Giuseppe Cassino: "La liberalizzazione del trasporto ferroviario: facciamo il punto"

Mario Marino: "Le nuove infrastrutture a sostegno dello sviluppo dei trasporti"

Pietro Spirito: "Il trasporto ferroviario delle merci tra crisi, liberalizzazione e prospettive di rilancio"

 

Tema specifico affidato a padre Paolo Berti:

Etica e mercato

 

Lo sviluppo economico-sociale parte della vocazione dell'uomo

Trattando del tema etica e mercato credo che si debba precisare subito che lo sviluppo economico-sociale fa parte della vocazione dell'uomo, ma appunto contemporaneamente economico e sociale. Se i due termini si separassero ne verrebbe un'aberrazione dalle conseguenze profonde. E di fatto si sono avute queste aberrazioni: da una parte il capitalismo dove l'iniziativa privata trovava lo Stato assente nella difesa dei prestatori di lavoro, il laissé faire; dall'altra il comunismo dove lo Stato era onnipresente e l'iniziativa privata annullata.

 

La democrazia

La democrazia in occidente ha permesso il formarsi di un capitalismo idoneo ad entrare in sintonia con il mondo operaio attraverso la mediazione delle associazioni sindacali, questo a livello di confronto aziendale, ma a ciò si aggiunge il democratico dibattito tra i partiti che ha portato alla configurazione di uno Stato che interviene con provvedimenti legislativi a favore del mondo del lavoro operaio e impiegatizio (pensioni, tutela della sicurezza sul lavoro, sanità, ammortizzatori sociali, diritto di sciopero).

Nei regimi comunisti lo Stato, o meglio il partito comunista, è invece il sovraintendente di tutto (anche delle strutture dello Stato) con la conseguenza di una mancanza di iniziativa privata nella produzione della ricchezza. Oggi, tuttavia, i regimi comunisti, misurando i loro fallimenti in campo economico, si stanno aprendo sempre più all'iniziativa privata, soprattutto la Cina. Rimane tuttavia che l'assenza della democrazia impedisce l'affermarsi di un sindacalismo a difesa del mondo operaio, che è diventato così il nuovo proletariato, e in casa comunista.

 

I consumi

L'equilibrio occidentale, fondato sulla democrazia, è l'ambito nel quale si attua il mercato, il quale ha le sue leggi nella domanda e nell’offerta.

Domanda e offerta che producono il vincente o il perdente in base alla qualità e al prezzo dei prodotti. Chi offre il miglior prodotto al più basso prezzo è vincente. La linea più seguita attualmente fa coincidere il meglio con il nuovo, che quindi rende irrimediabilmente obsoleto il prodotto della concorrenza.

Il consumismo ha bisogno di consumatori, così oltre ai bisogni di prima necessità e a quelli prodotti dalla modernità, i consumi vengono indotti sulla base dello sfruttamento dell'effetto di comparazione: certe persone vengono influenzate dal consumo dei propri conoscenti, o da colleghi di lavoro, o comunque da persone socialmente affermate, nella speranza di poter condividere questo loro stato di affermazione imitandoli nelle abitudini di consumo. In altre parole, certo più pesanti, è lo sfruttamento del vizio dell'invidia.

E' quanto con sgomento annotava il Qoelet circa 2300 anni fa: “Ho osservato anche che ogni fatica e ogni successo ottenuto non sono che invidia dell'uno verso l'altro”. Quando questo male dell'invidia divamperà meno nel mondo ci saranno certamente dei risvolti economici positivi poiché si sceglierà il prodotto più valido, più duraturo anche se meno sfavillante per complessità tecnologia, più nuovo anche, e calerà il bisogno di prodotti per affermare la propria superiorità e suscitare invidia.

Il lavorare sull'invidia crea mercato, ma dissolve la compagine umana ledendo la solidarietà, l'accettazione dell'altro, e fomentando l'emarginazione dell'altro, l'edonismo, l'insofferenza, cioè corrodendo la ricchezza uomo, che è alla base degli equilibri sociali.

