Taoismo o Daoismo

Home

              Indice

 

I tre filosofi-mistici degliinizi
Il proposito del Taoismo
Il Tao sfugge a ogni definizione
L’azione cosmogonica
L’Uno, il Due, il Tre
Il Tao che può essere nominato e che non può essere nominato
Il movimento del Tao
Impersonale e personale, in fluttuazione
Il Cielo-Terra: principio del mondo
Le due anime e il corpo immortale
L’inazione razionale e la conoscenza mistica
Lo spirito della valle
Agire il non agire
Agire il non agire nel governo dei popoli
Il modello del pargolo
L’ineluttabilità
La “somma carità” contrapposta a Confucio
Le tre cose preziose
Il timore della morte
Il corpo etereo, immortale
Le tecniche yogiche e alchemiche per la lunga vita e l’immortalità
L’aldilà
La pratica della sessualità
La vita monastica
Note

 

 

Il Taoismo o daoismo (traslitterazione con il sistema Pinyīn) nasce in Cina in un lungo contesto (VI-III, sec. a.C) di profonda crisi sociale e politica segnata dalla decadenza della dinastia Chou o Zhou. La dinastia non aveva più il vigore delle sue origini, ed era sotto la pressione dei grandi regni feudali, per altro in lotta tra di loro, e dell’emergente dinastia Qin che prevalse definitivamente nel 256 a.C.
Il Taoismo non è precisamente una religione, anche se a un certo punto ne ha poi i caratteri, ma piuttosto un insieme di sguardi mistico-filosofici, e di indicazioni per avere vita lunga e immortalità. Nella sua lunga storia non è dato di trovare una conformità omogenea di pensiero, benché si individui un alveo comune.
Per avere un approccio al Taoismo bisogna partire dai tre testi base (Tao Te Ching, Chuang tzu, Lieh-Tzu o Liezi), altrimenti ci si deve districare nelle posizioni delle varie scuole e il compito sarebbe enorme e non necessario per la comprensione della sostanza del Taoismo.
Il Taoismo iniziò con un’indole molto privata, eremitica, formando delle nicchie contemplative, per un’esperienza mistica di unione con il cosmico-divino.
Il Taoismo prese le mosse dalla tradizione religiosa cinese, focalizzandosi sul Tao, che come parola e concetto era già presente nella cultura cinese (sec. X a.C.), lo si ritrova infatti nel “Libro dei mutamenti“, dove il binomio (陰 e 陽) Yin e Yang, nel loro contrapporsi dialettico, esprimono il Tao, come la loro più semplice combinazione.
Lao Tse (venerabile maestro), il tradizionale fondatore del Taoismo, pose invece la novità del Tao inteso come un Principio metafisico, atemporale, a cui fa capo lo Yin e lo Yang.
In tal modo al posto della contrapposizione dialettica del “Libro dei mutamenti”, si ha una decisa unità armonica data dal Tao.
In generale lo Yin è l’opaco, il pesante; lo Yang è il puro, il leggero.
Tao è una parola intraducibile, ma che rimanda a via, principio, metodo. Il Taoismo pose tale realtà misteriosa, al vertice di ogni considerazione sull’esistenza.
L’influsso dello sciamanesimo su Lao Tze è affermato da molti, ma fa difficoltà il fatto che le ritualità, che Lao Tse considerava segni di decadenza, erano presenti nello sciamanesimo. Il ritorno a una antica e remota purezza perduta, includeva il prendere distanza dalle ritualità sciamaniche del suo ambiente. Tuttavia nel testo (Liezi, libro III) si può vedere la presenza di un mago di rango, venuto da lontano, che fa fare un’esperienza sovrasensoriale all’imperatore Mu di Chou (Zhou) (976-922 a.C.). Ciò dice che si avevano narrazioni su maghi del passato, culturalmente evoluti e con poteri straordinari, e che potevano essere rapportati a momenti di non decadenza, almeno individuale. La deviazione dalla via del Tao è pensata come un evento storico cultuale, e perciò, senza difficoltà, poteva ammettere delle eccezioni in eminenti personaggi. D’altra parte Lao Tse non intese fondare una religione, bensì correggere delle deviazioni storico culturali, riattivando la via del Tao. Di fatto però Lao Tse, con altri, fu il fondatore di una nuova religione, e non precisamente un restauratore.
