La Risurrezione  
 
   
     

La risurrezione nell’eternità
Il corpo, come tutti constatano e sperimentano, di per sé non ha l’immortalità. Il corpo ha bisogno di nutrimento per potere essere vivo, in unione con l’anima.
Nel paradiso terrestre la morte non c’era e l’uomo e la donna sarebbero entrati in cielo, nell’eternità, senza conoscere la morte. Non c’era l’invecchiamento, ma ciò non significava la permanenza eterna sulla terra, poiché l’uomo era chiamato ad entrare nel cielo, quale suo ultimo fine.
Nel paradiso celeste l’attività del lavoro non ci sarà più (Ap 21,4), poiché nel cielo c’è festa eterna e colui che appresta la festa è anche il servitore della stessa, cioè Dio (Lc 12,37).
Il corpo nell’eternità non può dipendere da cibi, che si producono nelle loro stagioni: nell’eternità non ci sono stagioni. Non si hanno neppure cibi di paradiso, quasi in paradiso ci fosse latte, vino, miele, frutta, di qualità paradisiaca, cose che poi dovrebbero essere create da Dio tutte le volte, perché agricoltura e zootecnia in cielo non ci sono.
Non si mangia e non si beve nell’eternità; non si ritorna alla situazione della terra, dove si mangia e si beve; chiaro poi che non si genera (1Cor 6,13; Mt 22,30; Ap 7,16-17).

Non è neppure pensabile che si risorga rimanendo vivi in eterno sulla terra mangiando e bevendo (1Cor 15,50). I millenaristi (chiliasti), sulla scorta di un’errata lettura di (Ap 20,4), credevano in una prima risurrezione in terra: un millennio di vita gaudente. Tale visione già c’era, come corrente di pensiero, nel giudaismo, dove si insisteva sulla realtà terrena: trionfo di Israele, l’abbondanza di beni, ecc. Tale visione millenarista con lo gnostico Cerinto (Sec. II) ebbe un’accentuazione spirituale, ma senza cancellare i beni temporali. Tale prospettiva, sia che la si interpreti in modo gaudente o con accentuazione spirituale, la si ritrova confluita nel Corano (Sura 2,25; 4,122; 37,41-49).

Bisogna affermare che non ci potrebbe essere risurrezione, e con ciò ingresso nell’eternità, senza che il corpo sia atto alla vita; infatti per avere la vita datagli dall’anima, sua forma sostanziale, deve essere vitalizzabile. Tutti sanno che se un corpo non è più atto alla vita si ha la separazione dell’anima, cioè la morte.
Il corpo risorto non sarà dunque un manichino mosso dall’anima, perché è inconcepibile pensare l’anima come un motore applicato a un manichino, essendo invece la forma sostanziale del corpo.

Indubbiamente con la risurrezione si ha il raggiungimento del fine eterno dell’uomo, per cui san Tommaso (“Summa Teologica” Suppl. q. 81, a. 4) dice: “Quelle funzioni naturali che sono ordinate a produrre o a conservare la prima perfezione della natura umana non ci saranno dopo la risurrezione”. Verissimo quanto dice san Tommaso D’Acquino, e si deve dire che essendo l’anima forma del corpo, e non come motore del corpo, occorre che tale corpo - glorioso -, in terra nato da un uomo e una donna, non sia una mummia, ma sia realmente vivo e numericamente lo stesso.

In specifico: Il cuore di Cristo risorto, pur colpito dalla punta della lancia, batteva. Le ferite ai polsi e ai piedi non erano cicatrizzate, ma vermiglie senza essere sanguinanti. Parlare di cicatrici è parlare di una guarigione dove i fori rimangono, ma ciò sarebbe senza senso perché la risurrezione avrebbe dovuto cancellare i segni dei chiodi, e del dolore (non più presente), e anche lo squarcio del costato avrebbe dovuto cancellare, e invece no (Gv 20,20; 27). Gesù compariva e spariva in un battibaleno (Lc 24,31). Entrò nel cenacolo a porte chiuse (Gv 20,19; 26), ma questo per uno specifico miracolo di compenetrazione dei corpi. Poteva apparire luminoso come sul Tabor, oppure normale (Mc 16,12; Gv 21,4). Respirava anche, poiché soffiò sugli apostoli (Gv 20,22). Respirava quando parlò alla Maddalena, ai discepoli di Emmaus, agli apostoli.
Nel cielo respira? Non so nulla, ma nell’ascensione al cielo a velocità ultralampo, nel vuoto degli spazi siderali, certo poté mantenne il moto automatico della respirazione.
Certo Cristo è entrato per sempre nell’incorruttibilità (1Cor 15,51; 1Gv 3,2).

