Giudizio universale di Michelangelo - Cappella Sistina, Roma (audio)
 
 
 
                 
Michelangelo Buonarroti (Caprese Michelangelo, 6 marzo 1475 - Roma, 18 febbraio 1564).

Il Giudizio Universale di Michelangelo e' un affresco eseguito nella Cappella Sistina ( lunga 40,23 m. e larga 13,40 m. e alta al centro della volta a botte ribassata 20,70 m.).
La superficie dell’affresco risulta di 13,70 m. di altezza e 12,2 m. di larghezza. Nel 1572-1585 l'affresco pero' venne accorciato di 70 cm. per lavori di innalzamento della Cappella Sistina.

Michelangelo ricevette la commissione di dipingere il Giudizio Universale da Clemente VII nel 1533. Il Papa era diretto in Francia e incontro' Michelangelo a Firenze. Michelangelo accetto' la commissione e nel settembre del 1534 si reco' a Roma per eseguire l’opera.
Pochi giorni dopo il suo arrivo a Roma Clemente VII mori' e con cio' Michelangelo ritenne che la commissione fosse decaduta, ma il nuovo Papa, Paolo III, gli confermo' l'incarico.
Come preliminare all’opera venne sistemata la parete, tamponando due finestre e facendo una scarpata di mattoni inclinata all’interno, che alla sommita' segnava uno sbalzo di 38 cm circa. Questo per ragioni di miglior visione dell’affresco e per evitare il deposito di polvere. Fece poi eseguire un arriccio, cioe' la base di tutto l’intonaco successivo per l'affresco. I documenti d'archivio pongono queste operazioni preparatorie, tra il gennaio e il marzo del 1536. Michelangelo innanzi tutto esamino' le precedenti soluzioni del complesso tema del Giudizio Univesale e poi decise seguendo la sua ispirazione per una composizione molto dinamica. Esistono alcuni suoi studi: uno al Museo Bonnat di Bayonne (Francia), uno a Casa Buonarrotti (Firenze) e uno al Britsh Museum (Londra). Sui ponteggi Michelangelo vi sali' nell'estate del 1536.

