Testo e commento
 
Capitolo   1   2   3  
Lingua e stile della lettera
La lettera è di alto livello linguistico. I termini sono stati scelti accuratamente anche se il modo di argomentare rivela l’indole semitica dell’autore. L’espressione natura divina” è unica nella Bibbia, e proviene dal linguaggio filosofico greco; infatti l’espressione “divina natura” ricorre presso i filosofi e gli eruditi ellenisti (Platone, Senofonte, Aristotile, Epicuro, Diodoro Siculo) e nel giudaismo ellenista (chiaramente monoteista e creazionista) di Giuseppe Flavio e di Filone Alessandrino. L'uso di tale espressione è stata interpretata come un’inclusione di concetti ellenistici, e perciò, non potendo essi appartenere a Pietro o a un suo immediato discepolo, rendono la lettera una composizione avanti nel tempo e perciò pseudoepigrafica, ma tale interpretazione è facile da smontare. Infatti, il salmo (82;81vg,6), citato da Gesù (Gv 10,34) dice: “Io ho detto: ‹vuoi siete dei, siete tutti figli dell’Altissimo›”; ora la ragione di essere “dei” sta nell’essere eletti a figli. Se questo era per l’Antico Testamento, nel Nuovo ciò raggiunge il compimento (1Gv 3,1), in attesa di raggiungere la perfezione nella gloria del cielo. Lo stesso concetto basilare di “partecipi della natura divina” lo si ha con terminologia differente in altri passi del Nuovo Testamento (1Gv 1,3; 3,2.9; Gv 15,4; 17,22-23; Rm 8,14-17).
L’assoluta distanza tra l’uso dell’espressione “natura divina” che ne fa la lettera di Pietro e l'espressione di natura ellenistica la si vede esaminando il concetto filosofico ellenistico di “divinizzazione”. Tale concetto si fonda sul pensiero che l’anima dell’uomo sia una scintilla divina, che per un qualche peccato nella sfera celeste è stata racchiusa per punizione in un corpo. La divinizzazione consiste nel sottrarsi, mediante il pensiero filosofico, all’influsso dei sensi. La filosofia ha il compito di condurre l’asceta-filosofo a riscoprire la sua essenza profonda liberandosi dai legami con la materia. Tale pensiero urta con la concezione biblica, che vede nell’uomo una unità sostanziale fatta di anima e corpo. Per Platone il corpo è invece un involucro accidentale dell’anima, che è soggetta alla reincarnazione. La divinizzazione l’asceta-filosofo l’ottiene al momento della morte, quando la divinità, a lui benevola, trasforma radicalmente e completamente l’opera di assimilazione al divino che l’asceta-filosofo ha avviato stando nel corpo, portando l’asceta-filoso ad una piena rivelazione della sua realtà.

Pietro si muove su tutt’altro versante. Innanzi tutto non ha il pensiero dualistico di Platone e del conseguente Platonismo, come pure dello Stoicismo. Il dualismo antropologico è del tutto estraneo alla Scrittura e alla tradizione giudaica, e quindi il corpo non è un luogo da cui liberarsi, ma solo da dominare per la presenza della concupiscenza. Il corpo conoscerà la morte, ma risorgerà riunendosi all’anima. La risurrezione è pensiero estraneo all’ellenismo. La colpa ha reso caduco l’uomo, che ha bisogno di salvezza mediante Cristo e la sua grazia. La sua apoteosi in cielo gli svela pienamente il suo essere fatto ad immagine e somiglianza con Dio e del suo essere figlio adottivo di Dio in Cristo. Con ciò egli sarà simile a lui perché lo vedrà così come egli è (Cf. 1Gv 3,2).

Il concetto di “divinizzazione”, rimanendo nell’ortodossia, è presente anche nel cristianesimo e fu sviluppato dai Padri greci, in seguito venne abbandonato.

La lingua e lo stile della seconda lettera di Pietro sono diversi da quelli della prima lettera, ma pur esiste una quantità di parole, frasi e pensieri che sono comuni alle due lettere. Le due lettere sotto il profilo letterario si distinguono, ma nulla vieta di pensare che all’origine vi sia il dettato di uno stesso autore, che si sarebbe servito di due differenti segretari-scriba Così sostenne san Girolamo, e tale soluzione appare ancora valida. (Circa il carattere ispirato della lettera bisogna dire che sia chi dettava, sia chi scriveva migliorando il linguaggio erano parte integrante del processo dell’ispirazione).

Nella seconda lettera di Pietro non si ha nessun sentore della inserzione di un brano originariamente autonomo.

Autenticità della lettera
L'autore si presenta come: “Simon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo”, mentre nella prima lettera si presenta con il solo nome di Pietro: “Pietro apostolo di Gesù Cristo”. I due nomi uniti si trovano pure nel Vangelo di Matteo (16,16), di Luca (L5,8) e, diffusamente, nel Vangelo di Giovanni (1,40; 6,8.68; 13,6.8.9.24.36; 18,10.15.25; 20,2.3.6; 21, 2.3.7.11.15).

Negli scritti a noi giunti del primo e secondo secolo ci sono molte allusioni alla seconda lettera di Pietro. Così san Clemente Romano (1 Corinzi, 11 = 2Pt 2,7-9); san Policarpo (Ai Filippesi, 7 = 2Pt 3,3); Pastore di Erma (Visioni, 1,3,4 = 2Pt 3,5); sant’Ireneo (Contro le eresie, 4,36 = 2Pt 2,4.6); san Teofilo d’Antiochia (Apologia a Autolico, 2,9 = 2Pt 1,21); san Giustino - con estrema chiarezza di attribuzione - (Dialogo con Trifone, 82 = 2Pt 2,1). La lettera non è menzionata nel frammento Muratoriano (170 d.C.).

Clemente Alessandrino, su testimonianza di Eusebio (Storia ecclesiastica, 6, 14) e di Fozio di Costantinopoli (Biblioteca, 99), fece un commento sulla seconda lettera di Pietro.

Origene, discepolo di Clemente Alessandrino, attribuisce esplicitamente la lettera a san Pietro, pur sapendo che altri non avevano la medesima certezza, a causa delle differenze linguistiche rispetto alla prima lettera di Pietro (Omelia 4 Sul Levitico: PG 12,437; Commento Lettera ai Romani: PG 14,1179; Omelia 7 su Giosuè: PG 12,857).

Sant’Atanasio non ha dubbi (Lettera sulla Pasqua: PG 26,1437). Nessun dubbio neppure presso Didimo di Alessandria (Sulla Trinità, 1,15.28s.32: PG 39,304,313, ecc.). San Girolamo si pronunciò per l’autenticità (Lettera a Paolino, 53,8: PL 22,548; Le vite degli uomini illustri, 1: PL 23,638). Gli autori affermano anche la sua canonicità, cioè il carattere ispirato.

