L'Antico Testamento    


I codici in ebraico dell'A.T. a noi pervenuti dai secoli assommano a qualche migliaio. Questi codici per la maggior parte sono stati trascritti nel XIV secolo d.C. Cinquanta sono datati al XIII secolo; otto al secolo XII e solo pochissimi ai secoli IX-XI. Tra questi vanno annoverati il
Codice dei Profeti del Cairo (anno 895), il Codice di Aleppo (seconda metà del secolo X), il Codice dei Profeti di San Pietroburgo (anno 916), il Codice di San Pietroburgo B 19° (anno1008).

Si hanno poi molti frammenti di codici che risalgono fino al VII-VIII secolo, trovati fuori uso nella genizah (ripostiglio per codici consunti dall'uso) della Sinagoga del Cairo.

La spiegazione del vuoto antecedente si deve all'affermarsi del testo Masoretico (masar significa tramandò). I Masoreti (500-900 d.C., ma anche fino al XII secolo) con la loro opera minuziosa di punteggiatura, di vocalizzazione, di blindamento del testo mediante il computo dei versetti, l'indicazione del versetto medio, del vocabolo medio, e altre minuziosità, diedero la garanzia di una trasmissione fedele nel tempo, ma con tutto ciò non riuscirono ad impedire delle involontarie sviste di copiatura. All'affermazione del testo Masoretico seguì la distruzione dei codici antecedenti. Altra ragione fu che i codici consunti dall'uso (bastavano poche parole diventate sbiadite), venivano messi nella ghenizah (magazzino-sgombero delle sinagoghe) e destinati ad essere bruciati.

Un testimone antico è il Pentateuco Samaritano datato al V secolo a.C.; riporta solo i primi cinque libri. Il testo in ebraico venne però reso linguisticamente popolare per i bisogni dei lettori e ascoltatori, così che la sua autorità in critica testuale ne risente.

Il testo dell'Antico Testamento è testimoniato poi dalla traduzione in greco detta dei LXX. La leggenda narra che settantadue (6x12: 6 per ognuna delle 12 tribù di Israele) saggi israeliti l'abbiano tradotta ad Alessandria dall'ebraico. Essa  fu compiuta in un lungo tempo e risale ai secoli III-I a.C.

La traduzione presenta divergenze dal testo masoretico, trasposizioni di passi, mutazioni di ordine, presenza di parti deuterocanoniche (così dette perché riconosciute unanimemente ispirate dalla Chiesa a partire dal V secolo d.C., fino alla definizione dogmatica del Concilio di Trento), omissioni, divergenze in vocaboli per sbagli o libertà di traduzione. La traduzione dei LXX è stata per molto tempo il testo ufficiale dei giudei ellenisti. Il testo dei LXX è della massima importanza in quanto venne molto usato dagli scrittori del Nuovo Testamento. Nel Nuovo Testamento, delle circa 350 citazioni dell'A.T, circa 300 provengono dalla traduzione dei LXX. Ma, bisogna dire più precisamente che gli scrittori del N.T. fecero capo ad un testo che era una revisione dei LXX, riconfrontata con l'ebraico (A Qumran vennero trovati frammenti di una traduzione greca dei profeti minori, che presenta i caratteri di una revisione rabbinica dei LXX sulla base dell'ebraico. San Giustino ricorda una tale traduzione che divenne testo ufficiale dei giudeo-ellenisti). Da questa revisione rabbinica prese il via con ritocchi (180 d.C) un giudeo di Efeso, dando vita ad una nuova traduzione detta Teodozione, dal nome del giudeo. Dello stesso tipo di Teodozione sono la traduzione greca (140 d.C) ad opera di Aquila (un greco del Ponto convertito al giudaismo) e l'altra (200 d.C) ad opera di Simmaco (un samaritano convertitosi al cristianesimo).

 


A tutto ciò si sommano i preziosi ritrovamenti biblici in ebraico e aramaico scoperti nelle undici grotte di Qumran (nella grotta numero 7 si hanno testi in greco) a partire dal 1947. I ritrovamenti presentano testi datati tra il II-III secolo a.C. fino al I d.C.

I testi di Qumran hanno confermato la bontà del testo ebraico Masoretico giunto a noi.