Se però si considera il Taoismo successivo, il cosiddetto Taoismo religioso (道敎, dàojiào), si rileva un più diretto influsso dello sciamanesimo cinese.
Il Taoismo non ignora, e non può ignorare, gli interrogativi profondi dell’uomo: da dove proviene, dove sta andando, il perché del dolore, della morte, l’origine delle cose. A questi interrogativi presenta delle risposte inadeguate, e con forte scarto rispetto alla Parola Biblica. Tuttavia, sappiamo che la misericordia di Dio non fa mancare luci dello Spirito Santo, pur filtrate attraverso le pesanti oscurità degli errori. Infatti, è giusto dire che le vie di Dio sono infinite, nel senso che si inseriscono nel cammino delle persone anche là dove pesano i condizionamenti degli errori, purché ci sia la retta intenzione della vita e la ricerca del vero, del buono e del giusto.



I tre filosofi-mistici degli inizi
Le dottrine Taoiste vengono fatte comunemente risalire a un filosofo-mistico, Lao Tzu o Lao Tse o Lao Tzi (老子). Il suo nome proprio sarebbe Li Er, essendo Lao tse (vecchio maestro) un titolo onorifico. A Lao Tse (uso il termine più diffuso) bisogna però aggiungere i filosofi-mistici Lie Yukou o Liezi (V sec. a.C) e Chuang Tzu (IV sec. a.C). La designazione di filosofi-mistici dovrebbe essere cambiata in mistici-filosofi, perché è carente in essi ciò che è proprio della filosofia, cioè la ricerca razionale della verità, per quel non poco, a cui la ragione può accedere. Essi rimasero nel vero dell’antica religiosità cinese, separandolo da ciò che ai loro occhi era caduco, fino a dargli una configurazione con impronte di novità. Possedevano una buona cultura e questo ha dato alle loro opere una veste intellettuale, ma non filosofica nel senso preciso del termine.
Il più noto dei tre è Lao Tse. Di lui si sa molto poco, e la prima fonte storica su di lui sono le “Memorie di uno storico” di Sima Qian, del I sec. a.C.
Secondo Sima Qian, Lao Tse sarebbe vissuto nel VI-V sec. a.C., contemporaneamente a Confucio. Lao Tse era l’archivista della biblioteca imperiale della dinastia Chou o Zhou. Lao Tse non avrebbe istituito una scuola vera e propria, ma sarebbe stato il maestro di più discepoli. Disgustato dalla vita corrotta della dinastia Zhou, all’età di 80 anni si sarebbe ritirato a vivere in solitudine.
A Lao Tse si attribuisce lo scritto “Tao Te Ching” (Libro della Via e della Virtù), tuttavia il testo, composto da poco più di 5000 logogrammi (alcune edizioni ne portano 6000), suggerisce delle stratificazioni, il che fa dire a diversi critici che venne scritto non al tempo di Confucio (551-479 a.C.), ma nel IV-III sec. a.C., Una datazione universalmente condivisa non c’è. Uno storico cinese Hu Shih (1937) ha difeso la datazione tradizionale al VI sec. a,C. - il cui valore non va gestito con disinvoltura -, e di conseguenza la contemporaneità con Confucio.
E’ uno scritto che non ha un susseguirsi ordinato di temi, ma non ha dei doppioni. Lo scritto è di buona fattura poetica. Il pensiero è espresso in maniera apodittica ed ermetica, tale da rendere necessaria un’attenta interpretazione. Lo scritto “Tao Te Ching” (TaoTC) è il principale testo base del Taoismo. La traduzione adottata è quella di Luciano Parinetto (1995). (1)
A Lie Yukou, chiamato anche Liezi, è attribuito il testo “Lieh-tzu” o “Liezi” (Liezi), che risulta databile al IV sec. a.C. Gli antichi libri cinesi erano molto spesso titolati con il nome dell’autore. La traduzione adottata è quella in inglese di Lion Giles (1912), con confronti con la traduzione in inglese di Angus Charles Graham (1990).
