Il Purgatorio  
 
     

Il Purgatorio è un cammino di purificazione, ma è anche un luogo.
La Scrittura non parla direttamente del Purgatorio, ma presenta dei testi che conducono a concepirlo, e il Magistero lo ha fatto. Questi i testi: 2Mc 12,43-46; Sap 4,20; Mt 5,25-26; 12,31-32; 1Cor 3,10-17; 2 Tm 1,18. Le Scritture del Nuovo Testamento sono in continuità con lo sheol veterotestamentario; infatti lo sheol comprendeva delle suddivisioni: attesa del cielo (seno di Abramo, Lc 16,22; limbo); definitiva condanna (Is 14,15; 66,24; Ez 32,23s; Dn 12,2; = inferno); cammino di purificazione (2Mac 12,43-46; = purgatorio). Il limbo, che si identifica con il seno di Abramo, è cessato con la discesa di Cristo agli inferi (Cf. 1Pt 3,19; Eb 11,39s; 12,23); dello sheol rimane il purgatorio e l’Inferno.

Lo sheol.
Lo sheol era collocato negli inferi (Nel Credo diciamo: “Discese all’inferno ‹inferi›” (Cf. 1Pt 3,19; Eb 11,19; 12,23), in basso. Vorremmo sapere le coordinate del purgatorio, ma nessuno può dirne parola e del resto non ci sarebbero di utilità alcuna. Ci basta questo: Cristo discese agli inferi.
Alto e basso sono due elementi primordiali e ineliminabili dell’esperienza di ciascuno di noi. In alto sta ciò che è nobile, grande, glorioso, sovrano, in basso - considerando il purgatorio -, ciò che è lontano dall’alto, che non è ancora degno di essere in alto. Riguardo all’inferno esso è negli inferi (Mt 16,18), ed è molto efficace la parola abisso (2Pt 2,4; Ap 9,1; 20,2).

L’anima separata.
Le anime separate dal corpo, essendo spirito, sembrerebbe che non possano essere collocate in un luogo, ma non sono, come anche gli esseri angelici, trascendenti in assoluto ai luoghi, poiché sarebbero creature collocate nel vuoto del nulla, cioè creazioni a parte senza relazione con la creazione, e ciò non è. L’anima infatti è già di per sé in relazione con il corpo quale forma sostanziale. L’angelo, poi, secondo la Scrittura è in relazione con l’uomo, e quindi non è un essere nel vuoto del nulla. Solo Dio è in cielo in terra e in ogni luogo (At 17,28), pur dovendo dire che non è in nessun luogo, poiché trascendente la creazione in assoluto.
L’anima separata può così trovarsi in un luogo.

Dio vuole che l’anima separata dal corpo abbia attività di conoscenza, e per questo le infonde delle species intelligibilis, non potendo avere le impressioni sensibili date dal corpo. Dio, infatti, non è Dio dei morti, ma dei viventi (Es 3,6; Mt 22,32).

L’anima separata rimane della sua natura, non acquista i caratteri della creatura angelica. Con ciò non ha la capacità di agire sulla materia come un angelo e la capacità di spostarsi a piacimento e velocissimamente da un luogo ad un altro, come un angelo. L’anima separata si può muovere per un’azione di Dio, oppure di angeli.
Possono uscire le anime dal purgatorio, per parlare ai vivi? La risposta è no. L’eventuale apparizione di un defunto è condotta da un angelo producendo la materializzazione di un corpo dalle realtà materiche dell’aria; lo scopo dell’apparizione è quella di chiedere suffragi e far intendere il dolore che si prova nel purgatorio, non certo per svelare misteri dell’aldilà che non possiamo sapere, oltre quello che sappiamo. E qui bisogna dire che il demonio può trarre in inganno molti facendo credere di avere a che fare con i loro cari defunti.
Che l’anima sia la forma sostanziale del corpo è verità filosofica e verità biblica poiché l’uomo appare una unità di anima e corpo: anima immortale perché spirito, corpo mortale perché materia. E’ poi verità definita dalla Chiesa nel Concilio di Vienne (1311 - 1312) (Denzinger-Schönmetzer, 902); (CCC n° 365), che l’anima sia la forma sostanziale del corpo.
L’anima non muove il corpo come fosse un motore ad esso applicato, ma fa vivere il corpo, che vivo si muove.