Il Nuovo Testamento


Gli studiosi ritengono che la prima stesura dell'insieme dei testi biblici del Nuovo Testamento venne realizzata su rotoli di papiro, a imitazione dell'uso giudaico. Con la distruzione di Gerusalemme, la comunità cristiana adottò il libro a codice, cioè con pagine sfogliabili e scritte da entrambi i lati. Il formato codice risultava più leggero, meno voluminoso e più pratico nell'annuncio e nella catechesi per la rapidità con la quale venivano trovati i vari passi biblici. Il formato a codice esisteva già ma era poco usato, solo più tardi verrà adottato diffusamente dal mondo romano.

La raccolta dei vari scritti novo testamentari, venne fatta in breve e già nel I secolo si hanno notizie dell'elenco completo dei vari testi.

Con le persecuzioni contro i cristiani si ebbe la distruzione di codici, come già avvenuto all'epoca dei Maccabei per i rotoli del V.T. (1Mac 1,56), ma anche difficoltà di collegamento tra le varie comunità costrette alla dispersione e alla clandestinità. Mancò così un centro di copiatura dei testi che potesse effettuare un puntuale controllo sugli stessi. Ciò comportò una serie di incidenti nella ricopiatura dei codici. Incidenti di carattere inconscio, oppure intenzionale per preoccupazioni ortografiche, grammaticali, di chiarezza di senso, determinate da precedenti errori inconsci. Va affermato che tutto ciò non riguardò assolutamente la saldezza della dottrina, ma solo la facilità di comprensione delle parti che avevano subito difficoltà nelle trascrizioni.

La critica testuale, che ha come oggetto l'eliminazione degli incidenti di trascrizione, utilizza dei precisi metodi per giungere, dalla moltitudine dei testi, a cogliere le lezioni genuine.


Nel IV secolo d.C., con l'editto di Costantino, la Chiesa  passò dall'uso del codice in papiro a quello su pergamena, materiale costoso, ma non deteriorabile. (Pergamena dalla città di Pergamo dove venivano preparate le pelli di pecora o capra che, opportunamente lavorate diventavano un foglio liscio e traslucido).

I codici in papiro rimasero presenti per qualche tempo, ma poi si deteriorarono e vennero eliminati. Solo in Egitto, dato il clima secco, i papiri poterono conservarsi, ma nel subentrare dei codici  su pergamena quelli su supporto di papiro finirono per essere distrutti dall'uso, mentre altri dovettero finire in depositi. Nel seguito dei secoli il patrimonio papirologico andò in grandissima parte perduto. I papiri andarono addirittura bruciati, per il solo fatto che il fumo era di gradevole odore. Quando i mercanti locali di antiquariato capirono che erano preziosi, perché ricercati dagli studiosi, cominciarono ad esibirli sulle bancarelle. Poi subentrò la ricerca archeologica dei preziosi documenti. Da tutto ciò ci sono giunti diversi frammenti di papiro con passi del Nuovo Testamento; preziosissimi perché hanno permesso di avere una documentazione papirologica indubitabile su quanto gli scrittori cristiani dei primi secoli affermano circa l'origine dei testi del NT.

 

Si tenga presente che la conservazione del N.T. supera senza confronto quella di altri libri antichi, giunti a noi spesso frammentariamente e in rarissimi codici, per la maggior parte posteriori di molti secoli al testo originale. E' assai raro, tralasciando autori popolari come Omero e Virgilio, che ci siano opere dell'antichità che presentino più di mezza dozzina di copie anteriori al Medio Evo. Prescindendo dai frammenti, non vi sono copie di classici greci anteriori al IX secolo, e molto pochi anteriori al secolo XII.


I vari tipi di incidenti nella trascrizione dei testi


Errori di omissione:

di una sola lettera

di una sillaba

di un'intera parola

di un'intera frase

caso speciale è l'aplografia (elemento identico ad uno contiguo così che uno viene omesso).

 

Errori per aggiunta:

aggiunta di una lettera

aggiunta di una sillaba

aggiunta di una parola

aggiunta di un'intera frase

caso speciale è la dittografia (ripetizione per due volte della stessa lettera o parola).

 

Errori per mutazione o scambio:

scambio tra loro di lettere simili

scambio di parole simili, facilitato dall'uso di parole compendio e dalla scrittura continua.

 

Errori per inversione:

inversione di lettere, parole o anche frasi intere.


