MADRE UMILISSIMA”  
     
A Puianello, dove giunse il 6 giugno 1968, ebbe l'incarico di vicario, cioè sostituiva il superiore quando questi era assente. Le assenze c'erano e questo gli permetteva di chiedere a persone che lo andavano a trovare di fare dei lavoretti, come mettere in ordine le cose, disporre la frutta sui tavolati per conservarla, pulire il piazzale, ecc. Una volta fece mettere una recinzione in rete metallica nel retro del santuario.  
 
Questa capacità di rimanere attento alle cose pratiche l'aveva contratta nella vita di convento, poi l'aveva spiritualizzata guardando a Maria, nella quale Dio fece cose grandi, ma che come donna di casa fece cose piccole, pur se con immenso amore.
P. Raffaele meditava l'umiltà di Maria, alla quale Dio aveva guardato, come lei stessa dice nel Magnificat. L'umiltà di Maria era per Raffaele un'oasi di pace, era la strada per stabilirsi in Maria. Anche quando si lanciava a viso aperto nell'apostolato delle conferenze ai gruppi che lo frequentavano si trincerava nell'umiltà di Maria. Poi partiva con la conferenza, vivo, incisivo, intelligente, convincente. Non aveva un'umiltà scialba, Raffaele, non un atteggiamento ripiegato, melenso, ma aperto, conquistatore; tutti sentivano la sua paternità. Eppure era umile perché non puntava sulle sue capacità, ma su quelle che gli comunicava lo Spirito.
P. Raffaele da Mestre
Desiderava che tutti attingessero all'umiltà di Maria e si prodigò perché si diffondesse il titolo di “Maria, madre umilissima”, perché il suo esempio potesse togliere agli uomini il male della superbia.
L'umiltà di Maria era per lui indispensabile modello per la crescita della Chiesa nel post-concilio.
Scrisse questa riflessione al proposito: “La crisi della Chiesa tutta (nel post-concilio), è una crisi di crescenza e di maturità - è vero -, ma non secondo le leggi delle cose, bensì soltanto secondo le leggi dell'amore, per il quale crescere vuol dire ; maturare non vuol dire affermarsi, ma morire a se stessi. Se così è stato per Cristo, così è per il Corpo di lui, che è la Chiesa. Orbene, in questa corsa alla maturità, per rispondere al mondo - senz'altro in tutta buona fede - c'è stato una specie di titanismo spirituale. Nella spinta di crescenza, troppi di noi si sono illusi, si sono sentiti già maturi, già grandi al punto da fare senza la Madre”. P. Raffaele da Mestre
Crescere, dunque, lavorare nell'umiltà, nella sincerità con se stessi, nella preghiera. Tanti sono stati i resoconti sul cammino spirituale che p. Raffaele tracciò su di sé, per vedere a che punto era, per prepararsi a nuovi passi, per ringraziare del cammino fatto, per chiedere perdono dei rallentamenti avuti, per scoprire se stesso alla luce Cristo, per sanare le ferite di una fanciullezza dolorosa, per correggere gli sbagli contratti nell'ascesi.

Ecco la scheda che egli scrisse su di sé negli ultimi anni: ha il sapore di una cartella clinica dell'anima.
 
  Punti positivi:
1) Mancanza di feticismo scientifico;
2) ricerca umana di Dio,
3) ricerca di amore e attuazione progressiva di amore;
4) incapacità di inerzia;
5) ottimismo umano;
6) incapacità di arrendersi, per testardaggine e innato ottimismo.

Punti negativi:
1) Capacità ontologica di trasformare la fede in gusto della verità;
2) volontà molto attiva, ma non sempre guidata dall'oggettività;
3) spontaneità, che previene la coscienza e l'azione voluta, ma ciò per naturalità; 4) sentimentalità molto forte, perché razionale;
5) generosità operante, cioè che nasce dal bisogno di dare più che dovere dell'amore.
 