A Chuang Tzu o Zhuangzi (Maestro Zhuang) viene accreditato, fondatamente, il testo “Zhuangzi” o “Chuang Tzu” (IV sec. a.C). La traduzione adottata è quella di Fausto Tomassini (1989).
Tao Te Ching, Zhuangzi o Chuang Tzu, Lieh-Tzu o Liezi, sono i tre testi che presentano il pensiero fondamentale del Taoismo, il cosiddetto Taoismo filosofico (道家, dàojiā), da distinguere dal Taoismo religioso, venuto successivamente (206 a.C - 220 d.C.), e inglobante elementi della religiosità popolare cinese. Di fatto il Taoismo nel succedersi dei secoli subì innesti dalla religiosità cinese, specie dopo la costituzione (II sec. a.C.) del Taoismo in Comunità organizzata, orientandosi al piano ritualistico, con accenti di occultismo, di divinazione astrologica e fortemente politeistico, pur considerando le divinità come emanazioni del Tao.
Il canone Taoista - per dire la complessità del Taoismo religioso - secondo le ultime informazioni è giunto a catalogare circa 5000 testi, che purtroppo hanno il difetto di non avere una chiara datazione cronologica, rendendo complicato il loro studio.
(2)
Questo lavoro si basa sui tre testi fondamentali, con il metodo guida della citazione dei passi caratterizzanti.


Il proposito del Taoismo
Il Taoismo esordì come separazione da ciò che di deviante (affiancamenti, intersecazioni rituali, morali) avrebbe oscurato l’antica vera nozione del Tao. Si legge infatti (TaoTC, cap. XVIII e cap. XXXVIII): “Quando il gran Tao fu negletto s'ebbero carità e giustizia, quando apparvero intelligenza e sapienza s'ebbero le grandi imposture, quando i sei congiunti non furono in armonia s'ebbero pietà filiale e clemenza paterna, quando gli stati caddero nel disordine s'ebbero i ministri leali”. “Fu così che perduto il Tao venne poi la virtù, perduta la virtù venne poi la carità, perduta la carità venne poi la giustizia, perduta la giustizia venne poi il rito: il rito è labilità della lealtà e della sincerità e foriero di disordine”, Il senso di queste parole è che nel Tao si trova ogni legge di comportamento. Allontanandosi dal Tao gli uomini si produssero nella ricerca della virtù, che non è la “virtù del vuoto” (TaoTC, cap. XXI), ma l'elaborazione dell'idea di un principio etico autonomo dal Tao. Si passò poi a elaborare la carità per la solidarietà tra gli uomini. Poi si passò alla giustizia per dare ordine e punizione. Apparvero poi gli studi filosofici “intelligenza e sapienza”, che furono, al dire di Lao Tse, strumento di impostura perché oscurarono la conoscenza del Tao. Perduta la giustizia incominciò la ritualità che portò alla “labilità della lealtà e della sincerità”, cioè alla finzione. Il quadro di decadenza catastrofica di Lao Tse non è altro che una confutazione di ciò che aveva appreso stando nella biblioteca imperiale accanto ai potenti.
Così viene affermato che c’era agli inizi un tempo dove regnava la perfezione degli uomini; gli uomini veri dell’antichità, gli uomini trascendenti, superiori, immortali, la cui vita consisteva nell’essere Tao.
(TaoTC, cap. XVI): “
Chi conosce l'eternità tutto abbraccia, tutto abbracciando è equanime, essendo equanime è sovrano, essendo sovrano è Cielo, essendo Cielo è Tao”. Tale situazione iniziale Lao Tse si propose di restaurala allontandosi dalla biblioteca imperiale per una vita isolata, circondata solo da un gruppo di discepoli, nel progetto di un’alternativa di governo di uno Stato basata sull’agire il non agire (為無為 wei wu wei). “Agire il non agire”, è di per sé un gioco di parole, perché il non agire non equivale a un agire. Il significato è però questo: se non si agisce contro l’armonia cosmica, andando così contro la naturalità, allora si agirà (l’agire quindi c’è) correttamente, con ritorno di utilità.
In seguito, però, con lo strutturarsi del Taoismo in Comunità organizzata, a partire dal II sec. a.C., vennero riprese molte componenti della religiosità cinese prima scartate.