I codici su pergamena


I testi su pergamena più antichi sono i testi onciali, cosiddetti perché composti a lettere maiuscole. Complessivamente se ne hanno 266. Solo 57 di questi ci sono giunti completi di tutti i testi del Nuovo Testamento. Gli altri, mal conservati, sono tuttavia utilissimi per le parti che riportano. I codici minuscoli assommano a ad oltre 2750 esemplari.


I più importanti codici onciali su pergamena del IV-V secolo sono:




Il Codice Vaticano (B), conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Fu scritto probabilmente in Egitto. Il codice riporta il V.T. nella traduzione dei LXX tranne alcune piccole parti per fogli andati perduti. Riporta il N.T. in greco con qualche mancanza per la perdita di alcuni fogli finali. E' ritenuto il codice onciale su pergamena più antico, trascritto nel IV secolo d.C. E' uno dei migliori codici per fedeltà al testo.



Il Codice Sinaitico (S). Venne ritrovato in un monastero del Sinai (S. Caterina) da Constantin von Tischendorf, nel maggio del 1844. Fu trascritto nel IV secolo con tutta probabilità in Egitto. Si trova al British Museum di Londra, eccetto 43 fogli che si trovano a Lipsia. Il codice riporta il V.T. nella traduzione dei LXX, con alcune lacune. Riporta tutto il N.T. Assomiglia molto al Codice Vaticano. Le pelli necessarie per le pergamene del Sinaitico sono state stimate in 360 fra pecore e capre. Il Sinaitico venne provvidenzialmente  salvato, infatti stava per essere usato come combustibile.



Il Codice riscritto di Efrem (C), così detto perché sul testo greco del V.T. e N.T. che risale al V secolo vennero sovrapposte, previa cancellazione, le opere di Efrem. Il Codice è ancora leggibile esponendo le pagine ai raggi ultravioletti. Si trova presso la Biblioteca Nazionale di Parigi. E' quasi completo di tutti i testi.



Il Codice Alessandrino (A), detto così perché in antico si trovava in Alessandria. Ora è nel British Museum di Londra. Fu trascritto in Egitto nel secolo V. Riporta il V.T. La cattiva conservazione del codice ha comportato lacune del N.T.; mancano Mt 1,1 - 25,6; Gv 6,50 - 8,52; 2Cor 4,13 - 12,6. Si compone di 773 fogli.



Il Codice Beza (D), così detto perché appartenne a Teodoro Beza, umanista del XVI secolo. Passò in seguito all'Università di Cambridge. Fu scritto nel V secolo probabilmente in Francia. Contiene i quattro Vangeli e gli Atti degli Apostoli, il tutto in greco e in versione latina. Conta 406 fogli.



Il Codice Claromontano (D), o Codice di Clermont per il fatto che il codice stette per molto tempo a Clermont. Fu scritto nel V secolo, probabilmente nell'Italia Meridionale. Si trova nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Contiene le lettere di san Paolo in greco e in latino. Si compone di 553 fogli: la differenza del numero di fogli da un codice all'altro dipende principalmente dal numero delle colonne e dal numero delle linee di scrittura.

I codici minuscoli

Il più antico è il Codice 461, datato al  835 d.C. Si trova a San Pietroburgo.


Le antiche traduzioni


Si hanno poi diverse traduzioni, di grande importanza perché tradotte alla lettera, anche se non sempre servilmente. Tra le più importanti si registrano:




La Siriaca, detta “Peschitta”, del II secolo.

Vari codici del II secolo in lingua copta “Copta sahidica”, “Copta bohairica”.

La Vetus Latina del 150 circa.

La Vulgata in latino di san Gerolamo della fine del III secolo.


A disposizione si hanno poi le citazioni degli scrittori cristiani dei primi secoli (II-IX), tanto abbondanti che si potrebbe ricavare quasi del tutto il  Nuovo Testamento.

Tutti questi testi dichiarano che la Chiesa da 17 secoli trasmette i medesimi testi. Se ora si consultano i circa 100 papiri che ci giungono dai secoli antecedenti si vede come essi corrispondono ai medesimi testi, salvo quei disordini di copiatura, di lettura, introdottisi per l'assenza di un centro di copiatura, centro che non poté essere attuato per la valanga delle persecuzioni. Nonostante ciò la dottrina dei testi appare integra e omogenea e questo per l'indubbia assistenza dello Spirito Santo alla Chiesa.