Citazioni della lettera si riscontrano anche in Firmiliano di Cesarea (Lettera a Cipriano, 6), come pure nell’autore (Ippolito?) dei Filosofumeni 9,6. La lettera non si trova nella traduzione siriaca Peshitta (435?), si trova però nella traduzione Vetus Latina (tra II e IV sec.) e nelle traduzioni in lingua copta: Sahidica (II sec.) e Boharica (III sec.).

Le testimonianze a favore dell’autenticità crebbero così che nei Concili di Roma (374), di Ippona (393) e di Cartagine (397) si affermò l’autenticità della seconda lettera di Pietro. Poi si ebbe l’unanimità.

I dubbi apparsi durante la Riforma Protestante circa l’autenticità furono respinti nel “De canonicis Scripturis” della IV sessione del Concilio di Trento. I Protestanti (per loro la lettera è un apocrifo) puntarono sulla differenza di stile e lingua rispetto alla prima lettera di Pietro per sostenere il loro rifiuto, ma sostanzialmente la lettera non era da loro accolta perché affermava che la Scrittura non va soggetta a privata interpretazione (1,20), e quindi postula una tradizione e un Magistero. Va precisato che la lettera non vieta la lettura meditativa personale, ma vuole che sia compiuta nella Chiesa.


Il  problema delle rassomiglianze con la lettera di Giuda: punti principali
2Pt  2,1-3 Gd   4
  "    2,4    "    6 
  "    2,6   "    7 
  "    2,10-12    "    8-10 
  "    2,13   "    12 
  "    2,15        "    11 
  "    2,17    "    13 
  "    2,18    "    16 
  "    3,1-3    "    17-18 
  "    3,14    "    24 

Fa problema lo stretto parallelo tra la lettera Giuda e il tratto tra il cap. 2 e il cap 3 della lettera di Simon Pietro. Ci si domanda: è stata scritta prima la lettera di Giuda, ripresa poi da Pietro eliminando le citazioni apocrife, oppure viceversa? Si registrano pareri a favore dell’una o dell’altra tesi. Comunemente si preferisce pensare che la lettera di Giuda sia stata scritta prima e che Pietro l’abbia ripresa “temperandola”. In tal caso, bisogna ammettere che Pietro avrebbe censurato le citazioni apocrife della lettera di Giuda, che pur apocrife, come fonte, vengono a far parte del testo ispirato; ovviamente, non ne vengono a far parte per questo i testi apocrifi. La censura di Pietro avrebbe in tal modo segnato una squalifica della lettera di Giuda; ed è facile dire che la Parola di Dio non rivede la Parola di Dio, ma la rilancia. A favore della precedenza della lettera seconda di Pietro c’è il fatto che i falsi maestri, da quanto è dato intendere dalla lettera ai Colossesi e dagli Atti (20,29), erano sorti in Asia.

Pietro parla di empi che hanno abbandonato la “
via della giustizia”, dopo averla conosciuta, e “fanno festa con voi” (2Pt 2,13), ma Giuda presenta questi empi come degli infiltrati, cioè in stato di diffusione sul territorio (Gd v. 4): “Si sono infiltrati infatti in mezzo a voi alcuni individui”. Giuda non scrive alle Chiese di Asia, ma a quelle della Palestina, come è dato di intendere dalle citazioni apocrife.

Va notato che il porre la lettera di Giuda prima di quella di Pietro apre una porta per infirmare l’autenticità della seconda di Pietro, facendone un caso di pseudonimia. Tuttavia, i riferimenti personali sono così netti da scoraggiare il pensiero di una pseudonimia. Si è mostrato contrario alla pseudonimia l’anglicano Edward Michael Bankes Green: (“2 Peter Reconsideret”, London 1961). Il cattolico Marie Emile Boismard si è dimostrato aperturista nei confronti della pseudonimia, salvo però ritenere canonicità della lettera: (RB 62, 1963, 304). E’ però difficile accettare le aperture di Boismard perché la lettera ha netti connotati di sincerità.

L’autore della lettera, infatti, si presenta quale testimone oculare della Trasfigurazione di Gesù Cristo sul monte (1,16-18), dice di aver già scritto una lettera ai suoi destinatari (3,1) e chiama san Paolo “
carissimo fratello” (3,15), intendendolo come collega nell’apostolato: vivente e non defunto.
Tutto poi indica l’autorità che vuole confermare nella fede i fedeli, secondo il compito proprio di Pietro (Lc 22,31s). Se la lettera fosse una pseudonimia di un discepolo di Pietro oppure di uno scrittore del sec. II, come avrebbe potuto avere il coraggio di scriverla essendo presente il successore di Pietro? Oppure quale speranza poteva avere che fosse accolta?.

Vero che il libro del Qoélet è uno pseudonimo, ma non nasconde affatto che lo sia. Vero è che il libro della Sapienza è uno pseudonimo, ma non nasconde affatto che lo sia.

Non è perciò corretto pensare che seconda lettera di Pietro sia una pseudonimia, perché in nulla presenta che lo sia

Altre difficoltà
L’autenticità della seconda lettera di Pietro sembrerebbe compromessa dalle parole (3,2): “
Che gli apostoli vi hanno trasmesso”; tuttavia gli apostoli menzionati possono benissimo essere intesi in senso largo come gli evangelizzatori delle comunità alle quali è rivolta la lettera (Cf. Rm 16,7; 1Cor 12,28; Ef 2,20; 3,5; 4,14).

Altra difficoltà circa l’autenticità della seconda lettera di Pietro sarebbe che la raccolta delle lettere paoline (3,16) si presenterebbe già compiuta per cui si avrebbe una datazione della lettera più avanti nel tempo. Bisogna però considerare che Simon Pietro parla delle lettere che trattano “
di queste cose”, cioè della parusia del Signore, il che porta alla prima lettera ai Tessalonicesi (4,13s-5,1s), alla seconda ai Tessalonicesi (2,1s), alla prima ai Corinti (15,35s). Potrebbe essere che i “punti difficili” riguardassero anche altri ambiti tematici così da far pensare ad ulteriori altre lettere, senza con ciò che sia necessario pensare una compiuta formazione del Corpus paolino che, per quanto è dato sapere, si avrebbe nel 140-180.

In conclusione, la tradizionale accettazione dell’autenticità della seconda lettera di Pietro può essere ancora validamente ritenuta.