 

Non sempre vince il migliore

Nel libero mercato dovrebbe sempre vincere il migliore, ma non è così e spesso invece vince il più forte. Mi spiego, il migliore di per sé è anche il più forte nel mercato, proprio perché è il migliore, ma questo si ha quando le opportunità di partenza non sono sbilanciate in modo tale che vi siano delle posizioni di dominanza. Di fatto, però, le cose non stanno così, il più forte è quello che ha condizioni di partenza di netto vantaggio. Da qui il rimedio posto dalle leggi antitrust. Ma è ben difficile vigilare su tutti i favoreggiamenti, gli accordi occulti, lo spionaggio.

 

La liberalizzazione del mercato mondiale

Oggi tutto risulta sbilanciato dall'enorme fenomeno della globalizzazione, della libertà di mercato nel mondo sancita 15 aprile 1994 dall'accordo a Marrakech, in Marocco, (World Trade Organization).

Tutto è avvenuto con una velocità impressionante, che ha spiazzato gli Stati, i Governi, le strutture sindacali nazionali, diventate in breve inappropriate a tutelare il mondo del lavoro a livello globale. Le conseguenze sono enormi. Sappiamo che l'India è diventata in breve un consumatore di prodotti dell'occidente, ma è anche diventata un produttore che ha al suo attivo la tecnologia occidentale, e nello stesso tempo una forza lavoro a bassissimo costo, con la conseguenza di un'esportazione a bassi costi.

L'India avrebbe pronta un'auto che costa 1700 euro, ma non può offrirla nel mercato occidentale perché l'industria costruttrice, la Tata Motors, sarebbe penalizzata e perciò verrà lanciata nel mercato europeo tra un due anni a 5.000 euro per rispondere alle nostre norme di sicurezza e di inquinamento (la Nana ha un motore piccolo 625 cc. Con 30 CV, ma è inquinante).

Ma il basso costo del lavoro dei paesi che si stanno affacciando in un'economia di mercato globale, è da tempo sfruttato dalle imprese che diventate internazionali, attraverso accorpamenti, fusioni, sanno esprimere grandi abilità strategiche nello sfruttare le leggi locali favorevoli.

L'agilità di delocalizzazione delle imprese è facilitata al massimo dalle tecnologie: in un dischetto c'è tutto il programma di una catena di montaggio.

Il processo che si è innestato non è risolvibile in breve, anche perché l'operaio orientale al presente vede in genere migliorate le sue condizioni rispetto al passato e non ha ancora acquistato una diffusa coscienza del proprio valore contrattuale.

Il caso Cina, come il caso Russia, si colora ancor più di difficoltà  per l'assenza di democrazia. In Cina esiste l'iniziativa imprenditoriale privata - sotto il controllo centrale dello Stato che detiene la proprietà - e questa attinge a masse operaie che fanno capo al sindacato di Stato  e che sono quindi impossibilitate ad organizzarsi autonomamente. In Cina si hanno continue ribellioni (nel 2007 si sono contate 80.000 ribellioni di piazza), tutte sedate con la violenza. Il volto attuale della Cina è precisamente quello di un comunismo capitalista, che ha adottato l'idea di un primato economico nel mondo. Il suo potere è enorme, si pensi che circa il 40% del debito pubblico americano è sanato da capitale cinese.

Il caso Russia, è diverso da quello della Cina, poiché presenta solo degli inizi di imprenditoria privata (introduzione del diritto di proprietà industriale). Questa possibilità di imprenditoria privata  ha richiamato investimenti industriali dall'America e dall'Europa, anche in ragione degli stipendi bassi degli operai. La Russia si trova attualmente bisognosa di grandi investimenti esteri per rimodernare le sue infrastrutture.

La sua ricchezza è quella energetica (petrolio e gas), ma in un regime di monopolio di Stato si ha una carenza di istallazione di nuove tecnologie necessarie per aumentare il potere estrattivo. Ancora mira a sviluppare il suo potere bellico, risultando una delle due massime superpotenze militari del mondo. La Russia complessivamente risulta in svantaggio nello sviluppo economico rispetto alla Cina e  all’India.

