ger 31,20).
Si trova all'interno dell'immenso impero babilonese, paragonato ad un harem di comunità.
Le regine erano le spose di prim'ordine. Quelle di second'ordine erano le concubine. Le fanciulle erano quelle in attesa di diventare concubine. L'insieme indica il grado di importanza che avevano nell'impero le varie comunità, tutte facenti capo al re babilonese; ma tuttavia rigorosamente del Diletto.
In quell'immenso harem c'è però "un'unica". La sua genitrice è la Tribù di Giuda.
  "Chi è costei che sorge come l'aurora,
bella come la luna,
fulgida come il sole,
terribile come un vessillo di guerra?".
 
L'affermarsi della sposa è visto come il sorgere dell'aurora.
È candida come la luna perché pura; fulgida come il sole perché accesa d'amore.
Le lodi delle regine, ecc., non sono date nell'accettazione del monoteismo. Esse pensano ad un Diletto potente tra le altre divinità.
  Nel giardino dei noci io sono sceso,
per vedere i germogli della valle,
e osservare se la vite metteva gemme,
e i melograni erano in fiore.
 
Il "giardino dei noci" trova la sua identificazione nella zona attorno al lago di Genesaret: in quella zona i noci erano molto coltivati. Genesaret deriva da Gen-sar, che vuol dire "giardino del principe. La valle è quella del Giordano.
Il giardino dei noci indica che il Diletto osservava la Palestina dal regno del Nord. Tale regno, nel suo disegno, aveva il compito di mantenere viva la fedeltà di Israele contro la tendenza all'acquiescenza agli idoli introdotta da Salomone. La comunità di Gerusalemme doveva cogliere questa realtà e non seguire la linea della contrapposizione al regno del Nord.
  Senza riflettere, il mio desiderio mi ha posto
sul cocchio del principe del mio popolo (Ammi-nadib).
 
La sposa è confusa: non ha saputo vedere il significato della separazione del regno del Nord da quello di Giuda. Ma ne conosce la ragione. È rimasta affascinata dal potere - i carri militari - di Ammi-nadib, nome che significa: "principe del mio popolo".
  (7) Voltati, voltati, Sulammita,
voltati, voltati: vogliamo ammirarti.
 
La danza a due cori di tipo nuziale è messa in atto dall'harem babilonese.
Due file ritmicamente invitano la sposa a mostrarsi. È una danza che vuole condurre la sposa ad orientarsi al re babilonese.
  Che cosa volete ammirare nella Sulammita
durante la danza a due cori?.
 
La sposa si schernisce; non pensa che si possa trovare qualcosa in lei. Per la prima volta ha un nome, che significa "la pacifica".
  Come sono belli i tuoi piedi
nei sandali, figlia di principe!
Le curve dei tuoi fianchi sono come monili,
opera di mani d'artista.
Il tuo ombelico è una coppa rotonda
che non manca mai di vino aromatico.
Il tuo ventre è un cumulo di grano,
circondato da gigli.
I tuoi seni come due cerbiatti,
gemelli di gazzella.
Il tuo collo come una torre d'avorio;
i tuoi occhi sono come le piscine di Chesbon,
presso la porta di Bat-Rabbim;
il tuo naso come la torre del Libano
che guarda su Damasco.
Il tuo capo si erge su di te come il Carmelo
e la chioma del tuo capo è come porpora;
un re è tutto preso dalle tue trecce.
 