L'opera venne terminata nel 1541 con un totale di circa quattrocentocinquanta giornate di lavoro.
Michelangelo lavoro' all'intera opera da solo, con i semplici aiuti per i lavori manuali di preparazione dei colori e stesura dell'arriccio e dello strato d’intonaco, nonche' un fedele assistente, Francesco Amadori detto l'Urbino, che probabilmente si occupo' di eseguire lo sfondo. L’affresco e' stato recentemente restaurato con tre anni di lavoro 1991-1994. Ogni anno visitano la Cappella Sistina circa 5 milioni di visitatori da tutto il mondo.
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Tutto il centro dell’affresco e' nel Cristo glorioso che irrompe dall’eternita' per cancellare con il giudizio universale quanto rimane del tempo cosmico. I beati risorti lo guardano con soggezione, stupore, lo vedono con i loro occhi e ne rimangono stupefatti.
Molte figure sono nude come lo furono nelle morti di strazio, e presentano gli strumenti dei loro supplizi. Non sono nascosti i tratti delle eta' e le imperfezioni dei corpi. Tutto cio' verra' vinto con l’azione della gloria di Dio.
Un cerchio irregolare, dinamicamente fluttuante, di beati poggianti su nubi risulta circoscritto dall’azzurro del cielo. E’ un cerchio costituito attorno al Cristo che squarcia l’azzurro del cielo con un lampo di luce abbagliante, che viene da una sorgente luminosa del cosmo. E’ un’istantanea corte d’onore al Cristo glorioso, che si chiude con le figure di san Lorenzo e di san Sebastiano, ma che a destra e a sinistra si estende nella moltitudine dei di beati risorti, che guardano al Cristo glorioso e poggiano su nubi concatenate formanti una diagonale, a segnare come un confine di approdo della salita al cielo dei beati risorti.
Il braccio destro del Cristo e' in posizione di imperio verso sinistra. E’ il basta dichiarato al tempo. E’ il basta contro il male, ed e' il basta all’attesa di gloria dei beati risorti. Il braccio sinistro e' invece abbassato con l’avambraccio verso destra e la mano in posizione di accoglienza. Questo lo schema di Michelangelo: prima dell’apparizione del Cristo c’e' la risurrezione, poi, dopo il giudizio, la glorificazione dei corpi. Altri possono dire, con piu' attenzione per i testi biblici, che la risurrezione coincide con la glorificazione, e che percio' la parola della glorificazione e' pronunciata nell’intimo dei beati, poi seguira' l’invito ad entrare nella Gerusalemme celeste, nel regno eterno della gloria: “Venite benedetti…”. Michelangelo per i dannati ha dovuto darne una presentazione di eta' matura, non anziani; esso sono risorti come dovranno sempre essere. Per i beati invece che portano i segni dell’eta', ci sara' la giovinezza della glorificazione.
La Vergine e' gia' nella sfera della gloria, e ha le mani conserte sul petto perche' la sua azione di avvocata e' terminata, ora c’e' la sentenza del Giudice. Michelangelo rivela che credeva nell’assunzione di Maria al cielo. Il Cristo e' presentato senza barba, secondo la concezione della pulcritudo della giovinezza, presente nella scultura greco-romana. Giotto nella cappella Scrovegni non aveva esitato, giustamente e seguendo tutta la compatta tradizione, a porre una leggera barba al Cristo glorioso, magnificamente glorioso. Michelangelo, di suo genio, vuole presentare, con quanto puo' la sua arte, una giovinezza eterna, vincente. Vuole celebrare la grandezza della natura umana assunta dal Figlio di Dio. Michelangelo imprime nella potenza del corpo del Cristo quanto aveva visto nel torso del Belvedere (dal cortile del Belvedere in Vaticano) da lui a lungo studiato, ma con chiarezza presenta le ferite della crocifissione nelle mani e nei piedi e lo squarcio del costato. Non ha una raggera di luce il Cristo, non e' circondato da una mandorla di luce, solo il lampo del suo apparire gli fa da sfondo. E’ vestito con un drappo di stoffa color amaranto di cui un estremo parte in basso salendo sulla spalla sinistra, cadendo poi all’indietro, per poi cingergli i fianchi, riunendosi, infine, con l’estremo iniziale. E’un amaranto permeato dallo splendore della sua persona.



A destra e a sinistra sopra nuvole, oltre l’istantaneo cerchio di beati, c’e' una moltitudine di beati Stanno salendo su nubi anche altri beati. E’ un moto ascensionale dei risorti e alcuni di loro vengono afferrati dai demoni, ed e' un movimento discendente, contrario a quello ascendente. Tutti vorrebbero il cielo, ma hanno scelto le tenebre e le tenebre hanno. Il Cristo Giudice li respinge, con il braccio destra levato. “Via da me…”. E’ l’ora finale che viene segnalata dalle trombe angeliche, che glorificano il Cristo Giudice, giudicante sulla base di un amore dato senza limiti agli uomini.
Nelle due lunette in alto gli angeli esaltano gli strumenti del supplizio di Cristo: la croce, la corona di spine e la colonna della flagellazione.
Sulla sinistra dell’osservatore (alla destra di Cristo) c’e' la terra che rilascia i morti. Molti risorti dalla terra hanno bisogno di aiuto, sono quelli che devono ancora compiere la loro purificazione, ma non sono piu' nel purgatorio ora vuoto; ma poi pieni di vigore o ancora aiutati si innalzano verso il cielo, due sono aiutati ad innalzarsi con una corona del rosario, segno di un aiuto fatto di preghiera. Il purgatorio e' presentato in basso come una caverna con fiamme invasa da demoni. E’ un’opinione espressa, in forma non marcata, ma dubitativa, dalla Summa Teologica, (Vol 33. Appendice-Supplemento, terza parte, art. 5, ed. Salani, Firenze, 1972), che i demoni possano andare a vedere - non procurare - i tormenti delle anime del purgatorio.
Altri risorti, che si sono innalzati verso il cielo, sono rifiutati da Cristo e vengono presi dai demoni. Il regno dell’odio e' confinato da un fiume infernale, il dantesco Stige, gia' presente in Omero e in Esiodo quale fiume degli inferi insozzato dalla ninfa Stige. I dannati sono condotti su di una barca da un demonio che e' il Caronte della Divina Commedia: “Caron dimonio con gli occhi di bragia loro accennando tutte le raccoglie; batte col remo qualunque s’adagia”. Per Dante lo Stigie caratterizza il quinto girone dell’inferno, in Michelangelo e' il profondo confine del regno dell’Odio. Michelangelo presenta “Caron dimonio” mentre sospinge con bastonate i dannati a scendere dall’infernale barca per l’approdo senza ritorno al regno dell’odio.