 
P. Raffaele da Mestre
 
   
Si osservino i punti positivi.

Raffaele non guardava alla scienza presentata dal mondo come una seduttrice che vuole abolire il pensiero filosofico metafisico e conseguentemente erodere la fede facendola retrocedere a puro sentimento religioso. Questo baratro Raffaele l'aveva sfiorato e ne era immediatamente fuggito, affermando nella preghiera a Loreto la sua fede. La scienza p. Raffaele la rispettava, ma sapeva che la più piccola verità di fede vale più della conoscenza dell'atomo, se si potesse raggiungere completamente.
La sua ricerca umana di Dio attingeva alla consapevolezza che l'essere umano è fatto per Dio, tende di per sé a Dio. La ricerca di Dio non è un fatto indotto da una cultura, ma è insito nell'uomo; l'uomo ha in sé un istinto razionale a Dio.

L'Amore si conosce con l'amore; e l'Amore si è fatto conoscere con l'amore e con il dono dell'amore. La via di avanzamento di Raffaele era l'amore a Dio e al prossimo sull'esempio di Cristo, vivente in lui.
Era incapace di inerzia, proprio perché l'amore non è mai inattivo.

Ottimismo umano. Raffaele era ottimista e questo lo aveva aiutato sempre in tutte le difficoltà. Il pessimista è un inerte che giustifica la sua inerzia con il pessimismo, cosa molto diversa dal realismo.
Era incapace di arrendersi Raffaele, non solo perché aveva un innato ottimismo, ma perché era un testardo. Nella sua infanzia, nel collegio di Scandiano, lo aveva ampiamente dimostrato. Dio poi lo aveva piegato, ma era rimasto testardo, testardo nel bene, con la forza dell'amore e la dolcezza dell'umiltà.

Si osservino i punti negativi.

Raffaele nel passato tendeva a credere per ragionamento, cioè a insistere sulle prove di credibilità circa la fede, e tendeva ad usare la fede per scalare la verità, con il pericolo di far prevalere la ragione sulla fede. Aveva dovuto conquistare l'armonia tra ragione e fede, il rispetto dei rispettivi campi. Raffaele aveva dovuto invertire la rotta facendo sì che il gusto della verità venisse sottomesso alla fede, facendola così crescere. La teologia è proprio questo: intelletto illuminato dalla fede e sottomesso alla fede, senza rinunciare ad essere. Raffaele era giunto ad armonizzare ragione e fede, nell'unità di sintesi di un intenso amore alla Verità, prima ed eterna: Dio.

Raffaele era un volitivo, ma come tale tendeva a sconfinare nel volere perseguire non il dato oggettivo, ma il suo punto di vista.
Era spontaneo, agiva di getto, per questo dovette sottomettersi alla riflessione, alla ponderazione delle cose.
Era certamente fortemente sentimentale, nel senso positivo, quindi non sentimentaloide. Dovette contrastare questa tendenza facendo sì che il calore umano si aprisse, senza però spegnersi, al soprannaturale calore della carità. Raffaele aveva molto riflettuto sul comunicare se stesso e aveva visto che stava dando “un surrogato pericoloso”, poiché finiva per attirare a sé e non a Cristo.

Fin da fanciullo Raffaele era abituato a dare, amava dare, era contento di dare. Si sentiva bene nel dare. Ma vedeva il pericolo dell'autocompiacimento, per cui lavorò per avere carità senza compiacere se stesso (Cf. Rm 15,1s).

Concludendo, il suo temperamento lo sospingeva al comando, all'ostinazione nell'azione: non però alla durezza d'animo.
L'umiltà gli tolse le punte forti, aprendolo alla pazienza con se stesso, oltre che con gli altri. L'umiltà nutrì in lui la carità, dandogli la gioia di amare.
Un giorno, una benefattrice del santuario ebbe modo di cogliere questo suo aspetto. Vedendo che p. Raffaele ringraziava la gente, gli domandò: “Perché lei dice sempre grazie a tutti?”. “Perché mi hanno permesso di esercitare la carità”. Intendiamoci non la beneficenza, ma la carità, che è fuoco d'amore procedente da Dio.
 