Luogo e tempo della stesura
Simon Pietro scrisse da Roma la seconda lettera al pari della prima (2Pt 3,1). Simon Pietro presenta che la sua morte è prossima (1,14) e quindi la lettera dovette essere scritta poco prima del suo martirio, avvenuto secondo varie valutazioni tra il 64 e il 67 (La data 64 non risulta convincente perché si dovrebbe parlare almeno del 65, visto che Tacito, (Annali, 15,44, 2-5), narra che la persecuzione non scattò subito dopo l’incendio, poiché la responsabilità fu addossata diffusamente all’imperatore, il quale, non riuscendo a distoglierla da sé, si inventò i colpevoli nei cristiani: “Ergo abolendo rumori Nero subdidit reos”. La data 67 d.C., viene indicata da san Girolamo, il quale dice che la morte di Pietro avvenne due anni dopo quella di Seneca (65), quindi si ha approssimativamente l’anno 67. Eusebio poi pone la morte di Pietro (Chronicon Gallicum, in lingua armena. L’originale è andato perduto) al tredicesimo anno (54 + 13 = 67) dell’Impero di Nerone. Non va considerata quindi la data del 64).

Scopo della lettera
La lettera ha il carattere di un testamento con squarci profetici (3,3s). L’apostolo, ormai prossimo a morire, volle fortificare le Chiese di Asia richiamando le verità cristiane (3,12). Esse, già raggiunte da ostilità provenienti dall’esterno, si trovavano insidiate da falsi maestri sorti dentro le stesse comunità, e quindi con massimo pericolo. Questi falsi dottori vanno certamente ricondotti a quanto profeticamente disse Paolo agli anziani di Efeso (At 20,30): “
Perfino in mezzo a voi sorgeranno alcuni a parlare di cose perverse, per attirare i discepoli attorno a sé”. Questi falsi maestri interni alle comunità con tutta probabilità erano stati contagiati da embrionali idee gnostiche, che già si erano viste nell’area di Colosse (lettera ai Colossesi), e agivano seminando tra i fedeli dubbi circa la venuta di Cristo, potendo far leva sul fatto che non solo Nerone perseguitava, ma anche appariva trionfante. Così i falsi maestri erano dei negatori della parusia del Signore e di conseguenza della sua divinità e sovranità. Colpita la fede nella divinità di Cristo non ebbero più argini nell’accogliere e sviluppare idee gnostiche, che trovarono nel II secolo la loro massima elaborazione. Il dualismo della gnosi affermava che la materia proviene da un Principio malvagio, mentre lo spirito proviene da un Principio buono. Ciò apriva alle dissolutezze poiché il peccato non toccava che il corpo, ma non lo spirito, perché munito della “conoscenza” intuitiva e diretta delle cose superiori. Pietro così volle riaffermare la conoscenza di Gesù Cristo, Signore e Salvatore (1,2; 2,20; 3,20) per mezzo della Parola e della fede, come unica fonte di salvezza.

Indirizzo
1 1 Simon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo, a coloro ai quali il nostro Dio e salvatore Gesù Cristo, nella sua giustizia, ha dato il medesimo e prezioso dono della fede: 2 grazia e pace siano concesse a voi in abbondanza mediante la conoscenza di Dio e di Gesù Signore nostro.

Simon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo”. Nel doppio nome, quello di nascita e quello dato da Gesù, viene dato risalto all’investitura data da Cristo a Pietro. Nella prima lettera c’è solo Pietro, ma è più umile la presentazione con il doppio nome, che Giovanni nel suo Vangelo userà sistematicamente.
Il nostro Dio e salvatore Gesù Cristo”. Gesù Cristo viene dichiaratamente detto Dio. L’affermazione della divinità di Cristo la si trova come scopo fondamentale nel Vangelo di Giovanni. L’affermazione della natura divina di Cristo la ritroviamo nei Sinottici (Mt 2,2; 3,17; 4,3; 10,32; 11,25; 12,50; 14,33; 15,13; 18,10; 18,35; 25,34; 16,29; 26,63s; Mc 1,1; 3,11; 14,61; Lc 1,32; 1,35; 2,49; 3,38; 4,41; ecc.). Numerose le affermazioni sulla divinità di Cristo nelle lettere di Paolo (Rm 1,9; 5,10; 8,3; 8,29; 8,32; 9,5; 15,6; 1Cor 1,9; 15,28; 2Cor 1,3; 1,19; 11,31. Gal 1,16; ecc.), e non è assente nella lettera agli Ebrei (1,2; 1,5s; 4,14; 5,8; ecc.). Presente nella prima e seconda lettera di Giovanni. Presente sotto il titolo di Signore nella lettera di Giuda.
Nella sua giustizia, ha dato il medesimo e prezioso dono della fede”. La fede è la medesima per tutti poiché è la fede nella verità, che è Cristo. Non ci può essere fede cristiana che non sia la fede della Chiesa. “Nella sua giustizia”; infatti il “dono della fede” proviene dalla giustizia di Dio compiutasi mediante l’espiazione dei peccati degli uomini operata da Cristo (Rm 3,25; Eb 2,17; 1Gv 2,2; 4,10).
Grazia e pace siano concesse a voi in abbondanza mediante la conoscenza di Dio e di Gesù Signore nostro”. Pietro, dopo avere evidenziato la natura divina di Cristo salvatore, passa a presentare la relazione tra Cristo, detto Signore - titolo divino - e il Padre. La fede è conoscenza di Gesù Cristo e del Padre.
La gnosi (conoscenza) pretendeva di accedere alla conoscenza intuitiva, immediata, visiva, del mistero divino, ma ciò illusoriamente poiché la visione intuitiva immediata sarà data da Dio in cielo (1Gv 3,2) a chi ha creduto nel cammino terreno in Cristo, vero Dio e vero Uomo. I falsi maestri presentavano una conoscenza misterica, intellettuale e mistica, che negava Cristo. Pietro, che ha ricevuto il compito di confermare i fratelli (Lc 22,32), afferma che è nella fede che si ha la conoscenza
di Dio e di Gesù Signore nostro”.

La corrispondenza ai benefici di Dio

3 La sua potenza divina ci ha donato tutto quello che è necessario per una vita vissuta santamente, grazie alla conoscenza di colui che ci ha chiamati con la sua potenza e gloria. 4 Con questo egli ci ha donato i beni grandissimi e preziosi a noi promessi, affinché per loro mezzo diventiate partecipi della natura divina, sfuggendo alla corruzione, che è nel mondo a causa della concupiscenza. 5 Per questo mettete ogni impegno per aggiungere alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, 6 alla conoscenza la temperanza, alla temperanza la pazienza, alla pazienza la pietà, 7 alla pietà l’amore fraterno, all’amore fraterno la carità. 8 Questi doni, presenti in voi e fatti crescere, non vi lasceranno inoperosi e senza frutto per la conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo. 9 Chi invece non li possiede è cieco, incapace di vedere e di ricordare che è stato purificato dai suoi antichi peccati. 10 Quindi, fratelli, cercate di rendere sempre più salda la vostra chiamata e la scelta che Dio ha fatto di voi. Se farete questo non cadrete mai. 11 Così infatti vi sarà ampiamente aperto l’ingresso nel regno eterno del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo.