Nella riva dell’eterna dannazione i demoni afferrano i dannati riversando su di essi l’odio che li struttura.

Michelangelo rielabora il Minosse dantesco, posto nel secondo girone infernale (Canto 5, v. 1-24). Il Minosse michelangiolesco ha si' figura umana, ma con orecchie di asino, ed e' avvolto dalle spire di un serpente, il numero delle cui spire indicherebbe, in parallelo alle spire della coda del Minosse dantesco, il luogo dei vari dannati: “Cingesi con la coda tante volte quantunque gradi vuol che giu' sia messa”. Il serpente pero' non e' la coda del Minosse michelangiolesco, poiche' emerge dal lato del ginocchio destro dell’illusorio re con colore mutato in verde scuro e lo colpisce ai genitali. Il serpente-demonio presenta un servizio illusorio al demonio-Minosse, poiche' in realta' lo aggredisce; il tradimento e' costitutivo dell’odio. La fantasia di Michelangelo non ha freno di inventiva, ma c’e' un punto di verita' solida che presenta, ed e' che e' terminato il tempo in cui i demoni erano alleati per colpire gli uomini, ora l’odio dilaga tra di loro, non c’e' ordine, ma solo il caos dell’odio, gia' presente alla porta dell’antro infernale.

Il Minosse michelangiolesco ha aspetto di saggezza dato dai capelli bianchi e dal volto serio, ma e' solo una parodia del Giudice supremo che introduce i beati nel cielo. Lui senza alcun potere e' alla porta dell’abisso e vorrebbe giudicare del luogo della dannazione, ma quel ruolo gli e' contestato dal serpente-demonio in modo vile. Minosse ha figura umana di saggio, ma con le orecchie da somaro, e cosi' trasuda il suo odio per la natura umana.

Il peccato che fece precipitare Satana nell’abisso infernale fu il disprezzo della natura umana, che Dio voleva elevare a se', chiedendo che in questo operassero anche gli angeli. Satana e gli angeli ribelli disprezzarono la natura umana e per tutta l’eternita' la disprezzeranno, mentre nel tempo danno agli uomini l’illusione di celebrane la grandezza presentando loro i peccati, che invece la insozzano. Ma saranno il loro disprezzo per la natura umana sara' schiacciato dall’immensa gloria dell’umanita' di Cristo e dei beati.

Per i dannati non c'e' gloria divina, ma vilipendio e orrore. Per essi tutto e' finito nelle tenebre che hanno scelto, nella schiavitu' al male che hanno cercato, credendo di potersi servire del male per essere grandi, mentre il male li stritolava. Nella figura del demonio-Minosse il Vasari ha voluto vedervi il cerimoniere del Papa, Biagio da Cesena, che Michelangelo detestava perche' lo aveva criticato. Ma volendo essere onesti si e' nel campo della narrativa fantasiosa che piaceva al Vasari, cosi' come volle che Leonardo usasse il volto del Priore del convento di Santa Maria delle Grazie per ritrarre Giuda, il che risulta falso, poiche' il bozzetto del volto di Giuda era gia' fatto prima che padre Vincenzo Bandello fosse il Priore del convento, e Leonardo non ebbe nessun contatto con Ludovico il Moro se non per mezzo di una lettera inviatagli dal suo segretario.

Il corpo del Cristo e' bellissimo, non lo e' ancora quello dei beati risorti, ma lo sara' dopo le parole: “Venite benedetti nel regno del Padre mio, preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”. Michelangelo si ferma qui, collocando la sua opera grandiosa nel momento in cui l’eternita' irrompe cancellando il tempo. Tra la fine della realta' presente e i cieli nuovi e terra nuova, c’e' il tempo del Giudizio, poi verranno i cieli e terra nuovi.
Sappiamo come ci fu polemica per le nudita' che vengono presentate nell’affresco, e che il Concilio di Trento, il 21 gennaio del 1564, decise, visto che Michelangelo aveva anche dipinto figure con vesti, di fare coprire con svolazzi di stoffa i punti critici. In seguito, l’opera venne ancora di piu' estesa, ma il restauro recente ha abolito queste ulteriori censure conservando solo quanto fatto dopo la disposizione del Tridentino.