Il mondo arabo trova la sua risorsa maggiore nel petrolio, ma sta pure sviluppando l'industria e ha enormi capitali investiti in Occidente, cioè grosse fette azionarie in industrie con interconnessioni nelle borse mondiali e forte espansione mondiale nel settore dei media.

L'economia è quella che regola la globalizzazione e addirittura fa dimenticare anche i disaccordi. Tra Egitto e Israele sono stati stipulati accordi commerciali.

E se vogliamo una notizia proprio da sorpresa, lo storico grattacielo di New York, il Chrysler Building (319 m.), è di proprietà araba dal luglio 2008 per il 90% (Abu Dhabi Investiment Council, Emirati Arabi, l'ha acquistato per 800 milioni di dollari); per il 10% è della immobiliare Tishman Speyer Properties, che ne controlla la proprietà e la gestione.

La tentazione di fronte ad una globalizzazione fatta sulla spinta dell'economia è quella di rifugiarsi nelle idee di Adam Smith (1723-1790) sul liberismo, e di fatto lo si sta facendo.

 

Due false profezie

Adam Smith affermava che le leggi del mercato (domanda-offerta) sono intrinsecamente vere e che se seguite producono ricchezza e distribuzione della stessa.

Amico di Jean Rousseau, il filosofo del mito del bon sauvage, Adam vedeva nell'etica morale in campo economico un moralismo, ma non aveva ragione, poiché le leggi del mercato non possono essere la guida dell'uomo; esse hanno certamente la loro logica, ma non possono governare l'uomo, che deve essere invece l'attore e il fine del processo economico.

La profezia di Adam Smith che le leggi del mercato avrebbero portato di per sé il bene sulla terra era e rimane falsa.

Falsa pure la profezia opposta, che cioè l'economia di stato comunista avrebbe portato il bene per tutti.

 

Il fatto religioso

Il libero mercato deve avere una visione corretta dell'uomo, e perciò un quadro etico vero, corrispondente all'essere umano.

Una considerazione corretta dell'uomo non prescinde mai dal fatto religioso, che ha sempre una valenza pubblica, e anche quando lo si volesse  relegato a puro sentimento religioso privato avrebbe pur sempre la capacità di dar il via ad un consociativismo religioso.

Il fatto religioso ha  importanza nell'economia. L'ateismo stesso è una visione religiosa, anche se in negativo, ed esprime una visione dell'uomo e sostiene un programma da attuare, una sua profezia.

E' interessante per cogliere la connessione tra religione ed economia (libero mercato) il lavoro del sociologo Max Weber (1905) “L'etica protestante e il capitalismo”. Max Weber vede nella dottrina protestante sulla predestinazione, che cioè Dio decide di suo arbitrio di mandare uno all'inferno e un altro in paradiso indipendentemente da quello che un uomo faccia (Adam Smith, che poi passò alle idee dell'illuminismo, era di famiglia presbiteriana, e i Presbiteriani accolgono le tesi di Calvino, che sono crude circa il predestinazionismo), una causa importantissima dell'affermarsi del capitalismo.

L'assunto predestinazionista protestante introduce in Dio un'ingiustizia, un arbitrio inaccettabile, e crea il problema di sapere se si è predestinati, e ciò deve approdare ad una certezza assoluta. Ora il successo economico viene inteso come segno della benedizione di Dio e dunque di predestinazione. L'uomo deve lavorare non si può chiudere nell'ozio, e dunque il capitalista non può cessare di fare investimenti, di aumentare la sua capacità produttiva, come il lavoratore di lavorare. Chi non ha successo economico ha un segno in meno di predestinazione, gli resta l'indefesso lavoro. Accanto al successo economico, come segno di predestinazione, ci sono le opere buone di beneficenza, di soccorso alla massa povera. Così il capitalista farà opere di filantropia, cosa che non coincide con la promozione sociale del povero. Non a caso Lutero scelse, dopo un prima esortazione ai contadini di sottomettersi ai principi, di essere contro di loro, che stavano rigettando l'introduzione di nuovi pesi tributari (M. Lutero, 1523: “Contro le bande brigatesche e micidiali masnade dei contadini”: Essi devono essere considerati “al bando di Dio e degli uomini”. Chi li elimina “agisce chiaramente in modo giusto”. I contadini massacrati furono circa 100.000). Max Weber dimostra, dati alla mano, che il capitalismo si è proprio sviluppato in terra protestante, mentre nel mondo cattolico persisteva l'agricoltura e l'avvento industriale era limitato.