La sua potenza divina ci ha donato tutto quello che è necessario per una vita vissuta santamente, grazie alla conoscenza di colui che ci ha chiamati con la sua potenza e gloria”. La fede è conoscenzadi colui che ci ha chiamati con la sua potenza e gloria”. “Colui che ci ha chiamati” è Dio Padre, che ci ha chiamati per mezzo del Figlio. La “potenza” si è mostrata nei miracoli; la “gloria”, si è mostrata nella gloria espressa nell’obbedienza del Figlio al Padre nella sua morte di croce, e si è mostrata nella gloria che il Padre ha dato al Figlio risuscitandolo dai morti.
La potenza divina di “
Gesù Signore nostro” ha comunicato ai credenti in lui tutto ciò che è “necessario per una vita vissuta santamente”, il che vuol dire che il cristiano non ha bisogno delle nuove conoscenze proposte dai falsi maestri per attuarsi, avendo nella conoscenza “di Dio e di Gesù Cristo Signore nostro”, per mezzo della fede, ogni cosa necessaria alla salvezza e alla crescita nella santità. Le parole di Pietro sono estremamente dense, ma comprensibili a chi le legge nello Spirito Santo.
Con questo egli ci ha donato i beni grandissimi e preziosi a noi promessi, affinché per loro mezzo diventiate partecipi della natura divina, sfuggendo alla corruzione, che è nel mondo a causa della concupiscenza”. Dando tutto ciò che è necessario a “una vita vissuta santamente”, Cristo ha dato compimento alle promesse fatte agli antichi padri. I beni sono quelli della liberazione dal peccato originale, con il conseguente dono della grazia santificante e l’elevazione a figli di Dio nella ricchezza dei doni dello Spirito Santo. Per tali beni il cristiano diviene partecipe, e solo partecipe, della natura divina, in attesa della pienezza della partecipazione nella gloria futura in cielo.
La carne per Platone era una prigione di condanna, mentre per il cristiano essa fa parte integrante della sua persona costituita da anima e corpo. Esiste una pregnosi, che possiamo intendere partendo dalle deviazioni dei falsi dottori che insidiavano l’area di Colossi, i cui errori Paolo denuncia, pur senza esplicitarli, nella sua lettera ai Colossesi, e anche in quella agli Efesini.
I falsi dottori di Colosse vanno collegati, in qualche modo, con i Nicolaiti e i seguaci di Balaam e di Gezabele denunciati dall’Apocalisse (2,14-15; 2,20) e gli anticristi di cui parla la prima lettera di Giovanni. I loro errori fanno intendere che la divisione tra anima e corpo, proposta da Platone, dal Platonismo e dallo Stoicismo, era stata portata fino ad estreme conseguenze, intendendo che i peccati di sensualità non toccano l’integrità dell’anima munita della conoscenza intuitiva, visiva, delle cose celesti. Era, evidentemente, una deformazione gravissima della vera libertà cristiana (Cf. Rm 6,15; Gal 5,13; 1Pt 2,16; Gd v.4).
Il bene della partecipazione alla natura divina richiede l’allontanamento dalla corruzione del mondo, che ha come causa la concupiscenza, e non la negazione della carne, lasciandola al vizio, nell’illusione che la conoscenza di per sé stessa renda immune l’anima dalla contaminazione. E’ il dramma della fede senza le opere, della fede che risulta morta in se stessa (Gc 2,17).
Per questo mettete ogni impegno per aggiungere alla vostra fede la virtù…”. Il susseguirsi delle virtù una accoppiata all'altra, indica che senza l’una l’altra non può sussistere. La fede non può sussistere come fede viva senza l’esercizio della virtù; virtù che va intesa come la virtù più specifica di Cristo, cioè l’obbedienza. Alla virtù (obbedienza) va unita la conoscenza, affinché sia motivata, illuminata, e non ottusa. Alla conoscenza va unita la temperanza, per non giungere alla pretesa di poter conoscere tutto. Alla temperanza va unita la pazienza, affinché la temperanza non diventi durezza sprezzante. Alla pazienza va aggiunta la pietà, affinché non risulti pazienza priva di amore e di comprensione. Alla pietà va aggiunto l’amore fraterno, affinché la pietà non diventi finzione, ma sia fatto concreto. All’amore fraterno va aggiunta la carità, cioè l’amore verso Dio, affinché l’amore fraterno non diventi pura solidarietà interessata.
I falsi maestri disgiungevano queste virtù, per cui ne risultava una fede morta; la disobbedienza alla verità; la pretesa di giungere alla conoscenza intuitiva, immediata, visiva, delle cose divine; una pazienza sprezzante; un culto a Dio privo di amore fraterno (1Gv 4,20); un amore fraterno che aveva come centro l’interesse, e non Dio (2,3).
Questi doni, presenti in voi e fatti crescere, non vi lasceranno inoperosi e senza frutto per la conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo”. I doni vengono “fatti crescere” attraverso la corrispondenza. La parabola dei talenti è illuminante (Mt 25,14s). I doni sospingono all’azione e producono frutti che aumentano la conoscenza di Gesù Cristo, poiché la conoscenza è esperienza di Cristo.
Chi invece non li possiede è cieco, incapace di vedere e di ricordare che è stato purificato dai suoi antichi peccati”. E’ la situazione dei falsi maestri, scaturiti dall’interno delle comunità cristiane. La loro situazione è quella di essere dei ciechi che non vedono più ciò che hanno lasciato, per cui rimangono per loro volontà in una situazione di non ritorno.
Quindi, fratelli, cercate di rendere sempre più salda la vostra chiamata e la scelta che Dio ha fatto di voi”. L’insidia da essi diffusa nelle comunità è forte e richiede che i fedeli rendano sempre più salda la loro chiamata corrispondendo alla elevazione che Dio ha operato in essi. La chiamata è avvenuta mediante l’annuncio del Vangelo e l’azione dello Spirito Santo. La corrispondenza al “vieni e seguimi” segna la scelta di Dio all’elevazione a suoi figli in Cristo (Mt 22,14; Gv 1,12)
Così infatti vi sarà ampiamente aperto l’ingresso nel regno eterno del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo”. Il risultato della corrispondenza generosa all’infinita generosità di Dio ha come esito l’ingresso al “regno eterno del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo”. Il regno dei cieli è presente in germe e in crescita nella Chiesa (Mt 13,3-9.18-23-24.33; Mc 4,26-29; Lc 12,23; 12,32; 17,20), e anche, negli uomini di buona volontà, oltre i confini della Chiesa (Mt 23,35), pur non con la medesima intensità di presenza. Il regno dei cieli ha il suo risultato finale nell’ingresso nel regno dei cieli, che è in cielo, (Mt 7,21; 8,11; 13,43; 19,23; 25,34; Mc 13,27; Lc 9,62; Lc 23,35; At 14,22; 1Cor 6,9s; Ef 5,5; 2Ts 1,5; 2Tm 4,18; Eb 3,11) e che Pietro chiama il “regno eterno”.

