Giudizio universale di Giotto - Cappella Scrovegni, Padova (audio)
 
 
 
     

Giotto di Bondone (Colle Vespignano, oggi comune di Vicchio, nel Mugello (Firenze), 1267 circa - Firenze, 8 gennaio 1337). Giotto deriva dalla contrazione di Angiolotto o da Ambrogiotto, nomi diffusi all’epoca. Suo padre si chiamava Bondone di Angiolino.
Che Cimabue, Cenni di Pepo, (Firenze, 1240 circa - Pisa, 1302)) sia stato maestro di Giotto e' basato solo su deboli indizi di tipo stilistico, ma certo dovette essere avviato alla pittura nella sua bottega. Con Cimabue ebbe l’opportunita' di andare a Roma nel 1280 circa, dove era presente Arnolfo di Cambio. Certamente entro' in contatto con la scuola pittorica romana (Pietro Cavallini, Jacopo Torriti e Filippo Rusuti), fortemente determinata al superamento dell’esperienza stilistica bizantina, avendo a disposizione molti mosaici e dipinti tardo-antichi e dell’alto medioevo. Difficile valutare le dipendenze reciproche, ma certo la scuola romana aveva la stessa volonta' di dare risalto alla corporeita' della figura, alla valutazione dello spazio ottenuto con un’empirica prospettiva, allo studio delle rappresentazioni dei sentimenti, delle reazioni umane.
Giotto nel 1290 circa sposo' Ciuta, (Ricevuta), figlia di Lapo del Pela di Firenze. Dal matrimonio nacquero quattro figli e quattro figlie.
Giotto fece un secondo viaggio a Roma ed e' probabile che vi abbia lavorato tra il 1297 e il 1300, Giotto, a Firenze, si iscrisse alla potente corporazione “Arte della lana di Firenze”, dedita al commercio e alla finanza. Giotto, va detto, seppe condurre molto bene i suoi affari e divenne un uomo ricco, proprietario di terreni e autorevole a Firenze, che lo nomino' nel 1334 “magistrum et gubernatorem” affidandogli la soprintendenza delle opere del Comune quali la fabbrica di Santa Maria del Fiore e le mura della citta' con un appannaggio di 100 fiorini l’anno.
Fu in particolare capace di dare vita ad una bottega di pittura, famosa in tutta Italia, e capace di assolvere grandi commissioni di affreschi. Le tracce pittoriche di questi passaggi sono andate pressoche' perdute.
 
 
        

A Padova, Giotto ebbe la commissione di affrescare la Cappella votiva fatta costruire da Enrico Scrovegni e dedicata alla Madonna della Carita', titolo molto caro alla Confraternita dei “Frati Gaudenti” di cui Enrico degli Scrovegni faceva parte. La Confraternita aveva il programma di combattere l’usura, tanto praticata dal padre di Enrico, Rinaldo di Ugolino, che Dante non esito' a porre nell’inferno tra gli usurai (Inf. XVII, 64 e segg.). La Cappella era stata costruita accanto al palazzo fatto costruire da Enrico degli Scrovegni, nell’area dell’antica arena romana. La Cappella doveva essere l’oratorio di famiglia, pur accessibile anche ad altri, e il futuro mausoleo familiare.
Gli affreschi vennero eseguiti tra il 1303 e il 1305.
L'intero ciclo e' un capolavoro della storia della pittura ed e' il metro di valutazione per le opere di dubbia attribuzione giottesca, visto che l'autografia del maestro fiorentino e' certa in molte parti, come la Mandorla del Cristo nel Giudizio Universale, e il gruppo dell’offerta della Cappella, edificata nell’area dell’antica arena romana, dove Enrico Scrovegni aveva edificato per se' un ricco palazzo.