Brevi nozioni sulla papirologia


La papirologia è una scienza che richiede vaste conoscenza ed è insegnata nelle università. Essa si basa fondamentalmente sulla comparazione dei testi da datare con documenti papiracei di datazione certa.

Il materiale papiraceo di confronto è imponente, ed il confronto è grandemente semplificato dai computer. Nel “Thesaurus Linguae Graecae” dell'Università Irvine della California sono registrate opere per un complesso di 91 milioni di parole. Altro raccoglitore di dati sui papiri è il “Perseus Digital Library” della Tufts University di Boston. Accanto a questi strumenti informatici, risulta necessario, come dato ultimo, il confronto sui papiri reali, questo per cogliere i minimi dettagli delle lettere, dell'insieme delle parole, degli scritti.

Si hanno poi fotografie ai raggi infrarossi, tecniche di registrazione digitale delle lettere, stereomicroscopio, per captare i minimi dettagli per il confronto coi testi di data certa. Le date certe si hanno quando i documenti di confronto riportano la data, oppure quando le date ono fornite dagli stop  archeologici. Esempio di stop archeologico è la distruzione di Ercolano la cui data certa fa sì che i papiri ritrovati non possono essere postumi alla data della distruzione. Così quelli di Qumran non possono essere postumi all'abbandono delle grotte di cui si conosce la data (68 d.C.).

La papirologia non può avvalersi sempre del sistema dell'analisi del radiocarbonio data le piccole dimensioni di diversi reperti; nemmeno può servirsi dello Spettrometro ed Acceleratore di Massa, poiché occorrono almeno 20/25 mg di materiale e per ciò certi frammenti di papiri andrebbero distrutti. Comunque l'esame del radiocarbonio è stato applicato a papiri ritrovati nelle grotte di Qumran. Effettuato in tre laboratori distinti ha dato il  risultato che in due casi su tre venivano convalidati i dati forniti dalla paleografia, e ciò è una comprova del valore dei risultati della papirologia. Certo, anche i risultati dell'esame del radiocarbonio hanno dei limiti legati alla conservazione del materiale papiraceo e ad un certo grado di incertezza a livello di operazioni di  misurazione del decadimento del radiocarbonio, ma ciò non inficia l'utilità di tale metodo.

Nella comparazione coi papiri si ha indubbiamente un'inevitabile quantità di soggettività, ma non bisogna esagerare la critica al metodo della papirologia, perché se non garantisce delle datazioni assolute fornisce però indicazioni sull'arco di tempo di composizione di un papiro con una forbice ristretta, il che non è affatto poco. In tale scienza occorre esperienza, vastità di conoscenze tenendo anche conto che ogni caso è un caso che va valutato a sé, e su di esso bisogna far convergere numerosi dati, non esclusi quelli delle datazioni offerte dall'archeologia. Gli autori quando poi presentano una datazione scelgono il corno della forbice che risulta più prudente. Ovviamente nuovi ritrovamenti di papiri possono precisare meglio la datazione e attualmente si ha un processo di retrodatazione di papiri già assegnati a tempi più recenti.

La papirologia ha formato tutta una serie di classificazione delle grafie, degli stili, scaglionati durante il tempo, tenendo conto anche del genere dello scritto. Ad esempio, se si tratta di una lettera si avrà la caratteristica della scorrevolezza grafica; diversamente per un documento, oppure un libro.


Attualmente sono stati ritrovati un centinaio di papiri contenenti frammenti più o meno lunghi del N.T. Quelli più importanti sono:




Papiro Ryland p.52
, così nominato perché appartiene alla biblioteca dell'inglese J. Ryland. Venne  acquistato in Egitto nel 1920 da Bernard P. Grenfell. Probabilmente il papiro proviene da Ossirico. Venne reso pubblico per la prima volta nel 1935 da Colin Robert, che lo identificò con Gv 18,31-38. La datazione che venne proposta da Colin Robert era al 125 d.C., ma come datazione più prudente; si poteva, infatti, sulla base delle somiglianze strette con il papiro Fayyum 110, datato al 94 d.C., del papiro Lond. 2078 - una lettera privata del tempo di Domiziano (81 - 96 d.C) -, del  papiro Gr. Berol, contenente il decimo canto dell'Iliade, datato alla fine del I secolo, giungere ad una datazione più bassa.
L'importanza del
p.52 è molto grande perché ha smentito le tesi razionaliste che volevano il Vangelo di Giovanni composto verso il 150, per poi dire che era stato scritto lontano dai fatti e quindi da una comunità che aveva tracciato la propria visione sul Cristo.