Anche Confucio, contemporaneo di Lao Tse, vide le disfunzioni del suo tempo e cercò un modello trovandolo nella situazione felice di un antico passato, retto dai mitici antenati, antichi re, buoni e giusti, che agirono da virtuosi, garantendo pace e benessere ai popoli, essi testimoniavano la possibilità di re giusti nel governo degli Stati. Così Confucio ebbe a cuore la socialità dell’uomo, le relazioni umane, le virtù della carità, della giustizia, della lealtà, per creare, con un’etica, l’armonia tra gli uomini, e quindi l’armonia con il cosmo.
Indubbiamente, Lao Tse e Confucio non sono combacianti. Confucio guarda positivamente agli affetti del cuore degli uomini, come grande risorsa sociale e fa leva sulle virtù, promuovendo un’etica sociale. Lao Tse rigetta i potenti e parte dalla visione dell’armonia cosmica alla quale erano uniformati antichi mitici uomini. L’uomo deve uniformarsi all’armonia cosmica, estinguendo con la “
virtù del vuoto” le passioni del cuore, viste come deformazioni culturali assorbite. Chiaro che Lao Tse confonde le passioni viziose con gli affetti propri del cuore umano. Da qui la radice del non intendersi con Confucio. Lao Tse non rinuncia però alle virtù in sede di concretezza sociale, ma le vede come delle subordinate pratiche all’uniformarsi all’armonia cosmica. Confucio, come già detto, crede invece che i potenti, fedeli a se stessi e agli altri, possano essere leali, virtuosi, sinceri come i grandi re dell’antichità, e non ipocriti secondo il permanente sospetto di Lao Tse.

Il Tao sfugge a ogni definizione
(TaoTC, cap. XIV): “A guardarlo non lo vedi, di nome è detto l'Incolore. Ad ascoltarlo non lo odi, di nome è detto l'Insonoro. Ad afferrarlo non lo prendi, di nome è detto l'Informe. Questi tre non consentono di scrutarlo a fondo, ma uniti insieme formano l'Uno. Non è splendente in alto non è oscuro in basso, nel suo volversi incessante non gli puoi dar nome e di nuovo si riconduce all'immateriale. È la figura che non ha figura, l'immagine che non ha materia: è l'indistinto e l'indeterminato. Ad andargli incontro non ne vedi l'inizio, ad andargli appresso non ne vedi la fine. Attieniti fermamente all'antico Tao per guidare gli esseri di oggi e potrai conoscere il principio antico. È questa l'orditura del Tao”.
Questi tre” sono “l’Incolore”, “l’Insonoro”, “l’Informe”. Il Tao non ha colore per essere visto; non ha suoni per essere udito; non ha forme per essere determinato come le cose. “L’orditura del Tao” è il suo modo di agire. Non è percepibile, ma pur agisce, non contraddicendo all’impianto cosmico.

L’azione cosmogonica
(TaoTC, cap. XXV): “
C’è qualcosa che completa nel Caos, il quale vive prima del Cielo e della Terra. Come è silente, come è vacuo! Se ne sta solingo senza mutare, ovunque s'aggira senza correr pericolo, si può dire la madre di ciò che è sotto il cielo. Io non ne conosco il nome e come appellativo lo dico Tao”.
Il Tao eterno esiste prima del Cielo e della Terra, vuoto di ogni cosa. E’ vuoto, ma non è il nulla. Dal Tao scaturisce il Caos. Il Caos è completato - “
C’è qualcosa che completa nel Caos” - dal Tao mediante l’azione dello Yin e dello Yang (陰 e 陽), connessa all’energia vitale prima ((無極 wuji) non polarizzata (Wu significa assenza; Ji significa polarità) nella trasformazione in (soffio vitale, forza della vita, etere) quale componente essenziale del Caos, e, quindi, bipolarizzata (taiji) in Yin e Yang, Con tale azione Yin-Yang il Caos viene organizzato nell’ordine cosmico. L’energia vitale (), o forza della vita, va intesa come un’energia sui generis, non omologabile all’energia della fisica, qual è quella atomica o quella elettromagnetica. Essa è la forza vitale che scorre per l’universo e che non è distinta dal Tao, essendo Tao.
Lo Yin è il nero, l’oscuro, la concentrazione, la staticità, il freddo, la luna, il femminile, il passivo, il pesante, la terra, l'acqua, l'ombra.