Giotto, ancora in vita, venne giudicato un altissimo maestro della pittura e un anticipatore dell’umanesimo del 1400.
E’ classico al proposito citare il cronista Giovanni Villani (Firenze, 1276 - 1348) che nella sua “Nuova Cronaca” scrisse: "Il piu' sovrano maestro stato in dipintura che si trovasse al suo tempo, e quegli che piu' trasse ogni figura e atti al naturale".
Come e' classico citare il pittore Cennino Cennini (Colle val d’Elsa, 1370 - Firenze 1440) che nel suo “Libro dell’Arte” scrisse: "Rimuto' l'arte di greco (ndr. bizantino) in latino e ridusse al moderno" poiche' introdusse il senso dello spazio, del volume e dell’espressione dei sentimenti, la bellezza del colore sui volumi.
Con lui si ha la geniale riconnessione, senza che sia estranea la scuola romana, con la pittura greco-romana. Una scelta innovativa che risultera' feconda per il Rinascimento, e che fu compresa dalla committenza ecclesiastica, perche' estremamente consona al mistero dell’Incarnazione, alla concretezza del vivere quotidiano del cristiano. Chi affido' a Giotto importanti opere di affreschi nelle chiese rimase appagato dai risultati, come lo e' oggi chi li guarda.
La pittura bizantina, ancora viva nelle apprezzatissime icone sacre, mirava alla presentazione dell’evento religioso, affinche' si traducesse immediatamente in elevazione di preghiera. La scelta di Giotto e della scuola romana, e poi del rinascimento, fu quella di narrare l’evento, di farlo vedere nel suo svolgersi storico, benche' fissato nel momento pittorico. Questo passaggio culturale dava il grande vantaggio di promuovere l’incarnazione esistenziale dell’evento, attraverso la riflessione attuativa, concreta, nel presente, nella forza dell’amore, che e' inscindibile dalla contemplazione, perche' la contemplazione e' azione d’amore nella verita'.


Gli angeli che presiedono alla volta celeste

                              


In alto due angeli stanno arrotolando la volta celeste (Is 34,4; Ap 6,14) e gia' si intravede la Gerusalemme celeste: si avranno cieli nuovi e terra nuova (Ap 21,1).


Le nove schiere angeliche

                              

Piu' sotto ci sono le schiere angeliche ordinate a semicerchio come corte celeste al Cristo nell’atto di compiere il Giudizio Universale. Seguendo la speculazione teologica (Dionigi l’Areopagita: De coelesti hierarchia. San Gregorio Magno: Homiiarum in evangelia) alla destra di Cristo a partire dall’iride della mandorla si hanno: Serafini, Troni (il loro vessillo ha disegnato un trono), Dominazioni, Virtu'. I Cherubini si intravvedono ai due lati della trifora. Alla sinistra di Cristo a partire dall’iride della mandorla: Angeli, Arcangeli, Principati, Podesta'. Ogni coro ha dei vessilliferi. Michele e Gabriele sono quelli vicini a Cristo-Giudice e hanno la spada ed il vessillo bianco-crociato. Le schiere angeliche, specie quelle alla sinistra di Cristo, impugnano compatte degli scudi. Le nove schiere angeliche hanno liberato il regno di Cristo sulla terra (Cf. Ap 11,15) da tutti gli scandali e hanno gettato i ribelli nell’Abisso (Cf. Mt 13,41; Ap 19,19-20), e ora celebrano il trionfo finale del loro Re, partecipando della sua gloria di Giudice.
Uno scudo rosso degli Arcangeli ha il disegno di un leone, segno regale di Cristo. Un altro scudo degli Arcangeli ha una figura umana alata, con cappuccio e una fiaccola accesa nella mano sinistra, per distruggere la terra e cavalca un destriero. E’ un emblema della battaglia finale contro le potenze della terra (Cf. Ap 19,14).