Motivi della lettera
12 Penso perciò di rammentarvi sempre queste cose, benché le sappiate e siate stabili nella verità che possedete. 13 Io credo giusto, finché vivo in questa tenda, di tenervi desti con le mie esortazioni, 14 sapendo che presto dovrò lasciare questa mia tenda, come mi ha fatto intendere anche il Signore nostro Gesù Cristo. 15 E procurerò che anche dopo la mia partenza voi abbiate a ricordarvi di queste cose. 16 Infatti, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. 17 Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: ‹Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento›. 18 Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte.

Penso perciò di rammentarvi sempre queste cose, benché le sappiate e siate stabili nella verità che possedete”. E’ proprio di Pietro confermare i fratelli nella fede (Lc 22,31s).
Io credo giusto, finché vivo in questa tenda, di tenervi desti con le mie esortazioni, sapendo che presto dovrò lasciare questa mia tenda, come mi ha fatto intendere anche il Signore nostro Gesù Cristo”. Pietro sa, per ciò che gli disse il Signore (Gv 21,18-19), che la persecuzione di Nerone lo colpirà, non morirà nel suo letto, ma “un altro ti vestirà (traduzione migliore: cingerà, cioè legare ai fianchi la cintura della veste; cf. Gv 21,7) e ti condurrà dove tu non vuoi”. “In questa tenda” è una metafora che indica il corpo (Cf. 2Cor 5,1), ma anche che in esso si è in stato di pellegrinaggio in questo mondo (Eb 11,13; 1Pt 2,11).
E procurerò che anche dopo la mia partenza voi abbiate a ricordarvi di queste cose”. Con quali mezzi Pietro farà ricordare dopo la sua morte quanto sta comunicando non è detto. Ciò che viene spontaneo è pensare che lo farà con la sua intercessione in cielo, ma si può pensare anche a una disposizione di inviare in quelle comunità dei sostenitori della fede particolarmente capaci di ostacolare i falsi maestri.
Infatti, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza”. Il plurale che ora viene usato indica il collegio apostolico testimone oculare della grandezza di Cristo, ma più in specifico vanno intesi Pietro e Giovanni testimoni oculari insieme a Giacomo della Trasfigurazione, così viene presentato l’apostolo Giovanni che operava o opererà nella zona asiatica (non esiste nessuna cronologia al proposito).
‹Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento›. Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte”. Il “santo monte” doveva essere conosciuto diffusamente se Pietro lo nomina senza alcuna altra precisazione.
L’importanza della Trasfigurazione, che doveva essere comunicata solo dopo la risurrezione (Mt 17,9; Lc Mc 9,10; 9,36), ha il valore di affermare che Cristo era Dio anche prima della morte. Questo punto era importante per non incappare nei lacci di una omologazione della risurrezione di Cristo con le pretese divinizzazioni pagane degli spiriti dei grandi dopo la morte, infirmando così la realtà fisica del Risorto. I fasi maestri diffondevano svariati errori, non ancora organizzati in un sistema, ma pur focalizzati sulla negazione di Cristo Figlio di Dio e della sua risurrezione.

La parola dei profeti
19 E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino. 20 Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, 21 poiché non da volontà umana è mai venuta una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono alcuni uomini da parte di Dio.

E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro”. L’insidia della negazione giudaica circa la divinità di Cristo poiché il Messia secondo loro non poteva essere messo a morte, e a morte di croce, è sventata dalla parola dei Profeti, che pure hanno parlato della sua risurrezione (Ps 2,7; 15/16.,10; 21/22,2s; 48/49,16; 73/74.,24; Is 53,1s; Lc 16,29s; 24,27s; At 13,33-35; 17,3). La parola del Profeti brilla visibilissima come luce posta in luogo oscuro.
Finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino”. La “stella del mattino” (Cf. Lc 1,78; Rm 13,12; 1Pt 2,9) è Cristo nella sua venuta glorioso che inaugura il giorno eterno, senza fine. Sorgere nei cuori indica il compimento dell’opera della salvezza con la risurrezione gloriosa dei corpi.
Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione…”. “Privata spiegazione”, cioè fuori dal contesto della Chiesa, nella quale di necessità è presente una gerarchia, vincolo di unità e di insegnamento.
Poiché non da volontà umana è mai venuta una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono alcuni uomini da parte di Dio”. Come i profeti parlavano mossi dallo Spirito Santo così ne hanno bisogno i lettori per comprenderla. Per la sua stessa origine la Scrittura non è possibile leggerla secondo il privato sentimento di ciascuno. Pietro non intende tuttavia scoraggiare la lettura personale, devota, utile per la vita, nella fede della Chiesa.

La cupidigia dei falsi maestri
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1 Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri, i quali introdurranno fazioni che portano alla rovina, rinnegando il Signore che li ha riscattati. Attirando su se stessi una rapida rovina, 2 molti seguiranno la loro condotta immorale e per colpa loro la via della verità sarà coperta di disprezzo. 3 Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma per loro la condanna è in atto ormai da tempo e la loro rovina non si fa attendere.

Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri”. Già ci sono le prime avvisaglie del sorgere di falsi maestri, che poi come lupi si avventeranno sul gregge. Pietro presenta una realtà futura che sta germinando. Gesù ha parlato dei futuri falsi profeti (Mt 24,11).
Introdurranno fazioni che portano alla rovina, rinnegando il Signore che li ha riscattati”. La negazione della divinità di Cristo e della sua Signoria sul mondo. Creeranno divisioni, gruppi settari che portano alla rovina chi li segue.
Attirando su se stessi una rapida rovina, molti seguiranno la loro condotta immorale e per colpa loro la via della verità sarà coperta di disprezzo”. I falsi maestri avranno molti seguaci, che attireranno su di loro stessi una rovina che non tarderà. Sono falsi cristiani che attireranno il discredito sulle comunità cristiane perché le divisioni toglieranno loro credito.
Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false”. La loro abilità mossa dalla cupidigia sarà tale che daranno delle speranze di successo agli aderenti, che però saranno finanziariamente sfruttati.
Ma per loro la condanna è in atto ormai da tempo e la loro rovina non si fa attendere”. La condanna degli empi non è un fatto nuovo, ma è evento certo, “in atto ormai da tempo”, cioè che è stato fin dai tempi lontani, fin dalla condanna degli angeli ribelli.