Lo Yang è il bianco, la luce, il sole, il fuoco, l’espansione, il movimento verso l’alto, il caldo, il maschile, l’attivo, il leggero, ecc.
Con lo Yin e lo Yang si attua, cioè si ha l’azione di completamento, la distinzione degli elementi confusi, e l’ordine e il procedere delle cose. (Liezi, libro I): “
Gli elementi più puri e più leggeri, tendenti verso l'alto, rendevano i Cieli; gli elementi più grossolani e pesanti, che tendevano verso il basso, formavano la Terra”. Gli elementi base della materia: acqua, legno, fuoco, metallo, terra, confluiscono nelle varie configurazioni cosmiche.
Il testo Liezi, circa la relazione tra il Tao e il Caos, pone “
un inizio primordiale” dove c’era “una grande semplicità”, cioè assenza di forme e di limiti; questa grande semplicità era anche “un grande principio di cambiamento”, che da “uno passò a sette e da sette a nove” - (Graham pag. 18: “From one altered to sevenfold, from sevenfold to ninefold”) - cambiamenti che produssero la primordiale materia, l’energia vitale (soffio, energia vitale, etere), le forme, ma tutto in stato di Caos. (Liezi, libro I; Graham, pag 18): “Soffio (Qì), forma e sostanza erano completi, ma le cose non erano ancora separate l'una dall'altra; da qui il nome "Caos". Caos significa che la miriade di cose sono state confuse e non ancora separate l'una dall'altra”. Con chiarezza si ha che il Caos materico ed energetico procede da un processo di cambiamento del Tao, che però non muta nel suo essere iniziale. Chiaro il panteismo, che è del tutto funzionale al misticismo di volere percepire fisicamente la divinità. La filosofia Taoista è modellata in primis dall’esperienza psico-subliminale, dove la ragione è fatta tacere, e non include una preoccupazione astrofisica della fenomenologia del cosmo, che vada oltre l’astrologia e l’apparire dei fenomeni. La legge causa-effetto è messa da parte dalla contemplazione Taoista, per essa è il Tao che agisce con lo Yin-Yang.
Il (Liezi, libro I) presenta l’azione del Tao per mezzo dello Yin-Yang e delle quattro stagioni: "
Quello che è prodotto non può che continuare a produrre; evoluto non può che continuare ad evolversi, quindi c'è una produzione costante e un'evoluzione costante: la legge della produzione costante e dell'evoluzione costante in nessun momento cessa di funzionare.
Così è con lo Yin e lo Yang, così è con le Quattro Stagioni
”.
Il Tao ha l’attitudine a formare le cose. (TaoTC, cap. XXI): “
Oh, come indeterminato e indistinto nel suo seno racchiude le immagini! Oh, come indistinto e indeterminato nel suo seno racchiude gli archetipi! Oh, come profondo e misterioso nel suo seno racchiude l'essenza dell'essere! Questa essenza è assai genuina, nel suo seno ne racchiude la conferma”.
Il Tao ha nel suo seno le immagini delle cose, cioè gli “
archetipi” delle cose. Le cose confuse nel Caos hanno degli “archetipi”, che avranno poi il loro compimento con l’azione dello Yin e dello Yang.
L’essenza dell’essere”, cioè dell’essere delle cose, sta nel seno del Tao, poiché da tale seno, come grembo di madre, procedono.
Tutta la realtà cosmica è pervasa dal nella bipolarità Yin-Yang. Ciò “
conferma”, nel tempo, che è senza fine, la manifestazione dell’essenza “assai genuina” del Tao. Il Tao si configura come l’Indeterminato e l’Indistinto; cioè non determinato da nessuna cosa, e tuttavia non distinto da esse. In tal modo si ha non il panteismo, (πᾶν "tutto" θεός "Dio”), ma una forma di panteismo: il panenteismo (πᾶν "tutto", ἐν "in", θεός "Dio”).
Questo testo del (Liezi, libro I) è molto chiaro circa la coesistenza di panteismo e panenteismo: "
Ciò, quindi, che genera tutte le cose è di per sé non trasmesso, ciò per cui tutte le cose si evolvono è esso stesso intatto dall'evoluzione. Autogenerato e autoevoluto, ha in sé gli elementi di sostanza, apparenza, saggezza, forza, dispersione e la concentrazione cessazione, ma sarebbe un errore chiamarla con uno di questi nomi”.