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La grande mandorla con il Cristo giudice


La grande mandorla formata da un iride con colori che cha dal blu del bordo interno passa gradualmente al bianco per poi procedere dal giallo chiaro fino all’arancione scuro del bordo esterno. E’ un arcobaleno, che schematicamente riproduce quello naturale, ma che fa riferimento agli arcobaleni gloriosi presenti nelle visioni del libro di Ezechiele e dell’Apocalisse (Ez 1,27; Ap 4,3).
Attorno alla mandorla del Cristo gli angeli con le trombe del giudizio universale (1Tess 4,16 1cor 15,52; Ap 8,6).

                                          
 
Il Cristo e' seduto su di un firmamento (Cf. Ez 2,22) che risulta disteso su quattro figure. Sulla destra di Cristo a partire dal bordo dell’iride c’e' un orso che addenta un pesce (un luccio) (Cf. Dn 7,5), segue una figura a foggia di centauro alato, con gli zoccoli da capro (Cf. Ap 9,7-9). Alla sinistra di Cristo a partire dal bordo dell’iride si ha un leone alato in piedi (Cf. 7,4), segue una creatura angelica.
L’orso che addenta un luccio (cristiani) rappresenta i poteri della terra che hanno perseguitato i cristiani. Il centauro alato rappresenta le forze demoniache scatenate sulla terra a fianco dei persecutori. Il leone alato rappresenta la Chiesa. L’angelo rappresenta le potenze angeliche affiancate alla Chiesa. In queste quattro figure simboliche e' racchiusa tutta la storia, che ora si srotola davanti a tutti nel giudizio universale.
Le forze avverse all’azione di Cristo nella storia sono dalla parte dei beati: esse non hanno fatto altro che accrescere la gloria dei credenti e di Cristo. Le forze di Cristo, Chiesa e angeli, stanno dalla parte dei dannati e dei demoni, quali castigo per loro che ne vedono la vittoria.

Cristo ha attorno a se' un ventaglio di luce, mentre il capo ha un nimbo con croce, ai cui vertici (tre) Giotto mise degli specchietti che facevano balenare i raggi del sole che entravano nella cappella dalla finestra della facciata. La sua tunica e' rossa quasi rosata con ricami in oro, segno della sua regalita'. E’ cinto di un ampio mantello a modo di grembiule di color amaranto (Cf. Lc 12,37; Mc 13,14): e’ il Re che servira' per tutta l’eternita' i santi con la beatitudine della partecipazione alla vita trinitaria. La tunica e' squarciata a destra secondo il colpo della lancia e si intravvede la ferita. Presenti i segni dei chiodi nelle mani e nei piedi. Il volto di Cristo e' bellissimo. Non e' adirato, e' il Re di infinita giustizia che premia e condanna con l’assoluto diritto datogli dal Padre (Cf Gv 5,27). Il volto del Re di immensa gloria e' rivolto verso i risorti alla sua destra e ad essi rivolge la mano invitandoli a se' (Cf. Mt 25,34). I dannati vengono rifiutati e condannati (Cf. Mt 25,41).

I dodici apostoli


Sotto i cori angelici e attorno al Cristo glorioso ci sono i dodici apostoli in trono a giudicare con Cristo (Lc 22,30). Alla destra di Cristo Pietro, Giacomo, Giovanni, Filippo, Simone e Tommaso. Alla sua sinistra: Matteo, Andrea, Bartolomeo, Giacomo minore, Giuda Taddeo e Mattia. Lo scranno piu' riccamente decorato e' quello di san Pietro. (Gli apostoli sono riconoscibili perche' dipinti in altri luoghi della cappella)

In basso, sotto la mandorla, c’e' una grande croce sostenuta da due angeli (Cf. Mt 24,30), e' il segno discriminante tra i buoni e i cattivi. Chi ha accolto Cristo e la sua misericordia si trova alla destra di Cristo. Chi lo ha rifiutato alla sua sinistra.