Giungerà il castigo per gli iniqui
4 Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò in abissi tenebrosi, tenendoli prigionieri per il giudizio. 5 Ugualmente non risparmiò il mondo antico, ma con altre sette persone salvò Noè, messaggero di giustizia, inondando con il diluvio un mondo di malvagi. 6 Così pure condannò alla distruzione le città di Sodoma e Gomorra, riducendole in cenere, lasciando un segno ammonitore a quelli che sarebbero vissuti senza Dio. 7 Liberò invece Lot, uomo giusto, che era angustiato per la condotta immorale di uomini senza legge. 8 Quel giusto infatti, per quello che vedeva e udiva mentre abitava in mezzo a loro, giorno dopo giorno si tormentava a motivo delle opere malvagie. 9 Il Signore dunque sa liberare dalla prova chi gli è devoto, mentre riserva, per il castigo nel giorno del giudizio, gli iniqui, 10 soprattutto coloro che vanno dietro alla carne con empie passioni e disprezzano il Signore.

Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò in abissi tenebrosi, tenendoli prigionieri per il giudizio”. La ribellione degli angeli venne punita da Dio precipitandoli “in abissi tenebrosi”. Il peccato degli angeli fu di superbia, non certo perché si unirono alle figlie degli uomini in quanto la narrazione dice ben altro (Gn 6,2). Sono i discendenti del giusto Set (figli di Dio) che si contaminarono con le figlie degli uomini. E’ ridicola questa interpretazione perché gli angeli sono puri spiriti e perciò non hanno le passioni umane della carne, né possono mettere al mondo uomini.
Poiché ormai è diffusamente riconosciuto che il Verbo si sarebbe incarnato anche senza il peccato di Adamo, ne segue che il peccato degli angeli non poté che essere il gravissimo rifiuto di accogliere il disegno di Dio.
I demoni ora si sollazzano a tentare gli uomini per trascinarli nella rovina eterna quali loro schiavi, ma saranno giudicati anche per questo alla fine dei tempi. Anzi, con Cristo anche i giusti condanneranno i demoni (1Cor 6,3).
La lettera di Giuda (v.6) così esprime gli stessi punti: “
Tiene in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del grande giorno, gli angeli che non conservarono il loro grado ma abbandonarono la propria dimora”. Giuda presenta che i demoni “abbandonarono la propria dimora”, per allontanarsi da Dio nella pretesa di costruirsi un loro futuro, ma furono legati da “catene eterne” nelle tenebre.
Ugualmente non risparmiò il mondo antico, ma con altre sette persone salvò Noè, messaggero di giustizia, inondando con il diluvio un mondo di malvagi. La condanna di Dio si abbatté pure sui perversi al tempo del diluvio. Noè era stato “messaggero di giustizia”, presentando il castigo incombente, ma non venne ascoltato. “Così pure condannò alla distruzione le città di Sodoma e Gomorra, riducendole in cenere, lasciando un segno ammonitore a quelli che sarebbero vissuti senza Dio”. La distruzione di Sodoma e Gomorra diventò un segno ammonitore per quelli che vivono “senza Dio”.
Liberò invece Lot, uomo giusto, che era angustiato per la condotta immorale di uomini senza legge”. Pietro fa notare la presenza di un giusto per affermare che Dio “sa liberare dalla prova chi gli è devoto”. Giuda invece non evidenzia questo particolare presentando la distruzione esemplare, causata dall’immoralità fino a seguire “vizi contro natura”.

I loro perversi comportamenti
Temerari, arroganti, non temono d’insultare gli esseri gloriosi decaduti, 11 mentre gli angeli, a loro superiori per forza e potenza, non portano davanti al Signore alcun giudizio offensivo contro di loro. 12 Ma costoro, irragionevoli e istintivi, nati per essere presi e uccisi, bestemmiando quello che ignorano, andranno in perdizione per la loro condotta immorale, 13 subendo il castigo della loro iniquità. Essi stimano felicità darsi ai bagordi in pieno giorno; scandalosi e vergognosi, godono dei loro inganni mentre fanno festa con voi, 14 hanno gli occhi pieni di desideri disonesti e, insaziabili nel peccato, adescano le persone instabili, hanno il cuore assuefatto alla cupidigia, figli di maledizione! 15 Abbandonata la retta via, si sono smarriti seguendo la via di Balaam figlio di Bosor, al quale piacevano ingiusti guadagni, 16 ma per la sua malvagità fu punito: un’asina, sebbene muta, parlando con voce umana si oppose alla follia del profeta. 17 Costoro sono come sorgenti senz’acqua e come nuvole agitate dalla tempesta, e a loro è riservata l’oscurità delle tenebre. 18 Con discorsi arroganti e vuoti e mediante sfrenate passioni carnali adescano quelli che da poco si sono allontanati da chi vive nell’errore. 19 Promettono loro libertà, mentre sono essi stessi schiavi della corruzione. L’uomo infatti è schiavo di ciò che lo domina.
20
Se infatti, dopo essere sfuggiti alle corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima. 21 Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato loro trasmesso. 22 SSi è verificato per loro il proverbio:
‹Il cane è tornato al suo vomito
e la scrofa lavata è tornata a rotolarsi nel fango›.

