10 (Lc 11,27-28): “Mentre diceva questo, una donna alzò la voce e disse: ‹Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!›. Ma egli disse: ‹Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!›”.

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Questa risposta di Gesù, detta in riflesso alla benedizione fatta alla Madre, sembrerebbe ferire gli intimi legami intercorrenti tra lui e Maria; ma, ad una breve riflessione, si rivela come la loro difesa. L’elogio di quella donna anonima era umano, ancora privo della fede nella divinità di Gesù.

 

Simile risposta diede quando gli vennero a dire: (Lc 8,20-21) “<Tua Madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti>. Ma egli rispose: <Mia Madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica>”. La risposta, nei confronti della precedente, sembra ferire ancora più dolorosamente la figura della Madre, ma in realtà la difende vigorosamente, perché viene ad affermare la maternità divina. I suoi interlocutori, infatti, tentavano di abbassare la sua persona, che si manifestava divina, al solo livello umano. A Nazaret i suoi compaesani arrivarono all’estremo nel misconoscere la sua persona (Mt 13,55): “Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria?…

Udì Maria questa risposte? Certamente udì quella che Gesù disse quando cercava di vederlo (Lc 8,20-21). Lei capì bene il perché il figlio amatissimo dovette dirla.

 

11 (Gv 19,26): “Gesù allora, vedendo la Madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla Madre: ‹Donna, ecco il tuo figlio!› Poi disse al discepolo: ‹Ecco tua madre!› E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa ”.  

 

La parola “donna” era stato già pronunciata a Cana nell’invito di Gesù alla Madre di assumere pienamente il compito di collaboratrice nella fede. Quella parola “donna”, che segnò il sacrificio dell’intimità domestica di Nazaret, ora segna il sacrificio di ogni rapporto con la vita fisica del Figlio.

 

A Cana, ella si era offerta prima di udirla; sul Calvario, ugualmente la ode quando già aveva tutto abdicato alla volontà del Padre. Benedetto XV così si esprime (Acta Apost. Sedis 1918 p.182): “Con il Figlio che soffre e muore, soffre e quasi muore anche ella, abdica  ai suoi diritti materni sul Figlio per la salvezza degli uomini, e, per quanto dipende da lei, immola il Figlio suo per placare la divina giustizia”.

 

Già, ad un primo sguardo, le parole di Gesù superano la nota che segnala l’ospitalità presso Giovanni.

 

I primi scrittori cristiani rimasero a questa nota che segnalava Maria vicino agli apostoli e animatrice orante delle loro iniziative, e non scavarono oltre. In seguito, si approfondì meglio la portata delle parole di Gesù, dando origine ad una tradizione che, negli ultimi sette secoli, ha goduto del consenso generale.Questa tradizione vide, nelle parole di Gesù “Donna ecco il tuo figlio, e figlio ecco la tua Madre”, la proclamazione della maternità universale di Maria, che, compiendosi sul Calvario, aveva il suo inizio e il suo fondamento nella nascita di Betlemme.

 

Dunque non parole rivolte ad un singolo, ma a tutti gli uomini. Leone XIII, nell’Enciclica “Adiutricem populi”, così chiarisce: “In Giovanni pertanto, come ha sempre pensato la Chiesa, Cristo designò ogni persona del genere umano, e, prima di tutti, coloro i quali, mediante la fede, avrebbero aderito a lui”. A queste parole fanno eco quelle della lettera apostolica “Inter sodalicia” di Benedetto XV e della lettera apostolica “Esplorata res est” di Pio XI.

Sul Calvario, mentre Gesù attirava tutti a sé (Gv 12,32), Maria udì l’invito a stabilire con piena coscienza legami materni con gli uomini: l’umanità non poteva innestarsi al Capo se non riceveva la somiglianza col Capo nel seno della Madre.

 

12 (At 1,13-14): “E, giunti che furono, salirono al cenacolo…: tutti questi erano perseveranti concordemente nell’orazione con le donne e con Maria la Madre di Gesù”.  