   
RINNOVA LA TUA CONSACRAZIONE A MARIA”  
La giornata di p. Raffaele era rigorosamente ritmata dalla preghiera, ma bisogna anche dire che lui stesso, come si afferma di san Francesco, era diventato preghiera.
Al mattino veniva alzato alle cinque. L'infermiere usava il montacarichi, per sollevarlo dal letto, ma una volta diventato più esperto se la cavava anche senza. Quando p. Raffaele era pronto, rimaneva nella cameretta fino all'ora della Messa. Molte volte vi arrivava stanco per le sofferenze, per il poco sonno, per il martellare delle prove, ma se riusciva a celebrarla aveva le energie per affrontare la giornata con pieno dinamismo. Se non riusciva a celebrare la Messa doveva restare a letto tutto il giorno in preghiera. Sorprenderà, ma p. Raffaele, con una vita interiore così ricca, spesso nella sua stanzetta pregava con l'Ave Maria. La preghiera vocale lo aiutava a reagire, a riprendere il tono del cuore, il tono della volontà di andare avanti con gioia, senza flettersi mai.
Dopo la Messa faceva il ringraziamento rimanendo a lato dell'altare maggiore, ai piedi dell'immagine della Madonna. Un sorriso gli inondava il volto, mentre le mani stringevano il rosario.
P. Raffaele da Mestre
Poi veniva portato nello studiolo dove sbrigava la corrispondenza, che richiedeva una mezz'ora di tempo. Quindi, cominciava a ricevere la gente, continuando fino a mezzogiorno. Dopo un momento di preghiera, pranzava nel suo stesso studiolo, poiché la fraternità aveva il refettorio al piano superiore. In un secondo tempo, però, i confratelli pensarono di adibire a refettorio la sala di rappresentanza al piano terreno e così p. Raffaele poté consumare i pasti con loro.
Dopo il pranzo viveva un momento di fraternità e, se non c'erano gruppi di persone ad aspettarlo, veniva coricato per un breve riposo. Nel primo pomeriggio recitava poi il rosario in chiesa. Se non era presente, perché portato a prendere un po' d'aria nei dintorni, faceva recitare il rosario ad un laico: il culto del santuario a Maria non doveva mai essere interrotto.
Iniziava poi a ricevere la gente, fino alle cinque, ora in cui si ritirava nella sua stanzetta a meditare e pregare.
Dopo la cena, se il tempo lo permetteva, si faceva portare un po' attorno al santuario, poi lo attendeva un programma di conferenze sul Vangelo.
 
Terminata ogni attività si faceva condurre dal frate infermiere a lato del Tabernacolo per un ultimo saluto al Signore. In quel momento recitava anche il “Tota Pulchra”, e con le braccia in croce diceva tre Ave Maria per i bisogni della sua Provincia monastica. Allontanandosi dal Tabernacolo fu udito dire, diverse volte, con il tono di un fanciullo e sottovoce: “Buona notte, Gesù”.
Poi cercava che il sonno lo visitasse, ma un bel sonno ristoratore era raro. Il più delle volte passava la notte tra la veglia e il sonno.
Dopo essere stato coricato sul letto non poteva che rimanere nella posizione iniziale, e, se voleva avere il beneficio di girarsi su di un fianco, doveva suonare il campanello del frate infermiere, affinché gli facesse assumere la nuova posizione.
Per un periodo tutto funzionava, ma il bravissimo confratello infermiere venne destinato dai superiori ad altro compito. P. Raffaele chiese allora che gli venisse affidato un frate che, da lui avviato alla vita religiosa, stava attraversando un momento di difficoltà. Il nuovo frate era generoso, spontaneo, ma con un ottimo sonno per cui, quando p. Raffaele suonava il campanello per avere un cambio di posizione, molte volte non sentiva e al padre non restava che rimanere nella pazienza e nella preghiera.
P. Raffaele da Mestre
Le ore passavano scandite dai rintocchi dell'orologio del santuario, in una veglia dolorosa.
In quelle lunghe ore subentravano, a volte, le insidie del nemico, ma Raffaele prontamente rinnovava la sua consacrazione a Maria e, con la Regina delle Vittorie, sosteneva l'attacco. Che le cose stessero così lo comprese un giovane che colpito da diverse prove, si sentì dire: “Rinnova la consacrazione a Maria”.
Una volta a p. Raffaele sfuggì una rivelazione su quegli attacchi: “Il Diavolo mi si mette fermo, in fondo al letto, con due occhi verdi, fosforescenti e a me mi vengono i brividi...”. Brividi per essere a contatto con l'Odio e per la paura che il Demonio l'avesse scaraventato giù dal letto. Poi, accortosi di aver detto troppo, cambiò repentinamente argomento.
 