Temerari, arroganti, non temono d’insultare gli esseri gloriosi decaduti, mentre gli angeli, a loro superiori per forza e potenza, non portano davanti al Signore alcun giudizio offensivo contro di loro”. “Gli esseri gloriosi decaduti” I falsi maestri credevano di fare validi esorcismi insultando i demoni e non ricorrendo alla potenza di Dio. In tal modo venivano ad umiliare la natura angelica dei demoni, che pur se demoni rimane. Così “temerari”, cioè non considerando che finivano nella trappola dei demoni, combattevano l’odio con l’odio. Gli angeli santi, invece, potenti per la loro unione con Dio, li vincono, ma non li insultano.
Ma costoro, irragionevoli e istintivi, nati per essere presi e uccisi, bestemmiando quello che ignorano”. “Nati per essere presi e uccisi”, perché talmente svisati che risultano come bestie nate per essere prese e uccise. I toni di Pietro sono fortissimi per premunire i fedeli dalle abili seduzioni dei falsi maestri. “Bestemmiando ciò che ignorano”; le loro negazioni della verità sono bestemmie e ciò che dicono di conoscere e lo bestemmiano con le loro negazioni non lo conoscono, se lo conoscessero non lo bestemmirebbero, ma lo spirito del male ha ottuso le loro menti.
Essi stimano felicità darsi ai bagordi in pieno giorno; scandalosi e vergognosi, godono dei loro inganni mentre fanno festa con voi…”. Le loro aberrazioni le compiono in pieno giorno senza vergognarsene, e godono di ingannare la gente sottomettendola alle loro cupidigie di denaro.
Abbandonata la retta via, si sono smarriti seguendo la via di Balaam figlio di Bosor, al quale piacevano ingiusti guadagni”. Erano dei Battezzati, liberati dalle catene del peccato, ma per loro colpa hanno perso la retta via seguendo “la via di Balaam” (Nm 22-31,16). “Bosor”: nei Numeri (24,3) risulta “Beor”. Con molta probabilità uno sbaglio di un copista, oppure in Galilea il nome “Beor” era pronunciato “Bosor”. L’avidità di Balaam non è messa in rilievo nel testo dei Numeri, ma è indubbio che non si sarebbe avventurato a fare il fattucchiere se non per denaro.
Promettono loro libertà, mentre sono essi stessi schiavi della corruzione. L’uomo infatti è schiavo di ciò che lo domina”. La libertà che promettono i falsi maestri è che la sensualità essendo della materia non tocca lo spirito, che è salvo per la conoscenza di dottrine iniziatiche-esoteriche. Ma la realtà era ed è ben diversa perché dominati dalla carne idolatri della carne e perciò schiavi. (Fil 3,19): “Il ventre è il loro dio”.
Se infatti, dopo essere sfuggiti alle corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima”. (Cf. Mt 12,45; Lc 11,26; Eb 6,4-6; 10,26).
Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia…”. La loro condizione dopo l’apostasia dalla Verità è una tale disgrazia che era meglio che non fossero mai stati evangelizzati e battezzati.

Il ritorno del Signore negato dai falsi maestri
3
1 Questa, o carissimi, è già la seconda lettera che vi scrivo, e in tutte e due con i miei avvertimenti cerco di ridestare in voi il giusto modo di pensare, 2 perché vi ricordiate delle parole già dette dai santi profeti e del precetto del Signore e salvatore, che gli apostoli vi hanno trasmesso. 3 Questo anzitutto dovete sapere: negli ultimi giorni si farà avanti gente che si inganna e inganna gli altri e che si lascia dominare dalle proprie passioni. 4 Diranno: ‹Dov’è la sua venuta, che egli ha promesso? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi, tutto rimane come al principio della creazione›. 5 Ma costoro volontariamente dimenticano che i cieli esistevano già da lungo tempo e che la terra, uscita dall’acqua e in mezzo all’acqua, ricevette la sua forma grazie alla parola di Dio, 6 e che per le stesse ragioni il mondo di allora, sommerso dall’acqua, andò in rovina. 7 Ora, i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima Parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina dei malvagi.

Questa, o carissimi, è già la seconda lettera che vi scrivo, e in tutte e due con i miei avvertimenti cerco di ridestare in voi il giusto modo di pensare”. I destinatari di questa seconda lettera sono indubbiamente quelli della prima, perché solo nella prima sono nominati i destinatari (1Pt 1,1): “Ai fedeli che vivono come stranieri, dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, Nell’Asia e nella Bitiia”.
Perché vi ricordiate delle parole già dette dai santi profeti e del precetto del Signore e salvatore, che gli apostoli vi hanno trasmesso”. Sebbene le comunità asiatiche fossero costituite in maggioranza da cristiani provenienti dal paganesimo erano venute a conoscenza delle parole dei Profeti che annunciavano Cristo. Non è possibile infatti la fede cristiana da parte dei pagani senza l’innesto con l’olivo buono del popolo dei patriarchi (Rm 11,16). “Il precetto del Signore” è quello della vigilanza nell’attesa del suo ritorno. “Gli apostoli”, non sono il collegio apostolico, ma gli evangelizzatori di quelle terre chiamati apostoli (Cf. Rm 16,7; 1Cor 12,28; Ef 2,20; 3,5; 4,14).
Questo anzitutto dovete sapere: negli ultimi giorni si farà avanti gente che si inganna e inganna gli altri e che si lascia dominare dalle proprie passioni”. La gente ingannatrice sarà presente negli “ultimi giorni”, che vanno dall’inizio della predicazione apostolica fino alla fine del mondo (Gc 5,3; 1Pt 1,20; Gd 18; Eb 1,2).
Diranno: ‹Dov’è la sua venuta, che egli ha promesso? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi, tutto rimane come al principio della creazione›”. La propaganda sosteneva che ogni cosa rimane come prima nonostante le azioni cattive degli uomini, che dovrebbero essere punite. Così neppure ci sarà il suo ritorno, e dovrebbe esserci data la persecuzione che divampa: “Dov’è la sua venuta che vi ha promesso?”. Con tutta probabilità questa venuta era quella che Gesù aveva annunciato come imminente (Mt 10,23; Mc 9,1, 13,30; Lc 21,8; Mt 24,34) riferendosi alla distruzione di Gerusalemme (Mt 24,15; Lc 21,20). Tale distruzione tuttavia era in prospettiva profetica, quale tipo della distruzione della fine del mondo, che i profeti avevano annunciato. Certamente l’insidia dei falsi maestri su questo punto era sottile perché, accanto alla persecuzione di Nerone che aveva riflessi anche nelle province, ecco che nel 66 d.C. iniziò la guerra giudaica con delle prime vittorie sui romani, tanto che si pensava a un successo giudaico.
Pietro va oltre questa contingenza e guarda alla futura parusia del Signore di cui la distruzione di Gerusalemme è una figura, come ben si intendeva (Ma 24,30; Mc 13,24; Lc 21,25). Il ritorno del Signore fa parte del Credo e si trova ben presente nelle Scritture: (Mt 1,23; 16,27; 24,46; 25,31s; 26,64; Mc 8,32; 13,26.35; 14,62; Lc 12,36; 17,23s; 18,8; 21,25; Gv 14,3.28; 21,28; At 1,11; 3,20; 1Ts 4,16; 5,23; 1Cor 1,7s; 5,6; 11,26; Ap 1,4; 2,25; 3,3;.20; 4,8; ecc.).
Per le stesse ragioni il mondo di allora, sommerso dall’acqua, andò in rovina”. La corruzione non restò impunita. Dio concesse agli uomini molto tempo per ravvedersi, ma essi lo interpretarono come assenza di Dio.
Ora, i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima Parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina dei malvagi”. Dio mantiene nell’essere tutte le cose. Esse non hanno l’essere in proprio perché solo io è l’Ipsum Esse subsistens. Paolo dice (1Cor 8,6): “Un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui”; (Col 1,17): “Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono”; (At 17,28): “In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”.
Il fuoco distruggerà la terra e tutti gli empi (Cf. Ap 20,9). L’eternità farà irruzione nel tempo con la deflagrazione del fuoco. Non si tratta del fuoco quale dissoluzione di un ciclo del cosmo per l’inizio di un altro in un eterno ritorno, come pensavano gli stoici, ma sarà la fine a cui succederà l’ultima forma dell’universo quella eterna e gloriosa (Cf. Rm 8,20s).