La concezione di un Dio ingiusto, di un Cristo morto solo per alcuni, non dava più la differenza con le altre religioni.

La famosa frase “La religione è l'oppio dei popoli” di Karl Marx (1818 - 1883) è l'emblema del rigetto della religione in nome della terrenità. Credo che sia interessante notare che il padre di Marx era il rabbino di Treviri (Germania), poi convertitosi nel 1817 alla chiesa Luterana, portando nella sua scelta anche i figli. Tutto ciò per l'opportunismo di  sottrarsi alla pressione antiebraica dello stato Prussiano di Federico Guglielmo III. E credo sia interessare sapere che il padre di Marx guardasse con grande simpatia all'illuminismo francese avendo a cuore personaggi come Voltaire e Rousseau, proprio personaggi frequentati da Adam Smith.

Se il capitalismo aveva carta libera in terra protestante, in terra cattolica non ebbe subito un argine, poiché tanta predicazione del tempo presentava alle masse lavoratrici, certo, un Cristo che muore per tutti, ma che chiedeva la rassegnazione di fronte all'ingiustizia, trascurando di presentare con chiarezza come la giustizia è un diritto elementare che va difeso, e che la carità portata da Cristo per affratellare gli uomini non offusca il diritto di reagire nell'ordine, con mezzi pacifici, con la forza associativa, all'ingiustizia. Sarà l'enciclica “Rerum novarum” (1991) a porre in chiarezza la dottrina della Chiesa circa la proprietà privata, il diritto alla giusta retribuzione, il diritto di associazione dei lavoratori per il confronto contrattuale e quindi i sindacati, liberi però dall'ideologia atea socialista e attenti al magistero della Chiesa.

 

Le encicliche sociali della Chiesa: un cammino di presenza costante

La “Rerum novarum” rappresenta il fondamento della dottrina sociale della Chiesa, che si è arricchita di vari documenti: la “Quadragesimo anno” di Pio XI (1931) dove vengono riaffermati i punti della “Rerum novarum” di Leone XIII guardando alla situazione del comunismo sovietico e alla crisi finanziaria del 1929; la “Pacem in terris” di Giovanni XXIII (1963) dove viene presentata l'unità della famiglia umana, il bene comune da perseguire, la necessità di un'autorità politica mondiale; la “Populorum progressio” di Paolo VI (1967) dove viene affermato che la pace passa attraverso la cooperazione tra i popoli e la promozione dei popoli sottosviluppati; la “Octagesima adveniens” di Paolo VI /1971) che tocca i temi delle comunicazioni sociali, del ruolo della donna, dell'ecologia, delle discriminazioni sociali; la “Laborem exercens” di Giovanni Paolo II, dove il lavoro viene visto come vocazione dell'uomo ad essere concreatore in amoroso ascolto e dipendenza da Dio, così il lavoro viene sottratto all'essere semplicemente “fonte di reddito”; la “Sollecitudo rei socialis” di Giovanni Paolo II (1987), che riprende a 20 anni di distanza la “Populorum progressio”; la “Centesimus anno” di Giovanni Paolo II (1991) che commemora il centenario della rerum Novarum rilanciandone la dottrina nei nuovi contesti, tra i quali la caduta del muro di Berlino (1989) e la riunificazione della Germania (1990), la “Caritas in veritate” di Benedetto XVI (2009), dove si afferma che la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa, e che lo sviluppo ha bisogno di verità senza la quale “l'agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società”.