Il Diletto nelle sue lodi partiva dallo sguardo, le regine e le spose dell'harem dai piedi (dalla terra).
Le presentano il suo fascino, la sua nobiltà: è capace di stare nelle regge.
Le lodi la dipingono come una magnifica regina orientale, ma la sposa non è vestita come una regina.
L'ombelico, per gli orientali, era segno di bellezza, di seduzione: "la coppa di vino aromatico". Ma l'ombelico era pure legato ad un'idea di salute: un ombelico estroflesso era segno di persona malata.
Il ventre è paragonato ad un mucchio di grano ad indicazione della capacità di fertilità della sposa. I gigli dicono che è lontana dalle sensualità idolatriche sulla fecondità.
La lode ai suoi seni, segno di bellezza, ma anzitutto della sua maturità ad avere figli (Va detto che il seno presso gli orientali era fortemente collegato alla maternità), non è corredata dalla menzione ai gigli, perché già fatta per il ventre.
Il collo eretto, indica assenza di servilismo.
Mentre le lodi del Diletto introducono immagini della Palestina: Tirsa e Gerusalemme, l'harem babilonese introduce l'immagine di città moabita: Chesbon. La torre del Libano é l'Ermon; della montagna viene considerato il profilo verso Damasco. Ancora un'immagine che non fa ricordare la Palestina.
La chioma è detta "come porpora" perché sotto il sole è sfavillante come la porpora, che era di diverse tinte, fino all'azzurrino.
Il re, che è stato preso dalle trecce, è quello babilonese.
  Quanto sei bella e quanto sei graziosa,
o amore, piena di delizie!
La tua statura è slanciata come una palma,
e i tuoi seni somigliano ai grappoli
Ho detto: "Salirò sulla palma,
coglierò i grappoli di datteri.
Siano per me i tuoi seni come grappoli d'uva
e il tuo respiro come profumo di mele".
 
Le lodi dei due cori vengono interrotte dalle lodi dello Sposo, che celebra lui la bellezza e nobiltà regale della fidanzata, di cui è l'autore.
Il Diletto, l'Amato, ha il proposito di celebrare le nozze con la sposa-fidanzata. Le nozze non sono viste come un atto di dominio-possesso, ma di conquista: "salirò sulla palma". Egli farà questo per mezzo del Messia, che coglierà come Re le ricchezze d'amore della fidanzata ("i grappoli di datteri"). Nell'attesa il Diletto domanda che i seni gli siano come grappoli d'uva, cioè non intenti alla preoccupazione di una prosperità etnica - essa sarà come conseguenza della sua fedeltà a lui -, ma, al contrario, pronti a rimanere lontani da una adesione al fascino del re babilonese.
L'alito è segno di pulizia, di dignità della persona, e indica figurativamente come la sposa debba rimanere in stato di purità cultuale.
(Il Diletto salirà sulla palma quando nel Verbo incarnato salirà la croce, conquistando così l'amore della Chiesa, che sarà nuzialmente unita a lui).
  Il tuo palato è come vino squisito,
che scende dolcemente verso di me
e fluisce sulle labbra e sui denti!
Io sono del mio amato
e il suo desiderio è verso di me.
 
L'immagine del fluire del vino è quella del bere da un piccolo orcio (a garganella) da cui il vino è fatto scendere in giusta misura.
Segue l'accesa attestazione d'amore al Diletto, riconosciuto pieno d'amore per lei.
  Vieni, amato mio, andiamo nei campi,
passiamo la notte nei villaggi.
Di buon mattino andremo nelle vigne;
vedremo se germoglia la vite,
se le gemme si schiudono,
se fioriscono i melograni:
là ti darò il mio amore!
Le mandragore mandano profumo;
alle nostre porte c'è ogni specie di frutti squisiti,
freschi e secchi;
amato mio, li ho conservati per te.
 
La sposa si adopera per diffondere la conoscenza del suo Diletto tra gli esiliati e i pagani. Chiede al Diletto di andare con lei nei campi, passando la notte nei villaggi. Notti di preghiera. Nell'esilio Israele costituì luoghi di preghiera: le sinagoghe. La struttura religiosa sinagogale ebbe infatti origine nell'esilio in assenza del tempio.
Al mattino col Diletti va alle "vigne" per vedere se c'è primavera negli spiriti. Nelle "vigne" la sposa darà al Diletto le sue effusioni del suo cuore, cioè continuerà ad essere orientata a lui in una libertà che non aveva avuto quando era stata asservita alle "vigne" e nella schiavitù eppure è libera.
Le mandragore (dudà im = frutti d'amore) erano ritenute capaci di dare fecondità. Ciò non per la loro azione vasodilatatoria (afrodisiaco), molto leggere e perciò irrilevante, ma per il loro contenuto di sostanze sedative, che il taluni casi potevano, producendo rilassatezza, avere un effetto contro la sterilità. È tempo d'amore, di prosperità etnica. Le "nostre porte" sono piene di frutti. Se il Diletto verrà per liberarla dalla schiavitù, non solo troverà porte pronte ad aprirsi, ma anche ad offrirgli frutti.
  (8) Come vorrei che tu fossi mio fratello,
allattato al seno di mia madre!
Incontrandoti per strada ti potrei baciare
senza che altri mi disprezzi.
Ti condurrei, ti introdurrei nella casa di mia madre;
e tu mi insegneresti l'arte dell'amore.
Ti farei bere vino aromatico,
e succo del mio melograno.
 