L’attesa perseverante del ritorno del Signore
8 Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. 9 Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. 10 Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta.

Davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno”. I falsi maestri fingevano di ignorare che le punizioni di Dio giungono, come avvenne al tempo del diluvio e di Sodoma e Gomorra. I cristiani però devono ricordarsi che dinanzi a Dio un giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno (Ps 89/90,4).
Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza”. La “lentezza” di Dio, presupposta dai falsi maestri, veniva interpretata come noncuranza Dio (Ps 10,4.11.13; 35/36,2-3).
Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi”. La “lentezza” di Dio non è affatto tale, non è disinteresse, ma misericordia che dà tempo all’uomo di convertirsi perché Dio “non vuole che alcuno si perda”. (Cf. Ez 18,23; 33,11; 2Tm 2,13).
Il giorno del Signore verrà come un ladro”. Verrà all’improvviso (Mt 24,4-24.43; 1Ts 5,2). Ma, mentre verrà all’improvviso per gli empi, per chi intende offre segni di preavviso, ed è qui il valore della Parola dei Profeti (1,19) (Dn 12,10; Amos 3,7). Chiaro che una lettura di queste profezie secondo il sentimento proprio (1,20) può portare, anzi porta, a deviazioni profonde.
Allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta”. Con il diluvio venne devastata la terra, ora è tutto il cosmo a venire sconvolto “in un grande boato”, cioè in una immane deflagrazione.

Attesa attiva del ritorno del Signore
11 Dato che tutte queste cose dovranno finire in questo modo, quale deve essere la vostra vita nella santità della condotta e nelle preghiere, 12 mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno! 13 Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia.
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Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia. 15 La magnanimità del Signore nostro consideratela come salvezza: così vi ha scritto anche il nostro carissimo fratello Paolo, secondo la sapienza che gli è stata data, 16 come in tutte le lettere, nelle quali egli parla di queste cose. In esse vi sono alcuni punti difficili da comprendere, che gli ignoranti e gli incerti travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina.


Dato che tutte queste cose dovranno finire in questo modo, quale deve essere la vostra vita nella santità della condotta e nelle preghiere”. Poiché Dio concluderà la storia in maniera gloriosa e irresistibile, e quindi (1Cor 7,29): “Passa la figura di questo mondo”, non bisognerà attaccarsi al presente dimenticando il futuro che verrà. Quindi, ci si deve impegnare per i beni che resteranno in eterno (Mt 6,19): “Accumulate invece per voi tesori in cielo”.
Mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno!”. L’attesa della venuta del Signore è un elemento molto noto (1Cor 11,26, ecc.), quello che è una novità, già affermata da Pietro (At 3,20), è l’affrettare “la venuta del giorno di Dio”.
Il senso è che l’uomo non è semplicemente passivo nel disegno del Signore, ma anche attivo. Un esempio chiarissimo si ha alle nozze di Cana (Gv 2,1s) dove Maria affretta, nella sua carità verso gli uomini, l’inizio della vita pubblica di Gesù. Ciò che si vuole affrettare è la gioia della risurrezione gloriosa, alla quale il cristiano deve tendere continuamente. Non si tratta di affrettare la fine del mondo come pensiero negativo, ma la piena manifestazione dei figli di Dio. Si tratta di portare nel mondo il Vangelo senza lentezze, con fervore, fino a far sì che si stabilisca una terra riconciliata con Dio. Con ciò nessuna idea che cessino tutti i peccati (Mt 18,7), ma che non domini più sulla terra la negazione di Dio. Stando a quanto dice Pietro, Dio farebbe finire il mondo in questo apogeo, se avvenisse. Purtroppo noi facciamo piuttosto ritardare il giorno del Signore, che verrà non come giorno di acclamazione sulla terra, ma come giorno di morte (Cf. Ap 20,7).
Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia”. Ecco l’aspetto positivo e gioioso del ritorno del Signore: l’attesa dei “nuovi cieli e una terra nuova” (Ap 21,1s).
Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia”. Pietro riafferma la sua raccomandazione a fare di tutto “perché Dio vi trovi in pace”, cioè riconciliati con lui e con gli uomini. “Senza colpa e senza macchia”; sembrerebbe un doppione ma non lo è perché la colpa porta con sé una macchia nell’anima.
La magnanimità del Signore nostro consideratela come salvezza: così vi ha scritto anche il nostro carissimo fratello Paolo, secondo la sapienza che gli è stata data”. Si tratta delle lettere scritte alle comunità asiatiche. Ai Colossesi (1,22-23) e agli Efesini (1,5-14; 4,30; 5,5-6;ecc.), ma anche ai Galati (5,1s).
In esse vi sono alcuni punti difficili da comprendere, che gli ignoranti e gli incerti travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina”. L’area asiatica doveva essere a conoscenza di più lettere di Paolo, anche perché secondo l’uso del tempo lo scrittore portava con sé le lettere da lui scritte. Certamente, il punto più difficile doveva riguardare la giustificazione mediante la fede nella lettera ai Galati. Paolo aveva parlato della giustificazione mediante la fede e non mediante le opere della Legge, intendendo sconfessare i giudaizzanti che credevano di essere giustificati dalle opere della Legge, che poi nessuno riusciva a mettere in pratica totalmente, concependo Dio come un legislatore. Ne seguiva, per chi stravolgeva tutto il discorso di Paolo, che avendo fede si poteva lasciare da parte le opere, anzi peccare senza conseguenze. Nella lettera ai Romani Paolo dimostra di avere intercettato queste false interpretazioni (Rm 3,8). Ai Galati Paolo aveva ricordato di averli messi in guardia dal fraintendere la libertà cristiana (5,13): “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne”. Altro punto era quello del modo della risurrezione (1Cor 15,35), che con deformazione mentale poteva essere fraintesa come una risurrezione eterea, e non del corpo presente. Negando così la reale - veramente reale - risurrezione di Cristo.

Epilogo
17 Voi dunque, carissimi, siete stati avvertiti: state bene attenti a non venir meno nella vostra fermezza, travolti anche voi dall’errore dei malvagi. 18 Crescete invece nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo. A lui la gloria, ora e nel giorno dell’eternità. Amen.

Crescete invece nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo”. La perseveranza è accompagnata sempre, di per sé, dalla crescita nella grazia. Ciò porta alla conoscenza di Cristo, cioè all’esperienza di Cristo mediante la fede e le opere della carità.