Papiri Chester Beatty p.45; p.46; p.47
, perché acquistati da C. Beatty in Egitto nel 1930-31. Sono conservati a Dublino presso la Library Chester Beatty.



Il p.45 è costituito da 30 fogli (il codice integro ne aveva 110); presenta parti notevoli dei Vangeli e degli Atti. E' datato paleograficamente alla prima metà del III secolo (200-250 d.C). Una parte del p.45 è conservato nella Biblioteca Nazionale Austriaca a Vienna. Il p.45 è considerato, nel confronto agli altri papiri, un testo abbastanza fedele anche se di qualità inferiore al Codice Vaticano e al p.47.



Il
p.46 conta 86 fogli e riporta buona parte delle lettere di san Paolo (Rm, Eb, 1 e 2Cor, Gal, Ef, Fil, Col, 1Ts). Una parte del papiro è conservata presso la Biblioteca Ann Arbor dell'Università del Michigan. Il papirologo tedesco Urlich Wilcken poneva la datazione di p.46 al 200 d.C. circa. Tuttavia nel 1988 il papirologo Young Kyu Kim è giunto a datare il papiro alla fine del I secolo. Esso è opera di un copista di professione, ma si ritrovano errori ortografici. Il papiro concorda con il Codice Vaticano per le lettere di san Paolo.



Il
p.47 presenta 10 fogli e contiene Ap 9,10-17,2.

Papiri Bodmer, ritrovati in Egitto da Martin Bodmer nel 1955-56. La parte maggiore di questi papiri è conservata nella Biblioteca Bodmeriana di Cologny (Svizzera). Una parte del papiro p.72 detto Bodmer VIII è stato donato nel 1969 a Paolo VI ed è conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana.
I più importanti papiri della collezione Bodmer ai fini della critica testuale sono i papiri
p.66; p.72; p.75.



P.66
detto Bodmer II contiene quasi tutto il Vangelo di Giovanni. Una parte di trova presso l'Inst. Altertumskunde a Colonia e un'altra presso la Chester Beatty di Dublino. La prima datazione che venne espressa sul papiro lo collocava al 200 d.C. Attualmente diversi studiosi (Herbert Hunger) optano per il 125 d.C. circa. La trascrizione non è di mano molto professionale, tuttavia è considerato autorevole. Ha affinità con il Codice Vaticano.



P.72
detto Bodmer VII-VIII, è datato al secolo III-IV. Contiene in buono stato di conservazione le due lettere di Pietro e la lettera di Giuda. E' custodito nella Biblioteca Apostolica Vaticana.



P.75
detto Bodmer XIV-XV contiene gran parte dei Vangeli di Luca e Giovanni. Il papiro è stato donato nel novembre del 2006 a Benedetto XVI ed è custodito nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Il p.75 è datato paleograficamente tra il 175 e il 225 d.C. Il p.75 è il testo che maggiormente si accorda con il Codice Vaticano, ciò dice la forte bontà del Codice Vaticano a riguardo della critica testuale. Il papiro è opera di un copista competente ed è considerato dalla critica testuale di valore basilare.



Papiro Magdalen
, è costituito di cinque frammenti, tre dei quali sono conservati presso il Magdalen College di Oxford p. 64 e due presso la Fundacion San Lucas Evang. di Barcellona p.67. I frammenti contengono alcuni versi del Vangelo di Matteo. Esso apparteneva ad un codice onciale. Tre frammenti vennero acquistati a Luxor nel 1901 da Charles B. Huleatt e donati poi al College. La prima datazione del p.64 fu fatta da A. S. Hunt che presentò la data del III-IV secolo. Nel 1935 il papirologo di fama mondiale Colin Robert abbassò la datazione al II secolo (100-200 d.C). I frammenti p.67 vennero datati nel 1956 dal papirologo Ramon Roca-Puig al III secolo.

Nel 1994-95 il papirologo tedesco Carsteu Peter Thiede propose la datazione di p.64 alla fine del I secolo, sulla base di nuovi elementi, non posseduti da Colin Robert, provenienti da un papiro di datazione sicura ritrovato a Ossirico, somigliantissimo come “goccia d'acqua” al Magdalen, e altri papiri sempre di datazione sicura, nonché papiri di Qumran databili non oltre il 68-70 d.C. (data della chiusura delle grotte), e anche papiri di Ercolano (presenza di forme grafiche mediterranee, dovute all'impero romano), databili non oltre l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Carsteu Peter Thiede ha utilizzato poi le tecnologie più moderne come la microscopia elettronica.