 

Breve sintesi dei punti della dottrina sociale (Cf. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, ed. Vaticana, 2005)

La dottrina sociale della Chiesa presenta così dei punti ben precisi: il diritto di proprietà, accessibile a tutti, e quindi il no al monopolio assoluto di proprietà del territorio nazionale da parte di uno Stato (Russia e Cina); la destinazione universale dei beni della terra, che impedisce che il diritto di proprietà sia un fatto assoluto ed intoccabile, come nel sistema liberista; il bene del capitale che ha il compito di permette la formazione delle strutture per la produzione della ricchezza e di creare posti di lavoro; il bene comune, che è garanzia di una distribuzione giusta delle ricchezze prodotte; l'azione regolatrice dello Stato che tutela i lavoratori con gli ammortizzatori sociali di fronte ai ridimensionamenti aziendali, ai cambi di strategie e di fronte alle sconfitte dei mercati; le strutture sindacali per dare forza contrattuale ai lavoratori; la presenza dei corpi intermedi, che agiscono indipendentemente dai meccanismi di mercato e che occupano aree di intervento sociale in modo complementare allo Stato. I corpi intermedi di volontariato si possono costituire ed essere socialmente utili impegnando il tempo dei lavoratori pensionati. Esempio ne sono le società onlus che coniugano armonicamente efficienza produttiva e solidarietà, e che meritano perciò il 5 per mille di detrazione dell'imponibile fiscale di un cittadino interessato a questo.

 

La competizione di mercato

La competizione di mercato ha bisogno di creatività e di cooperazione industriale ai fini di un prodotto di qualità e di basso costo. Oggi tuttavia questo ideale conosce delle impressionanti perturbative date da una globalizzazione che ha sorpreso le autorità locali degli Stati, trovatisi in condizioni di debolezza di fronte all'azione delle multinazionali, che producono ricchezza, ma purtroppo per pochi, creando così i presupposti per disordini sociali e dure repressioni.

Ma l'uomo autentico non fugge da queste cose ma come un buon timoniere che regola la nave in mezzo ai flutti e ai venti, rimane al proprio posto in completa onestà.

Nella competizione imprenditoriale occorre avere il senso della responsabilità, che si configura non solo come virtù individuale, ma come virtù sociale.

Con la responsabilità sono coinvolte molte virtù: la diligenza, la laboriosità, la prudenza nell'assumere i rischi, l'essere affidabili e fedeli nei rapporti interpersonali, l'affezione all'azienda.

L'affezione all'azienda va difesa, non va minata innestandovi la lotta di classe. L'affezione all'impresa fa parte dell'affezione al proprio lavoro. Ovviamente, tale affezione va promossa con un trattamento dignitoso del personale. I quadri dirigenti devono essere operatori di solidarietà.

Chi possiede alte qualità di dirigenza e di progettualità ha tuttavia il diritto di passare ad altra azienda per cercare condizioni migliori di lavoro, di opportunità nella ricerca, da qui lo stimolo a trattenere “i cervelli”. Ma voglio dire ci sono dei “cervelli” che preferiscono restare per sollevare un'azienda, sentendo questa vocazione.

Nel libero mercato bisogna saper perdere e saper vincere. Ad una sconfitta non deve corrispondere il disfattismo, ma una rinnovata compattezza perché si può vincere ancora. Se si vince non si deve stravincere cercando l'eliminazione dell'avversario, ed è qui che lo Stato deve saper sostenere, se opportuno, un'azienda altrimenti si formano blocchi di potere.