Il fuoco del purgatorio.
Il purgatorio, in quanto luogo, esige che sia caratterizzato da qualcosa, perché altrimenti si vanifica in un vuoto del nulla.
La tradizione, poggiandosi su (1Cor 3,13-15), presenta che nel Purgatorio c’è il fuoco, sulla cui natura nessuno però potrebbe concludere qualcosa. Ora il fuoco, di qualunque natura possa essere, non può bruciare uno spirito, ma può tormentarlo causando la pena del senso, pena che va intesa. Il fuoco è onnipresente nel purgatorio e le anime vi sono immerse; in tal modo è impedito ogni diletto alla visione mentale, poiché il fuoco nel purgatorio è come un caos primordiale senza forme.
La tradizione teologica parla però della pena del senso non solo come fatto intellettuale, ma anche come un toccare del fuoco l’anima.
La tradizione dice che l’aspetto dell’essere toccate dal fuoco, non si può trascurare dal momento che la Scrittura nomina ben 23 volte il fuoco, presentandolo come agente sulle anime separate dell’inferno, dove pure sono i demoni per i quali è stato inizialmente preparato (Mt 25,41), così che, parimenti, si può dire per il purgatorio (1Cor 3,13-15).
Ecco, essendo l’anima soggetta a localizzazione - non circumscriptive come per un corpo, essendo spirito - non può eludere il contatto con il fuoco, contatto che però non è di sola localizzazione, ma di situazione di prigione. Il fuoco, caos senza forme, tiene incatenata l’anima perché agisca in lei la liberazione dall’attaccamento disordinato alle cose create. Si ha così una mistica ascensione in verticale, determinata dal carcere di fuoco e soprattutto dalle fiamme del desiderio e del rimorso, verso la Gerusalemme celeste, dove nulla di impuro può entrare (Ap 21,27).

Tutto nel purgatorio è funzionale alla purificazione e perciò potremmo dire che è l’infermeria di Dio.

Certo noi non possiamo avere nessunissima nozione sperimentale della realtà del purgatorio, e resta il mistero, ma tale impossibilità di indagine non deve farci sentire minorati, ma piuttosto considerare che è meglio abbracciare la croce, e compiere la nostra purificazione di qua, molto, ma molto, meno carica di sofferenza di quella nell’aldilà.

Le fiamme purificatrici.
Un giudizio senza che si veda il Giudice, che ha dato la vita per salvare gli uomini è impensabile. L’anima lo ha visto avendo in sé la grazia, l’amore, ma amore impedito da tracce oscure presenti in lei, che le impediscono di ricevere con pienezza l’onda dell’amore divino. La sentenza del Giudice è rigorosa, ma pur piena di misericordiosa, perché immette l’anima in un cammino di purificazione per giungere luminosa, senza ombre, alla visione di lui, e quindi della Trinità.
Le fiamme che operano più propriamente la purificazione sono: il desiderio di vedere Dio e il rimorso di averlo offeso.
Le due fiamme (fiamme spirituali) sono accese con veemenza nell’anima al momento del giudizio particolare, quando lasciato il corpo, cioè subito, vede Cristo Giudice (Gv 5,22; At 10,42) nella sua realtà di uomo-Dio. Vede la realtà del corpo del Giudice mediante una visione mentale (species intellegibilis) infuse da Dio, rimanendo anche quelle acquisite in terra: quelle cattive sono oggetto di purificazione) e vede la sua realtà divina mediante la comunicazione, per una frazione di istante, del “lumen gloriae”, cosi che vede Dio come egli è (1Gv 3,2). In quella frazione, di frazione d’istante, l’anima vede l’Essenza divina e le tre Persone, e quindi il mistero dell’unione delle due nature, nell’unica Persona del Verbo.
L’anima è afferrata da desiderio e rimorso, che sono gli agenti della dolorosissima purificazione: le vere fiamme purificatrici.
Le restanti pesantezze della superbia, gli attaccamenti ai propri giudizi e alle proprie idee, gli affetti disordinati, l’attaccamento alla materialità, cedono, ma con resistenza che sempre più diminuisce. La purificazione ha diversità di tempi e intensità, a seconda dei casi, ma è sempre dolorosissima. L’anima è nel circuito amore-dolore. Tanto più l’amore diventa alto, tanto più cresce la libertà dalle scorie del male e con ciò cresce la gioia propria di chi ama.