Alla destra di Cristo: i salvati



Alla base del dipinto si ha la risurrezione dei morti. I morti in Cristo formano una prima schiera che sale verso l’alto in attesa del giudizio di premio eterno. In questa schiera, che ha come accompagnatrice una fila di angeli, si possono vedere santo Stefano, due vergini con la palma del martirio, Cornelio il centurione di Cesarea (At 10,1s) oppure l’imperatore Costantino, san Domenico, san Francesco, san Benedetto, poi altri santi, vescovi, ecclesiastici. Forse si puo' identificare sant’Orsola, poi vengono nobili e popolani, uomini e donne, infine forse si puo' identificare il beato Pellegrino, un padovano morto nel 1266. La schiera non ha il nimbo sul capo poiche' non ha ancora ricevuto il giudizio di gloria eterna da Cristo. La lettura che vuole vedervi anche Giotto, e' un’immaginazione che va contro l’ortodossia. Giotto non poteva che avere una certezza morale di salvarsi sulla base della parola di Cristo, ma non assoluta tanto da immortalarsi nel dipinto. Infatti e' scritto (1 Cor 10,12): “Chi e' in piedi badi di non cadere” e (Mt 24,13): “Chi avra' perseverato fino alla fine sara' salvato” e ancora (Fil 2,12): “Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore”.

Sopra questa prima schiera che non ha ancora l’aureola c’e' la schiera di quelli che gia' hanno ricevuto il giudizio di premio eterno. La schiera e' accolta dalla Vergine Maria avvolta in un manto bianco e circondata da una mandorla dorata. La Madonna solleva Eva, che ha l’aureola, piegata di fronte alla maesta' di Maria.
L’ordine di questa schiera, ascendente verso la Gerusalemme celeste, parte dall’inizio del mondo. Prima i giusti del Vecchio Testamento, poi quelli del Nuovo. L’affresco in questa parte e' danneggiato, ma si puo' vedere Mose' dal particolare dei due raggi di luce. Si vede anche san Paolo.

Alla sinistra di Cristo: demoni e dannati

Giotto compone la raffigurazione dell’Inferno attingendo, come struttura generale, ai dati biblici del fuoco e del fiume di fuoco (Dn 7,10). Il fiume di fuoco dell’eterna condanna si divide in quattro fiumi di fiamme che dilagano includendo nei tre spazi intermedi i dannati precipitati in basso e afferrati dai demoni.
IIl fuoco che scaturisce alla sinistra della mandorla che contorna il Cristo glorioso e' il fuoco della giustizia divina. Per intendere la presenza dei dannati e dei demoni cosi' in alto, fuori dall’abisso bisogna partire dalla risurrezione. I dannati risorti cercano di sfuggire alla condanna presentando delle ragioni false (Mt 7,21): “In quel giorno molti mi diranno: Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome (…) Ma allora dichiarero' loro: Non vi ho mai conosciuti”. Anche i demoni sono in alto per accusare Cristo di ingiustizia, per togliere a lui la gloria del giudizio, ma tale gloria nel giudizio e' fondata sulla croce (Mt 24,30): “Allora comparira' nel cielo il segno del Figlio dell’uomo”. Tutto il cielo, con gli apostoli e anche i beati che salgono alla Gerusalemme celeste, proclama la giustizia di Cristo (Mt 12,42): “Nel giorno del giudizio, la regina di Saba si alzera' contro questa generazione e la condannera', perche' ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la Sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi e' uno piu' grande di Salomone”.
IIl Giudizio di Cristo sara' giudizio infinitamente glorioso. Tutto il cielo condannera' in una universale condanna dannati e demoni. Anche i demoni che hanno agito contro Cristo e la Chiesa saranno sottoposti a condanna (1Cor 6,3).