La sposa vive continuamente in mezzo ad oppressori paghi di vedere e toccare i loro idoli, e che le dicono: (Ps 41,4; 78,10; ecc.) "Dov'è il tuo Dio?". Nel dolore di dover udire questa crudele domanda, esprime l'ardentissimo desiderio di avere il Diletto quale fratello della sua stirpe; essa così zittirebbe tutti i suoi derisori. È un desiderio dell'incarnazione espresso di sfuggita, senza teologia, diremmo: mancava ad Israele la conoscenza del mistero trinitario, anche se qualche accenno velato nelle scritture veterotestamentarie lo si ritrova. L'espressione ha riferimento in Isaia, nella parte che risale al tempo dell'esilio (63,19): "Se tu squarciassi i cieli e scendessi!".
La sposa intende nel "baciare" un atto di religione che, mantenendo un santo timore, lo superi nello stesso tempo per un ardentissimo amore.
La sposa sarebbe liberata dalla schiavitù e condurrebbe trionfalmente il Diletto nella Giudea, a Gerusalemme, dove egli le insegnerebbe "l'arte dell'amore", cioè come essere graditi a lui.
Il vino aromatico era a lunga conservazione. Il succo di melagrana era dolcissimo e a brevissima conservazione. Amore dunque forte, duraturo, vivace, sempre pronto.
  La sua sinistra è sotto il mio capo
e la sua destra mi abbraccia.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
non destate, non scuotete dal sonno l'amata (l'amore),
finché lei non lo voglia.
 
Il Diletto attira a sé la sposa, come già in Ct 2,6.

All'indomani della liberazione da Babilonia e della partenza verso Gerusalemme, il Diletto ripete alle figlie di Gerusalemme ciò che disse in Ct 2,7 e 3,5. Nel rientro nella Palestina ci fu un certo ordine come si legge in Esdra 2,1 e in Neemia 7,6: "Ognuno alla sua città".
  Chi è colei che sta salendo dal deserto,
appoggiata al suo amato?
 
Si e nel momento del ritorno a Gerusalemme. Il deserto è quello siriaco. Le genti limitrofe che vedono il suo viaggiare verso Gerusalemme, le cui mura erano state sbrecciate, si domandano chi essa sia. Per loro la città di Gerusalemme non avrebbe più avuto un popolo.
  Sotto il melo ti ho svegliata;
là, dove ti concepì tua madre,
là, dove ti concepì colei che ti ha partorito.
 
I Masoreti vocalizzando il testo ebraico, che ha solo le consonanti, posero qui il maschile, intendendo con tutta probabilità Israele. Così si avrebbe: “Sotto il melo ti ho svegliato…”; ma si oppone il fatto che mai nel Cantico è menzionata la madre dello Sposo. (nella prima versione CEI - 1971 - si aveva il femminile).
Il melo, già usato come immagine del Diletto in Ct 2,3, riparava la sposa dal dardeggiare del sole. Il melo è qui simbolo della legge e del culto mosaico. Il Diletto le ricorda la visita notturna, nella quale la sposa non aprì sollecita la porta. La madre etnica è la tribù di Giuda. È a Gerusalemme che la Tribù di Giuda diede luce alla comunità, la quale prese la sua identità proprio da Gerusalemme.
  Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore
tenace come il regno dei morti è la passione:
le sue vampe sono vampe di fuoco,
una fiamma divina!
Le grandi acque non possono spegnere l'amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell'amore, non ne avrebbe che disprezzo.
 