Gli articoli 87 e 89 della Costituzione Europea vietano gli aiuti di Stato, ma prevedono pure (paragrafi 2 e 3) degli interventi, che non turbando la libera concorrenza con la creazione di situazioni di dominanza, possono aiutare un'azienda, o un settore, in difficoltà a ritornare competitiva, rigorosamente con il propri mezzi. Tali aiuti sono aiuti temporanei e proporzionati,  controllati da una Commissione. La Costituzione Europea prevede pure aiuti di Stato per le regioni meno sviluppate. Prevede inoltre stanziamenti europei per programmi di interesse comunitario. Il piano Jaques Delors ha stanziato 500 miliardi di euro da spendersi nelle infrastrutture europee, in particolare il 40% per le ferrovie. La TAV italiana ha quindi al suo attivo parte di questo stanziamento europeo.

 

L'uomo: una persona

Come si vede, la democrazia occidentale è riuscita ad elaborare un sistema di giustizia economica, che al presente è tuttavia minato da una globalizzazione che procede solo su base economica creando disarticolazioni sociali, come si può notare dal fatto che la ricchezza mondiale è cresciuta, ma nello stesso tempo sono cresciute le aree di povertà. Ci si aspetterebbe un abbassamento demografico in queste aree, ma non è così esse nei prossimi dieci o venti anni produrranno un innalzamento demografico di 2 miliardi di persone. E perché? Perché le nascite vengono considerate una sicurezza in un contesto di mancanza di presenza dello Stato. Ne nasce un aumento enorme di persone che premeranno per un accesso al benessere, ma purtroppo anche riserve immense di manodopera da sfruttare.

Cosa fare? Intanto dobbiamo rimanere uomini, leggere gli uomini come “persone” e non tanto come “individui”. Individuo e persona ovviamente non sono due cose separate in un uomo, ma c'è una distinzione di significato. “Individuo” dice l'essere uno, mentre “persona” dice la dignità di quell'uno, la sua vocazioni intrinseca alla relazione, all'apporto partecipativo nelle attività. Di solito si dice: “L'individuo del quale bisogna rispettarne le caratteristiche di essere libero, razionale, capace di relazione”, ora tutte queste specificazioni sono contenute in una sola parola: “persona”. “Persona” dice anche “individuo”, ma “individuo” non dice immediatamente “persona”.

Rimaniamo dunque persone, che agiscono come tali avendo a cuore il bene.

Inutile sarebbe rifugiarsi in una romantica capanna aspettando che il processo nel quale viviamo si componga in equilibrio etico. Dobbiamo fare la nostra parte, sapendo che il futuro comincia anche con il mio presente. Neppure dobbiamo sognare un'epoca millenaristica, ma rimanere nella realtà consapevoli che il bene dovrà essere sempre perseguito e prodotto.

Voi sarete interessati a sapere che cosa c'entra un frate in economia. C'entra, eccome! Intanto con la preghiera, l'incoraggiamento a perseguire il rispetto dell'uomo; ma c'entra anche come costante testimone dei beni dello spirito, e dell’esistenza di una meta eterna e felice che non può mai essere dimenticata e preferita all'orizzonte terreno.

 

Traccia bibliografica

Emmanuel Mounier: “Rivoluzione personalista e comunitaria” (1935), ed. Comunità, Milano, 1949.

Jacque Maritain: “La persona e il bene comune”(1946), ed. Morcelliana, Brescia, 1993.

Emile James: “Storia del pensiero economico”(1959), ed. Garzanti, Milano, 1963.

Stefano Zamagni: “Non profit come economia civile”, ed. Il Mulino, 1998, Bologna.

Peter D. Groenewegen, Giovanni Vaggi: “Il pensiero economico dal mercantilismo al monetarismo”, ed. Carrocci, Roma, 2003.

Simona Di Ciaccio: “Il fattore relazioni interpersonali, fondamento e risorsa per lo sviluppo economico”, ed. Città Nuova, Roma, 2004.

Pontificio Consiglio della giustizia e della pace: “Compendio della dottrina sociale cattolica”, ed. Vaticana, Roma, 2005.

Giulio Tremonti: “La paura e la speranza”, Oscar Mondadori, Milano, 2008.

Benedetto XVI: “Enciclica: Caritas in Veritate”, ed. Vaticana, Roma, 2009.