Il medico Luca, il solo che riporta che Gesù nel cenacolo chiese del cibo e lo consumò, ci dice tanto (Lc 24,41). Fu inutile quel cibo? No, come segno della realtà della risurrezione. Quel cibo venne assimilato? Sì, ma in un modo prodigioso, non gastrico, e lo scarto venne ridotto all’assenza dell’essere, cioè nel nulla. Così il corpo risorto e glorificato non mangia, ma riceve da Dio, con creazione dal nulla, ciò che è metabolicamente necessario per la vita, e sempre Dio fa ripiombare nel nulla tutto ciò che è conseguente scarto.
Il metabolismo è certo imprescindibile in terra, ma è pur imprescindibile - in modo profondamente diverso - nella gloria celeste, e questo avviene per l’onnipotenza di Dio.
Ma più di questo chi può dire qualcosa?

I corpi risorgeranno in età adulta e saranno giovani di forme belle, perché la risurrezione viene direttamente da Dio. Tutto ciò che deformava nel tempo i corpi, a causa dei dissesti genetici dovuti ai peccati, verrà tolto: saranno gli stessi corpi, non corpi diversi.

Anche il dannato risorgerà, ma sarà risurrezione oscura e di morte, secondo perfetta giustizia (Cf. Dn 12,2).

ll dono dell’immortalità nel paradiso terrestre
Può nascere la domanda che se l’unità corpo-anima è filosoficamente una realtà della completezza della natura umana, allora nel paradiso terrestre l’immortalità non sarebbe stata un dono, ma una cosa dovuta.
Nell’esatto contrario, la completezza della natura umana nel tempo era affidata al dono, poiché l’assenza della morte era dono.
Il corpo era perfetto, con difese immunitarie perfette, a eventuale salvaguardia da oscillazioni ambientali (caldo/freddo), pur ottimali, ma la vecchiaia, per dono di grazia, non ci sarebbe stata e neppure la morte: ecco come il dono sorpassava la natura di per sé mortale dell’uomo, nel tempo. Tale dono sarebbe poi stato sancito nell’eternità dal dono della glorificazione anima-corpo. Bisogna intendere che l’uomo è stato creato da Dio perché Dio voleva comunicare sé stesso all’uomo. Senza questo dono di sé da parte di Dio, l’uomo sarebbe stato una creatura con un futuro non corrispondente al fatto che era capace di Dio, essendo creato a immagine di Dio, e l’immagine tende alla fonte dalla quale scaturisce. Dio ha creato l’uomo per amore e per dargli il suo amore e il suo eterno abbraccio nella gloria del cielo.
Subentrata per il peccato la morte, la morte non è rimasta l’ultima parola sull’uomo. L’identità piena (anima-corpo) si ricomporrà nell’ingresso del corpo nell’eternità, nella risurrezione gloriosa per opera di Cristo.
Anche i dannati risorgeranno perché i loro corpi entreranno anch’essi nell’eternità, e ci sarà anche per essi la completezza dell’uomo (anima-corpo), ma risorgeranno nella giustizia della condanna, poiché il corpo fu lo strumento usato per odiare Dio e il prossimo, in un rifiuto della somma della somma della misericordia di Dio, in Cristo Gesù.
Così anche i dannati risorgeranno, ma nell’infamia.