E’ autogenerato e autoevoluto circa gli elementi di sostanza ecc. ed è uno con essi; con ciò si ha il panteismo; non è però racchiuso negli elementi poiché gli elementi sono in lui, e agisce libero in essi, e con ciò si ha il panenteismo.
Il Tao, pur uno con la realtà cosmica, ha quindi il Qì libero (trascendenza nell’immanenza) di muoversi per il cosmo per nutrirlo con esso come “
madre di ciò che è sotto il cielo” (TaoTC, XXV).
Tutto ciò Lao Tse lo avvolge nella nuvola del “
mistero del mistero”, e dentro la “porta di tutti gli arcani” (TaoTC, cap. I). (3)  

L’Uno, il Due, il Tre
Nel (TaoTC, cap. XLII) si legge questo processo formatore del cosmo: “
Il Tao generò l'Uno, l'Uno generò il Due, il Due generò il Tre, il Tre generò le diecimila creature. Le creature voltano le spalle allo Yin e volgono il volto allo Yang, il Ch'i infuso le rende armoniose”.
L’Uno generato da Tao è il Caos. Il Due generato dall’Uno, che ha presente come costitutivo il , è lo Yin e lo Yang. Il Tre generato dal Caos per mezzo dello Yin-Yiang è il Cielo-Terra. Il Tre generò le “
diecimila creature”, tra le quali l’uomo.
Il ch’i (Qì) infuso” è l’energia che sorregge lo Yin-Yang facendo sì che le “diecimila creature” siano in armonia. “E’ infuso”, perché è dentro la bipolarità Yin-Yang.
Le cose prodotte volgono le spalle allo Yin e si volgono allo Yang, poiché scaturiscono dalla “
porta della misteriosa femmina” (TaoTC, cap, VI), che segna l’uscita delle cose dal Caos, per opera dello Yin e dello Yang. Le cose voltano le spalle allo Yin e volgono il volto allo Yang. Il femminile è Yin e tende al maschile Yang. Lo Yang ha, tuttavia, in sé un germe di Yin e lo Yin ha un germe di Yang, così che si ha Yin verso lo Yang, ma dallo Yang si ritorna allo Yin.
L’emblema taoista dello Yin-Yang pone nel bianco un punto nero e nel nero un punto bianco. Il che dice che in entrambi c’è un germe dell’opposto, e quindi una connessione complementare. La notte (Yin) tende al giorno (Yang) dalla forza del sole, ma poi il giorno ritorna alla notte. Il freddo (Yin) tende al caldo con la forza del fuoco, ma poi il caldo ritorna al freddo (Yang).
(4)

Il Tao che può essere nominato e che non può essere nominato
Il Tao è il Principio del Caos ed è il Principio dell’ordine formato dal Caos. (TaoTC, cap, I): “Senza nome è il Principio del Cielo e della Terra”. (TaoTC, cap. LII): “Il mondo ebbe un principio che fu la madre del mondo”. Il Principio del mondo è il Tao, “che fu la madre del mondo”, che è la “femmina misteriosa”, che agisce con il non agire (TaoTC, cap, VI: “La porta della misteriosa femmina è la scaturigine del Cielo e della Terra”.
Dall’azione del Tao nel Caos con lo Yin Yang procede il Tao che può essere nominato, cioè il Tao connesso alla realtà cosmica visibile. il Tao che non può essere nominato è lo stesso che può essere nominato, ma è “l’eterno” in quanto fuori dal tempo cosmico, tempo che procede all’infinito. Tao (TaoTC, cap, I): “Il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao, il nome che può essere nominato non è l'eterno nome”.
(TaoTC, cap I): “Senza nome è il principio del Cielo e della Terra, quando ha nome è la madre delle diecimila creature (esseri innumerevoli)”. Il Tao non ha nome quale principio del Cielo e della Terra. Quando ha nome, è Cielo-Terra ed è la madre delle “diecimila creature”, cioè tutto ciò che è tra il Cielo e la Terra.