 

Erano ormai trascorsi dieci giorni dall’ascensione di Gesù e si era alla celebrazione della Pentecoste, “cinquantesimo”, per ringraziare Dio per i raccolti (Ps  64, 10-14):

 

Tu visiti la terra e la disseti:

la ricolmi delle sue ricchezze.

Il fiume di Dio è gonfio di acque;

tu fai crescere il frumento per gli uomini.

 

Così prepari la terra:

ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle,

la bagni con le piogge

e benedici i suoi germogli.

 

Coroni l’anno con i tuoi benefici,

al tuo passaggio stilla l’abbondanza.

 

Stillano i pascoli del deserto

e le colline si cingono di esultanza.

 

I prati si coprono di greggi,

le valli si ammantano di grano;

tutto canta e grida di gioia.

 

Nella camera alta del Cenacolo, gli apostoli attendono il dono dello Spirito Santo, col quale incominciare a dare mano alla messe dei popoli.

 

Gesù aveva detto (At 1,8): “Avrete forza dallo Spirito Santo, che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e fino agli estremi confini della terra”.

 

Con gli apostoli, il cui numero era ritornato di dodici dopo l’elezione di Mattia, c’era Maria. Ella, dopo aver sostenuto, con l’offerta totale di se stessa, la missione del Figlio, sul Calvario ricevette il compito di sostenere quella degli Apostoli; i quali ebbero così, in quelle ore di attesa dello Spirito Santo, la presenza unificante della Madre di Gesù. Ella, nel silenzio del suo comportamento, li condusse ad una nuova riflessione sulle loro insufficienze e li attrasse nella sfera della sua mediazione.

 

Lo Spirito di Dio, che aveva scelto lei per operare il capolavoro dell’Incarnazione, e che aveva atteso la presenza di lei per inondare di grazia il Precursore e sua madre Elisabetta, dall’alto vide la Prima cristiana presente nel cenacolo, e, veloce, gagliardo, volò sulla sua prediletta sposa e sugli Apostoli, stretti attorno a lei. Da quel momento, lo Spirito Santo inabitò nella Chiesa, riempiendola della sua presenza.

 

(Leone XIII “Divinum illud munus”): “Non è da immaginare ed aspettare un’altra più larga ed abbondante effusione dello Spirito Santo, giacchè ora nella Chiesa se ne ha la massima, e durerà sino a quel giorno che la stesa Chiesa dallo stadio della milizia verrà assunta al trionfale consorzio nella letizia dei santi”.

 

Si avrà nei secoli solo una fluttuazione di doni dello Spirito Santo, che sono liberamente elargiti dalla Trinità, in relazione della partecipazione dei credenti alla croce di Cristo e al cammino di conversione verso il Padre.

 

13 (Is 61,10): “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come una sposa che si adorna di gioielli”.  

 

Il transito della Madonna, come osserva s.Epifanio, è avvolto nel mistero. La bolla “Munificentissimus Deus” dice che il privilegio dell’Assunzione si verificò “terminato il corso della vita terrena”. Con tale espressione, la definizione non decide perciò se l’Assunzione gloriosa si sia verificata dopo la separazione dell’anima dal corpo, come avviene nella nostra morte, oppure senza questa esperienza, retaggio della colpa originale. Si può dunque lecitamente pensare ad un “sonno”, ad una “dormizione”, che non ha conosciuto la separazione dell’anima dal corpo. Nulla c’era infatti in lei che meritasse di corrompersi, come nulla c’era in Cristo. Infatti la morte di Cristo, inauditamente incompatibile con la sua perfezione di Adamo celeste, a maggior ragione, doveva avere il privilegio dell’immortalità corporea di cui godeva il vecchio Adamo.

 

Maria, come ci attestano solide voci della tradizione, non ebbe il martirio cruento ed esaurì la sua vocazione nella croce di un terribile martirio d’amore, cioè la sofferenza di rimanere sulla terra, mentre si anela con tutte le forze al cielo.

 

Si può dire dunque che il “sonno” fu causato da “lumen gloriae”, che prima inondò le potenze superiori dell’anima (intelligenza e volontà) e poi, dopo il trasporto degli angeli, si estese alle potenze inferiori (quelle che presiedono alla vita sensitiva e vegetativa).