Così il p. 64 / p.66 è il più antico papiro del N.T. vicinissimo alla morte e risurrezione di Gesù.

Ritornare alla datazione di Colin Robert non è più possibile, anche se non è mancata una certa resistenza da parte di alcuni, mossi da contrarietà alla storicità dell'evento cristiano, piuttosto che da intento oggettivamente scientifico.

I frammenti sono in greco. Notizie storiche ci dicono che il vangelo di Matteo venne scritto originariamente in aramaico, così la datazione sostenuta da Thiede viene ad affermare che la sua traduzione in greco avvenne a pochissima distanza di tempo. Ha certamente valore l'ipotesi che la traduzione avvenisse a seguito del Concilio di Gerusalemme (At 15,6s), che sancì l'apertura del Vangelo ai pagani senza che questi fossero obbligati alla circoncisione e ad osservare le altre pratiche della legge di Mosè.

Va considerato infine il papiro 7Q5, frammento piccolissimo di rotolo rinvenuto a Qumran, anche se non ancora oggetto di universale consenso. Il frammento, contenente solo 20 lettere su 5 righe, è in greco ed è stato datato dal papirologo Robert Colin (1972) al 50 d.C. Misura  3,9 cm di altezza e 2,7 cm di larghezza. Si trova nel Museo di Gerusalemme.

Alcuni hanno attribuito il frammento a 2Sam 5,13-14 - versione in greco dei LXX - (pare lo stesso Robert Colin 1972) o a 2Sam 4,12-5,1 o a Es 36,10-11 (Paul Garnet 1973) o a Zac 4,12-5,1 (Maria Vittoria Spottorno, 1992; la professoressa presenta però una parafrasi di Zc 4,12-5,1).

Il papirologo José O'Callaghan, sacerdote della Compagnia di Gesù,  nel 1972 lo attribuì a Mc 6,52-53: “...perchè non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito. Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret...". Tale attribuzione fu subito contestata, ma sulla base di reazioni personali che attingevano a posizioni del razionalismo, piuttosto che di oggettività scientifica. Attori della contestazione furono: il prof. Kurt Aland, che sbagliò la programmazione del computer e così i suoi risultati furono errati, gli specialisti della École Biblique di Gerusalemme, e altri. Ai chiarimenti presentati da O'Callaghan si oppose il silenzio, eppure il curriculum di O'Callaghan si presentava quanto mai prestigioso. Dottore in filosofia presso l'Università di Madrid, dottore in filologia classica presso l'università di Milano, insegnante presso importanti centri di studio europei. Docente di Papirologia e Paleografia Greca, nonché di Critica Testuale presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma. Qui è stato anche decano della Facoltà Biblica. Direttore del Seminario di Papirologia dell'istituto di Teologia Fondamentale di S. Cugat del Vallès, in Barcellona.

Tutto sembrava sepolto, ma nel 1987 il papirologo tedesco, di religione anglicana, Carsten Peter Thiede sostenne di nuovo l'attribuzione di O'Callaghan. Nell'ottobre del 1991 ci fu un Simposio presso l'Università di Eichstatt e in generale si ebbe un'opinione favorevole all'attribuzione del papiro a Mc 6,52-53, restava tuttavia chi era pronto a sostenere altra attribuzione (Spottorno, Julio Trebolle). Il papirologo F. Rohrhirsch pubblicò subito un libro favorevole alla identificazione in Mc 6,52-53.

Nel 1995 O'Callaghan riaffermò la sua attribuzione col libro “Los testimonios más antiguos del Nuevo Testamento. Papirología neotestamentaria”. (En los origines del cristianismo 7), ed. El Almendro, Cordoba, 1995. Nel 1996 Carsten Peter Thiede ne sostenne nuovamente l'attribuzione con una nuova pubblicazione, con traduzione in italiano: “Qumran e i Vangeli. I manoscritti della grotta 7 e la nascita del Nuovo Testamento, Milano: Massimo, 1996”.

L'attribuzione, che si è avvalsa della diretta consultazione del papiro, cioè non di fotografie pur ai raggi infrarossi, nonché dei più avanzati strumenti d'indagine ha attualmente al suo attivo molti consensi, tra questi va ricordato il consenso della papirologa Orsolina Montevecchi.