Il fatto delle nudita' non puo' essere visto come una ribellione di Michelangelo all’autorita' ecclesiastica, quando si capisce come il grandioso affresco occupa lo spazio temporale tra il tempo e l’eternita' che irrompe abolendo il tempo, e vuole celebrare la prossima trasformazione gloriosa dei corpi che portano accanto gli strumenti del martirio che li straziarono, come sant’Andrea che tiene accanto la croce, san Sebastiano che ha in mano le frecce ed e' situato alla sinistra di santa Caterina, che ha accanto a se' la ruota dentata. come san Biagio di Sebaste che ha in mano i pettini di ferro che lo scarnificarono. Altri sono riconoscibili per segni specifici: san Pietro lo si identifica perche' ha in mano le chiavi e le presenta a Cristo, poiche' l’azione della Chiesa nel tempo e' terminata. San Giovanni Battista e' riconoscibile dal manto di pelo di cammello, accanto al Battista si trova Adamo. Sopra la figura di Andrea c’e' una donna vestita, forse identificabile con Rachele. San Giovanni evangelista e' alla sinistra di Cristo, mentre la Vergine e' alla destra. I tre formano l’iconografia bizantina della deesis (intercessione), ma ora non c’e' la supplica a Cristo, ma l’ascolto del giudizio. Individuabile il Cireneo, all’estrema destra dell’osservatore, che sorregge la croce. Sulla sinistra procedendo dalla figura di sant’Andrea si trovano san Giovanni Battista e Adamo. Identificare tutte le figure e' difficile, anzi impossibile.

Non si puo' criticare la disposizione del concilio di Trento. Michelangelo aveva voluto fare un capolavoro d’arte e lo ha fatto, e dobbiamo ammirare l’artista. Ma c’era anche l’esigenza di fornire una meditazione che cristianamente sorpassasse l’opera d’arte. Comunque si puo' rilevare quanta liberta' e fiducia venne lasciata a Michelangelo, e se dopo ci furono ritocchi sono stati il correttivo all’incondizionata stima per l’artista diventato presso i suoi contemporanei idolo e monarca, come lui stesso scrisse in un sonetto al termine ormai della sua vita (sonetto 285).

Di grande aiuto all’interpretazione dell’affresco sono le parole di Giovanni Paolo II, che posto di fronte alla Cappella Sistina, l’ha definita (8 aprile 1994) “Santuario della teologia del corpo umano”. Titolo centrato, poiche' il corpo umano uscito bellissimo dalle mani di Dio e' stato troppe e troppe volte profanato, colpito, martirizzato, asservito al peccato. La morte lo colpisce, ma ci sara' la risurrezione e la glorificazione. Le parole di Giovanni Paolo II interpretano il senso dell’opera di Michelangelo, e quindi non sono una moralizzazione verbale.

L’affresco di Michelangelo sospinge a guardare l’eternita' che irrompe con luce abbagliante nel Cristo glorioso e nella Vergine vestita di vesti di gloria. Michelangelo non poteva andare oltre a quello che ha fatto con il pennello, ma noi possiamo andare oltre dicendo che saremo bellissimi, proprio noi, sottratti da ogni sovente imperfezione di bellezza causata dei peccati compiuti nella notte della notte dei millenni. Proprio noi, saremo bellissimi e gloriosi, vestiti di stupende vesti intessute con fili di luce.

(Dal sonetto 285): “Giunto e' gia' ‘l corso della vita mia,/ con tempestoso mar, per fragil barca,/ al comun porto, ov’a render si varca/ conto e ragion d’ogni opra trista e pia./ Onde l’affettuosa fantasia che l’arte mi fece idol e monarca/ conosco or ben com’era d’error carca (…)/ Ne' pinger ne' scolpir fie piu' che quieti/ l’anima, volta a quell’amor divino/ c’aperse, a prender noi, ‘n croce le braccia”.