Il fuoco e' perfetta giustizia (Mt 25,41; Ap 20,10). I demoni e i dannati hanno scartato il Fuoco dell’amore di Dio scegliendo i fuochi della superbia, e ora sono immersi in quel fuoco, commentato dal fuoco della Geenna nella valle dell’Hinnom che bruciava le immondizie di Gerusalemme. Il fuoco era gia' presente come condanna degli angeli ribelli (Mt 25,41) e gia' tormentava le anime dei dannati, ma ora tormenta anche i loro corpi. I dannati vollero essere carne, solo carne, e cosi' la carne sara' colpita dal fuoco. La natura di questo fuoco e' insondabile.
I demoni e i dannati sono di proporzioni piccole, travolti dal caos infernale prodotto dall’odio. I tre spazi tra i quattro fiumi di fuoco proseguono nell’antro buio dell’Inferno, poiche' l’Inferno e' anche tenebra, assenza di luce. Nel pavimento dell’abisso infernale ci sono degli inghiottitoi tombali, poiche' la dannazione e' la seconda morte, quella eterna (Ap 2,11; 20,14).

Lucifero re dell’abisso e' presentato come un grande mostro che siede su di uno scranno fatto da un drago a due teste che divorano dannati, secondo il modello del giudizio di Torcello (laguna di Venezia) (Sec. XI-XIII). E secondo il modello del Lucifero di Coppo di Marcovaldo (ca. 1225 - ca. 1276) presente nel mosaico dell’Inferno del Battistero di Firenze, che ha pure lui uno scranno fatto da un drago a due teste. A differenza di Coppo di Marcovando che fa uscire due serpenti dalle orecchie del mostro, dove hanno il loro nido, Giotto presenta un serpente drago che fa come drappo alla testa del mostro.
Ha i piedi ad artiglio, ed e' del colore bluastro della morte.
Giotto e' pienamente allineato con la tradizione pittorica medievale.
Va detto che il dominio dei demoni sui dannati e' espresso dalla pittura in modo del tutto figurato. Infatti le impiccagioni, le sevizie a morte dei demoni, i divorati da Satana, sono immediatamente in contrasto con il fatto che i corpi dei dannati non sono piu' attaccabili dalla morte, e che percio' i demoni non possono che colpire con l’odio facendo ricordare e ricordare che sulla terra i dannati si sono fatti loro servitori: servitori dell’Odio. Queste le loro sevizie terribili, senza confronto piu' terribili di quelle presentate dalla pittura. Un re despota, riconoscibile dalla corona che ha in capo, ora deve stare sotto il peso di Satana, come si vede nella raffigurazione del mostro infernale.
La composizione pittorica presenta l’irreversibilita' del vizio, che e' radicato nella superbia. Un dannato con mitra in capo (vescovo o abate) e' mostrato mentre da' autorizzazioni in cambio di denaro, manifestandosi come simoniaco. In piu' siede su di un demonio credendo di poterlo asservire, ma e' solo la preparazione di nuovo orrore. Anche una meretrice si presenta avida di soldi di fronte ad un dannato che ha una borsa di denaro.
I fuochi del vizio non fanno che ricordare incessantemente ai dannati la causa della loro eterna dannazione, e cosi' diventano il gelo piu' glaciale nel fuoco della condanna. Per i fuochi dei vizi ora c’e' il fuoco della condanna. Il dannato odia se stesso e anche i vizi, radicati in lui nell’eterna deformita' della superbia, ma eternamente superbo insiste sulla superbia poiche' in quella si e' strutturato per sempre.