(TaoTC, cap.I): “Senza nome è il principio del Cielo e della Terra, quando ha nome è la madre delle diecimila creature (…). Quei due (Cielo e Terra) hanno la stessa estrazione anche se diverso nome ed insieme sono detti mistero, mistero del mistero, porta di tutti gli arcani”.
(TaoTC, cap. XXXII): “Il Tao in eterno è senza nome, è grezzo per quanto minimo sia, nessuno al mondo è capace di fargli da ministro. Se principi e sovrani fossero capaci di attenervisi, le diecimila creature da sé si sottometterebbero, il Cielo in mutuo accordo con la Terra farebbe discendere soave rugiada e il popolo, senza alcuno che lo comandi, da sé troverebbe il giusto assetto”.
Il Tao eterno è senza nome perché gli si può dare nome solo da ciò che si vede (TaoTC, cap. I). “E’ grezzo” perché non ha in sé alcuna forma, che scaturirà dal suo completare il Caos diventando il Tao che “ha nome”, tuttavia ha in sé gli “archetipi” (TaoTC, cap, XXI). “Per quanto sia minimo”, Il Tao “ha nome” nelle cose visibili, ma pur in eterno “è senza nome”. In eterno è “minimo” cioè non si impone, ma tuttavia non si può influire su di lui poiché “nessuno al mondo è capace di fargli da ministro”, cioè di dargli consiglio e guida.
Con ciò chi vede il Cielo e la Terra e le diecimila creature vede il Tao, che può essere nominato, ma che tuttavia è anche quello senza nome, definito da Chuang Tzu il “Grande Vuoto” di cose (Chuang Tzu, libro VII, cap. XXII). Il mistico taoista guardando le cose (volta stellata, sole, luna, ecc), cioè il Tao che si può nominare, è preso dalla suggestione del vuoto-pieno: Il pieno immerso nel vuoto; l’essere delle cose nel non-essere delle cose, appunto nel vuoto, che però a rigore non è il nulla, poiché l’indefinibile Tao non è il nulla. (TaoTC, cap II): “Essere e non-essere si danno nascita fra loro”, poiché uno rimanda all’altro. Ne risulta un’esperienza di condizionamento psico-subliminale che presuppone la pratica della virtù del vuoto (TaoTC, cap. XXI ): “Il contenere di chi ha la virtù del vuoto solo al Tao s'adegua”. “Il contenere” (l’energia del Tao) è dato dalla “virtù del vuoto” (vuoto dell’ego, rivolto a raggiungere il risultato del sussistere immortale dello stesso). La “virtù del vuoto” è un sintonizzarsi col Tao. (TaoTC, cap. IV): “Il Tao è vuoto e non è mai pieno”.
Questo testo del (TaoTC, cap. XVI) è di guida per comprendere quanto detto: “Arrivare alla vacuità è il culmine, mantenere la quiete è schiettezza: le diecimila creature insieme sorgono ed io le vedo ritornare a quelle, quando le creature hanno avuto il lor rigoglio ciascuna fa ritorno alla sua radice. Tornare alla radice è quiete, il che vuol dire restituire il mandato, restituire il mandato è eternità. Chi conosce l'eternità è illuminato, chi non la conosce insensatamente provoca sventure. Chi conosce l'eternità tutto abbraccia, tutto abbracciando è equanime, essendo equanime è sovrano, essendo sovrano è Cielo, essendo Cielo è Tao, essendo Tao a lungo dura e per tutta la vita non corre pericolo”. Le “diecimila creature” hanno un corso nel giorno-notte, nella luce-buio, nel caldo-freddo, ecc., sia nelle quattro stagioni, per poi ritornare ai momenti precedenti “a quelle”. Dallo Yin allo Yang, per poi passare dallo Yang allo Yin. Lo Yin è la radice dello Yang e lo Yang è la radice dello Yin. E’ un restituire reciprocamente e eternamente “il mandato”.
La conoscenza di ciò è luce, perché fa vedere l’armonia a cui bisogna adeguarsi per vivere a lungo. “Chi conosce l’eternità tutto abbraccia”, cioè comprende tutto il processo di base che è lo Yin-Yang. Comprendendo tutto è “equanime” cioè non ha sbilanciamenti di valutazione, essendo sovrano delle passioni dell’avere, del potere. Poiché è sovrano è Cielo, cioè in alto, essendo in alto (Cielo) è Tao, perché il Tao sta al vertice e all’origine di tutto.