Risurrezione nella gloria
Il risorto si troverà di fronte al Giudice, che, se ha compiuto sulla terra il bene, verrà elevato alla gloria, oppure, se ha compiuto il male, sarà abbassato eternamente nell’infamia (Daniele 12,2; Gv 5,29).
Il corpo risorto, restando quello avuto in terra con la gestazione e la nascita da donna, sarà trasformato dall’azione dello Spirito della gloria (1Pt 4,14). (Mc 12,25) : “Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli” ; (2Cor 5,4): “In realtà quanti siamo in questa tenda (corpo) sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati (dal corpo) ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita”; (1Cor 15,52): “I morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. E’ necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta d’incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d’immortalità”; (Fil 3,2): “Il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose”.
[Nella parola immortalità Paolo intende la trasformazione nella gloria; poiché tale parola esclude in tutto la morte, mentre i dannati saranno solo incorruttibili perché risorgeranno nella “seconda morte” (Ap 20,14)].

I corpi dei risorti nella gloria saranno raggianti luce (Dn 12,3; Sap 3,7; Mt 13,43; 1Cor 15,43; Fil 3,21) e rivestiti di abiti tessuti di fili di luce (Mt 17, 1-2; At 1,10; 10,30; Ap 3,4.5.18; 4,4; 6,11; 7,9). L’abito è ornamento, segno di onore.

I corpi gloriosi avranno l’agilità, cioè la possibilità di spostarsi da un luogo all’altro mossi dalla potenza di Dio (Cf. Is 40,31; 1Cor 15,43).

Il corpo risorgerà spirituale (1Cor 15,44), cioè i corpi gloriosi saranno perfettamente sottomessi all’anima e in armonia con essa.

La risurrezione nell’infamia
I dannati, avranno anch’essi forme belle, puri per un istante, e poi immondi per l’unione con l’anima immonda.

I corpi dei dannati rifletteranno il buio dell’anima. Le fiamme saranno le loro vesti.

I dannati nella risurrezione non avranno l’agilità e saranno legati al carcere eterno.

I dannati odieranno i loro corpi, perché proprio per avere eletto i sensi come loro guida sono giunti alla dannazione. I dannati sono immondi, e vorrebbero esprimere impunemente la loro sozzura, ma la loro sozzura viene eternamente contraddetta, poiché sono salati dal fuoco (Mc 9,49). Il paragone della Geenna indica che essi sono buttati via, come in un rovente luogo per consumare le immondizie (Mc 9,47-49).

Chi rende incorruttibile il corpo del dannato? In coerenza con l’unità di anima e di corpo, propria dell’uomo, lo farà l’onnipotenza divina.

Sentiranno con l’udito, con il tatto, odoreranno, vedranno, parleranno, si muoveranno dentro il carcere eterno.
I dolori atroci - quelli del corpo saranno dei nulla rispetto a quelli dell’anima - saranno per sempre (Is 25,8; 49,19; Sap 3,7; Dn 12,3; Mt 13,45 1Cor 15,42-44; Ap 7,16-17; 21,4). Le fiamme saranno le vesti dei dannati, ma senza ucciderli; se li uccidessero dovrebbero essere fatti risorgere continuamente, ma ciò non è. Nell’inferno c’è morte, senza mai morte (Lc 16,24).
Tutto è odio nell’inferno. I demoni, fin da ora - prima della risurrezione -, sopprimono nei dannati ogni attimo che possa paragonarsi anche lontanamente a un qualche attimo di pace o di rivincita.

I demoni possono buttare i dannati qua e là, lanciarli tra di loro come un crudele e allucinante gioco. Li possono spaventare con terrificanti forme, non risparmiando mai di torturali con risate, parole di odio, di umiliazione feroce, ricordando loro come in terra hanno seguito i loro inganni.
I dannati odiano anch’essi, cercando di colpire i demoni con parole di odio, e odio c’è tra i dannati.

Alla fine del mondo, Satana, iniziatore della ribellione a Dio, si troverà i demoni e i dannati in rivolta contro di lui. Tutto, totalmente tutto, sarà contro Lucifero, e sarà la disgregazione che disgregherà ogni forma di coalizione formata dall’odio.
I pittori hanno cercato di rendere i tormenti dei demoni sui dannati, arrivando a dipingere scene raccapriccianti, da sala delle torture, ma dobbiamo capirli. La pittura non poteva rendere i tormenti dell’inferno, e per impressionare optarono per quanto di più straziante potevano immaginare, ma i tormenti da sala delle torture non reggono al confronto con quelli dell’inferno.