 
TI DARO' TUTTA LA MIA ASSISTENZA”  
Dei suoi colloqui con le singole persone Raffaele parlava rarissimamente, e sempre, come deve essere, senza far nomi o dare particolari indicazioni.
Così una volta raccontò che era entrato da lui un massone e con poche parole gli aveva detto di smetterla con tutte quelle marce della fede. Ma, a quel tale la baldanza massonica venne meno quando p. Raffaele gli dimostrò di sapere tanto. Sia chiaro: non lo conosceva affatto, ma Dio gli manifestò chi fosse quel tale, che sentendosi smascherato andò via tutto confuso.
Molti hanno raccontato dei loro incontri con p. Raffaele, per cui si può dire che usava bontà e comprensione, adattandosi a ciascuno, senza tuttavia alterare la verità.
Raffaele non ha mai illuso nessuno.
Sapeva cogliere il problema che gli veniva posto, l'aspetto profondo di una domanda. Un giovane, per verificare come fosse la sua preghiera davanti a Dio e fondarsi quindi su quanto avrebbe detto p. Raffaele, gli disse che pensava che la sua preghiera non fosse gradita a Dio, non avesse forza.
P. Raffaele da Mestre
Lui colse il punto e, abilissimo, rispose: “Pensaci su”. Non disse: “No, il Signore gradisce la tua preghiera ... ”; infatti tali parole avrebbero bloccato la crescita della fede in quel giovane.
Quando nel santuario non c'erano visitatori seguiva con la preghiera tanti casi, per ore intere, come se si trovasse accanto a quelle persone. Un esempio ci è dato dalla testimonianza di un suo frequentatore che, dovendosi sottoporre ad un intervento al setto nasale, andò prima da p. Raffaele per avere rassicurazione e preghiera. P. Raffaele gli disse di andare tranquillo, aggiungendo: “Io, comunque, ti darò la mia assistenza”. Entrato in ospedale a quel signore venne subito riscontrata una disfunzione al cuore e ciò avrebbe potuto determinare serie complicazioni in sede di intervento. Quel signore, tuttavia, si rassicurò pensando che il padre lo seguiva con la preghiera. Durante l'operazione insorsero delle difficoltà. “Tiratelo su! Tiratelo su! Perché si sono chiusi i plessi polmonari!”, gridò il chirurgo che conduceva l'intervento; ma data la stazza era una parola alzarlo. Provvidenzialmente in quel momento un frate cappellano, piuttosto robusto, sopraggiunse in sala operatoria ed eseguì prontamente quanto con concitazione comandava il chirurgo.
Quel signore salì in seguito al santuario di Puianello rimanendo stupito nel sentirsi dire che p. Raffaele aveva seguito tutto: “Quel frate non voleva muoversi, poi finalmente s'è mosso”.
P. Raffaele aveva doni straordinari e che ne avesse lo si poteva arguire bene. Da parte sua, però, si chiudeva immediatamente in se stesso quando si cercava di indagare.