Il corpo del dannato possiede come quello dei giusti risorti l’immortalita', ma in uno stato preternaturale diverso da quello del paradiso terrestre dove c’era la necessita' di mangiare (1Cor 15,53; Lc 20,35; Ap 21,4). Dio non e' ingiusto nel fare risorgere i dannati poiche' l’uomo non e' un’anima dentro un corpo, ma un’unita' di anima e di corpo, e percio' l’uomo deve essere ricomposto nella sua interezza, con la quale ha del resto peccato.
L’immortalita' non e' l’impassibilita', cioe' la sottrazione dal dolore, propria dei corpi gloriosi (Is 25,8; 49,19; Sap 3,7; Dn 12,3; Mt 13,45 1Cor 15,42-44; Ap 7,16-17; 21,4). I corpi gloriosi hanno anche lo splendore, riflesso dello splendore dell’anima, mentre quelli dei dannati emettono buio come riflesso del buio interiore. I corpo gloriosi hanno l’agilita', cioe' la possibilita' di spostarsi da un luogo all’altro vincendo la necessita' del cammino, quelli dei dannati non la hanno. I corpi gloriosi hanno la sottigliezza, cioe' il dominio assoluto dell’anima sul corpo, i dannati hanno piuttosto il dominio del corpo sull’anima. Il corpo risorto nella dannazione e' dannazione esso stesso, perche' ricorda loro che fu strumento della loro dannazione. Fiamme di illusioni senza speranza compenetrano il dannato e nello stesso tempo gelo di orrore di fronte ad un’illusione che non puo' essere.

Il solo collante dei demoni, che si odiano, e' cercare di portare alla dannazione gli uomini e quindi di farli soggetti a loro, ma quando l’Abisso verra' serrato cadra' anche questo collante demoniaco, e sara' ancora di piu' il caos dell’odio (Ap 20,3; 20,10).
La situazione del dannato e' eterna (Mc 9,48). Non e' un peccato o due o tre o quattro che mandano all’Inferno, ma il rifiuto, nell’impenitenza, della somma, della somma, della somma, dell’amore di Dio.

L’offerta della Cappella da parte di Enrico degli Scrovegni

In basso alla destra della grande croce c’e', secondo un’antica tradizione pittorica, la parte relativa all’offerta della Cappella votiva. In ginocchio rivolto alla Madonna, che ha al lato sinistro santa Caterina d’Alessandria, patrona dei filosofi e dei teologi, e sul lato destro san Giovanni evangelista. Un altro personaggio sostiene la Cappella quale responsabile teologico dell’opera, recentemente identificato con Alberto da Padova dell’ordine degli Eremitani di sant’Agostino, convento non distante dalla Cappella. Caterina d’Alessandria tocca la cappella votiva quale segno dell’aiuto dato al teologo, mentre la Madonna tende la mano in segno di gradimento a Enrico Scrovegni.
Ovviamente il momento dell’offerta della Cappella e' del tutto separato dall’ora del Giudizio. E’ un inserto devozionale.
Un raggio di luce ogni 25 marzo (anniversario della consacrazione della cappella) passa tra la mano di Enrico Scrovegni e quella della Madonna.
La fisionomia di Enrico degli Scrovegni riproduce fedelmente le fattezze che si vedono, invecchiate, nella sua tomba marmorea presente nella Cappella. Lo stesso si deve dire del teologo agostiniano. Ovviamente Enrico degli Scrovegni e Alberto da Padova non intendevano dichiararsi con certezza assoluta e infallibile appartenenti nel futuro alle schiere dei beati. (Cf. Concilio di Trento, sessione VI - 13/1/1547 -, Decreto sulla giustificazione, canone 15 e 16). Gli eremitani di sant’Agostino reagirono perche' fraintesero l’iconografia dell’offerta della Cappella, che rimaneva solo un gesto votivo, con la quale si invocava la misericordia divina sul casato degli Scrovegni reso pubblicamente infame dall’usura del padre, Rinaldo di Ugolino.


www.cappelladegliscrovegni.it
www.wikipedia.it
www.padovanet.it
www.giottoagliscrovegni.it
http://www.academia.edu/2294338/Giotto_letto_da_Dante
http://www.christusrex.org/www1/giotto/scrovegni.html
Giuliano Pisani, “I volti segreti di Giotto, le rivelazioni della Cappella degli Scrovegni”, Ed. Rizzoli, 2008