Il papiro è stato sottoposto al calcolo matematico delle probabilità circa il poter appartenere ad altro passo biblico. Il calcolo è stato condotto dal professore Alberto Dou, dottore in matematica e membro della reale Accademia delle Scienze di Madrid, con il risultato di probabilità di 1 contro novecentomila milioni, praticamente nessuno. Considerando le possibilità di variazione sticometrica (stichoi: linee scritte) di 7Q5, si ha la probabilità di una identificazione diversa di 1 contro 430 bilioni (1 bilione equivale a 1000 miliardi).

Nel 1997 (Revue de Qumran 18, 1997) lo studioso americano Ernest Muro, con il Bible Works versione 3,5, ricercò tutti i testi dell'A.T. e N.T. corrispondenti al papiro 7Q5, escludendo sorprendentemente l'attribuzione a Mc 6,52-53 sebbene ciò corrisponda perfettamente ai dati del papiro. Muro presentò il risultato di Gn 46,20, ma tale attribuzione, riproposta da Muro nel 2001, poggia su una griglia paleografica (incolonnamento del testo, lunghezza delle linee, numero delle lettere) da lui arbitrariamente congetturata, per cui non viene scalfita l'attribuzione di O'Callaghan e Thiede a Mc 6,52-53.

Va detto che è stata avanzata l'idea (Card. Martini) di attribuire il frammento ad una raccolta privata dei logia del Signore che precedettero la stesura dei Vangeli (Cf. Lc1,1), ma la cosa non è dimostrabile.


I libri apocrifi


La parola apocrifo di per sé significa “nascosto” e quindi non presentato al pubblico. Ecclesiasticamente è sinonimo di pseudo-biblico, di extracanonico.


Si hanno apocrifi del V.T. e del N.T.


Per quelli dell'A.T. la composizione va dal II secolo a.C. al III secolo d.C. Per quelli del N.T. la composizione va dal I secolo al V secolo d.C.

Leggendo i testi subito si notano le ragioni per le quali vennero redatti.

Le ragioni possono essere buone, sebbene ingenue, cioè presentare notizie più ampie su personaggi di quelle contenute negli scritti canonici o risolvere problemi teologici con narrazioni ad hoc. Ad esempio per risolvere il problema dei “fratelli e sorelle di Gesù” si presentò un Giuseppe vedovo, con figli e figlie del precedente matrimonio. Per garantire poi l'accertamento del parto verginale di Maria si misero in campo delle levatrici; e via dicendo.

Le ragioni possono essere cattive, rivolte cioè a seminare errori dottrinali ingannando i lettori sprovveduti.

Il Vangelo di Giuda di impronta gnostica è un esempio di questo modo di ingannare.

Gli apocrifi possono tuttavia contenere notizie storicamente valide circa l'ambiente religioso, culturale, sociale. Il testo liturgico del “Requiem aeternum...” si rifà all'apocrifo 4Esdra 2,34s. I nomi dei genitori di Maria, Gioacchino ed Anna sono presi dall'apocrifo nominato nel secolo XVI protovangelo di Giacomo.


Bibliografia


P. Carlo M. Martini - D. Pietro Bonatti, “Il messaggio della salvezza, introduzione generale”, ed. ELLE DI CI – TORINO-LEUMAN, 1972.

J. O'Callaghan, “Papiros neotestamentarios en la cueva 7 de Qumran?”, Biblica, 53, 1972.

M. Baillet, “Les manuscrits de la Grotte 7 de Qumran et le Nouveau Testament”, Biblica, 53, 1972.

J. O'Callaghan, “Los testimonios más antiguos del Nuevo Testamento. Papirología neotestamentaria”. (En los origines del cristianismo 7), ed. El Almendro, Cordoba, 1995”

Carsten P. Thiede, “Jesus selon Matthieu. La nouvelle datazion du papyrus Magdalen d'Oxford et l'origine des Evangilis”, ed. Guilbert (O.E.I.L.), Paris, 1996.

Carsten P. Thiede - Matthew D'Ancona, “Testimone oculare”, ed. Piemme, Casale Monferrato (Al), 1996.

Carsten P. Thiede, “Il papiro Magdalen”, ed. Piemme, Casale Monferrato (Al), 1997.