Il Diletto chiede di essere impresso nel cuore della sposa, affinché tutti i suoi affetti siano sigillati per lui, per mezzo di lui. Le dice anche di porlo come sigillo sul suo braccio affinché tutto il suo operare sia conforme a lui.
Non c'è avversità che possa spegnere l'amore. L'amore è una ricchezza che supera illimitatamente ogni ricchezza terrena.
L'amore è sottratto al potere del denaro.
  Una sorella piccola abbiamo,
e ancora non ha seni.
Che faremo per la nostra sorella,
nel giorno in cui si parlerà di lei?
Se fosse un muro,
le costruiremmo sopra una merlatura d'argento;
se fosse una porta,
la rafforzeremmo con tavole di cedro.
 
La sposa entra in contatto con le popolazioni vicine, stanziate dopo la deportazione a Babilonia.
Esse, facenti parte dell'impero di Ciro, la guardano come una sorella immatura. Capiscono però che si svilupperà e che, allora, si dovrà parlare di lei.
Fanno sulla sposa delle considerazioni non benevole, anche se in apparenza tali.
Dicono che se fosse un muro, cioè se avrà forza in se stessa, la ingentilirebbero con un recinto d'argento, cioè tenterebbero di legarla a loro. Se, invece, fosse una porta, cioè al contrario fosse intraprendente, la chiuderebbero, cioè le impedirebbero di sviluppare relazioni.
  Io sono un muro
e i miei seni sono come torri!
Così io sono ai suoi occhi
come colei che procura pace!
 
La sposa con forza si definisce un muro; un muro non disposto ad essere ingentilito e legato. Non dice "io sono una porta", poiché non pone la sua forza nelle alleanze terrene. Lei vive quella con il suo Diletto.
Dichiara di essere pienamente matura, e i suoi seni la dichiarano adulta e imprendibile, poiché sono come torri. Sarà vittoriosa su ogni influsso di fornicazione con gli idoli.
Agli occhi del suo Diletto, è colei che tra i popoli non procura guerre, ma pace. È Israele nel post-esilio che non ha più prospettive di guerre di conquista.
  Salomone aveva una vigna a Baal-Hammon;
egli affidò la vigna ai custodi;
ciascuno gli doveva portare come suo frutto
mille pezzi d'argento.
la mia vigna, proprio la mia, mi sta davanti:
tieni pure Salomone, i mille pezzi d'argento
e duecento per i custodi dei suoi frutti!
 
Baal-Hammon etimologicamente significa Signore della moltitudine. Salomone la sua vigna l'aveva stabilita rompendo la purezza del culto a Dio, introducendo i Baal, dei pagani, e dimenticando di attendere il futuro Re-Messia. La vigna di Salomone era dunque in Baal-Hammon, non nella terra di Israele, popolo di Dio.
La sposa chiude con il suo passato. Non ha nostalgie del tempo di Salomone, e perciò di fronte al nuovo Salomone, il re Ciro, l'eletto (Is 45,1) la sposa non intende cadere in una ricerca di favori terreni. Darà al nuovo Salomone il tributo che gli spetta, e inoltre gli darà anche quello che poteva essere per lei ("duecento pezzi d'argento"), in quanto custode della vigna del sovrano terreno. Lei non vuole essere trascinata lontano dalla sua vigna, cioè Israele, nel quale deve operare secondo la missione affidatale dal suo Diletto.
  Tu che abiti nei giardini
i compagni ascoltano la tua voce:
fammela sentire.
 
La sposa abita nei giardini perché è presente nelle città, nei paesi, nei villaggi, con la struttura sinagogale. Si è all'inizio del giudaismo.
I compagni sono i funzionari dell'impero dominatore. Essi sono in ascolto della sposa, che non ha indipendenza politica.
  Corri velocemente, amato mio,
simile a gazzella
o a cerbiatto,
sopra i monti degli aromi!
 
La sposa dice all'Amato di affrettarsi, di correre a lei. Di andare sul monte Sion e sulla collina del tempio: “I monti degli aromi”.
È un’invocazione per la venuta del Messia, identificato con il Diletto, poiché sarà il Dio con noi. (Cf. Ct 4,6; Is 7,14; 9,5s; 11,1s; 31,4: Ps 109/110).