Conoscenza delle anime nel purgatorio.
Le anime del purgatorio possono esercitare la potenza conoscitiva, come è affermato dalla Scrittura: Cf. Sap 4,19-20; 2Mac 15,14.
La comunicazione di quanto in terra le riguarda, nella misura decisa da Dio, avviene per mezzo di Dio, o per mezzo di angeli, o delle anime che sopraggiungono nel purgatorio. Le anime del purgatorio sanno, innanzitutto, che la Chiesa eleva a Dio suffragi per loro affinché la loro permanenza in purgatorio venga diminuita per mezzo di un’accelerazione della purificazione, e ogni anima conosce le preghiere innalzate a Dio per lei. Conoscono gli eventi relativi ai loro cari in terra. Essendo nella carità desiderano il bene per quelli con i quali non si sono comportati bene. Il purgatorio include il pentimento e perciò il desiderio di rimediare al male fatto. Chiedono poi a Dio di ricompensare tutti coloro che pregano per affrettare la loro liberazione.
Esse sono unite dalla comunione dei santi, essendo Chiesa nella sua situazione purgante.
L’azione dello Spirito Santo le unisce in Cristo a tutta la Chiesa e nella Chiesa.
Le anime del purgatorio si conoscono e comunicano tra di loro, e ciò è fuori dubbio come si ricava dalla parabola del ricco epulone e di Lazzaro (Lc 16,19s), dai cori dell’Apocalisse (7,10; 14,3), perché non c’è coro se non c’è intesa. Volere addentrarsi oltre questo è avventurarsi a dire parole e parole e alla fine non aver detto nulla.

(Post scriptum) Ogni anima pur avendo la medesima natura, non è uguale all’altra, perché rigorosamente individua. Ci può aiutare immediatamente, senza far ricorso alla filosofia, il fatto che due gemelli monozigoti, pur essendo tali, sono diversi: ad esempio, hanno le impronte digitali diverse.

I meriti non possono crescere.
Pregano, ma non possono aumentare i loro meriti. Esse infatti sono in una situazione diversissima da quella che avevano nel corpo, benché nel purgatorio ci sia ancora uno scorrere del tempo. La prima diversità è che sono orientate in maniera definitiva, irreversibile, al bene. Ma resta il libero arbitrio, poiché nell’amore non c’è mai la costrizione, ed esse con tutte le loro forze corrispondono al cammino di purificazione.
Specificando va detto che avendo visto Dio così come egli è, in quell’istante la fede si è di necessità annullata. Poi, quando quel felicissimo e dolorosissimo istante è finito, l’anima crede em>perché ha visto, quindi ha una fede diversissima da quella teologale, perché non è più virtù, non potendo avere negazioni. La Scrittura ci aiuta per mezzo del testo di Giacomo sui demoni che credono e tremano (Gc 2,19). E’ ovvio che non si tratta di fede teologale, che è una virtù, ma della situazione di chi ha visto, per un istante Dio, al momento della condanna, e non può negare, anche se più non vede. I demoni non possono negare l’esistenza di Dio, e la pena del danno è avere perso per sempre Dio.
La speranza, nell’istante della visione al momento del giudizio, è annullata. Dopo è diversissima da quella teologale, perché l’anima ha la certezza di essere salva, ma tuttavia spera nelle preghiere della Chiesa che affrettino la fine della sua purificazione.
La carità, nell’istante della visione, invece rimane (Cf. 1Cor 13,8), diventa veemente; rimane diventando desiderio accesissimo e rimorso acutissimo.
Alla fine del mondo anche il Purgatorio cesserà. Dello sheol rimarrà solo l’inferno.

Ci si può domandare se nel giudizio particolare nel Vecchio Testamento, giudizio che portava allo sheol, si vedeva, per un frazione di istante, Dio. La risposta è sì, anche se non si vedeva il Cristo Giudice, se non come la realtà futura dalla quale dipendeva ogni elargizione di grazia.
In Israele era virtù attendere il Messia, ed era perversione seguire re fattisi idoli.
Fuori da Israele, presso le genti, era virtù seguire la legge dell’amore, e lo Spirito Santo a questo conduceva, e anche ora conduce quelli che vivono in rettitudine, in attesa che giunga loro la conoscenza del Salvatore. Nel brano di Matteo (25,31s) si parla proprio di questi giusti presenti. Essi sono accolti da Cristo perché hanno amato, e amato nella concretezza gli altri, i poveri, i derelitti.