Il movimento del Tao
(TaoTC, cap. XXV): “Se ne sta solingo senza mutare, ovunque s'aggira senza correr pericolo, si può dire la madre di ciò che è sotto il cielo. Come è silente, come è vacuo! Se ne sta solingo senza mutare, ovunque s'aggira senza correr pericolo, si può dire la madre di ciò che è sotto il cielo. Io non ne conosco il nome e come appellativo lo dico Tao. Ma Io non ne conosco il nome e come appellativo lo dico Tao, sforzandomi a dargli un nome lo dico Grande. Grande ovvero errante, errante ovvero distante, distante ovvero tornante”.
La madre che è sotto il cielo è il Tao che agisce con il nella bipolarità Yin-Yang.
In (Chuang Tzu, libro VII, cap. XXII) si ha che l’inconoscibile Tao non ha limiti al pari degli enti modellati. Modella, partendo dal Caos, gli enti limitati, ma in connubio di relazione con essi, poiché è il limite dell’illimitatezza, cioè il limite è dentro l’illimitatezza, e nel contempo l’illimitatezza è nel limite, poiché il limite trova nell’unione con il Tao l’illimitatezza: “Come è inconoscibile il gran vuoto. Il gran sapiente vi penetra, ma non sa dove abbia limite. Colui che modella le creature non ha i limiti delle creature, eppure modella ciò che ha un limite. E’ detto modellatore dei limiti. Esso è il limite dell’illimitatezza e l’illimitatezza del limite”. Chuang Tzu pensa a un cosmo (pieno) contrapposto al gran Vuoto, cioè il Tao vuoto di cose, che però non è il nulla. (Chuang Tzu, libro I, cap. II): “Il Cielo e la Terra e io viviamo insieme, le diecimila creature ed io siamo l’Uno”. (Chuang Tzu, libro VI, cap. XXII): “Quel che viene detto Tao dove sta? Non v’è nulla in cui non stia”. (Chuang Tzu, libro V, cap. XII): “E’ il Tao che copre e sostiene le diecimila creature. Che immensa grandezza”. (Chuang Tzu, libro VI, cap. XVII): “Nelle creature la dimensione non ha limite, il tempo non ha sosta, la sorte non ha costanza, il principio e la fine non hanno motivo”. “La dimensione non ha limite” vuol dire che il piccolo e il grande sono indifferenti essendo che l’illimitato, nel binomio completante-completato (TaoTC, cap. XXV, vedi sopra), è uno con il limitato, ed è causa delle variazioni del limitato.
E’ sottolineata la mancanza delle cause seconde, immanenti alle cose create. Chi agisce è il Tao; gli effetti sono tanti, ma la causa è il Tao.
Nel (TaoTC, cap. XL) si legge: “Il tornare è il movimento del Tao, la debolezza è quel che adopra il Tao. Le diecimila creature che sono sotto il cielo hanno vita dall'essere, l'essere ha vita dal non-essere”.
Il tornare è il movimento del Tao”, esso si attua nel binomio Yin-Yang. E’ “debolezza” perché non è attività di sforzo, di impeto, ma di armonia.
Si ha un susseguirsi armonico di atti Yin-Yang che percorre tutto del cosmo. “Le diecimila creature hanno vita dall'essere”, cioè dal Cielo-Terra generato dal Tao (TaoTC, cap. XLII). “L'essere ha vita dal non-essere”, cioè dal Tao che è vuoto di cose, e che “perciò non può essere detto”.
La mano prima e ultima che agisce nel cosmo è il Tao.
Lao Tse non considera la realtà delle cose nel loro proprio essere, nella loro natura, che pur vede, ma si ferma sulla loro fenomenologia. Lao Tse è preso dal divenire.
Lo scritto (Liezi, libro I) presenta il movimento del Tao in termini di catena ininterrotta delle produzioni e delle trasformazioni: “C'è un Principio produttore che non è stato prodotto, c'è un Principio trasformatore che non è stato trasformato. Il Principio produttore ha dato inizio al processo di produzione, e non può più non produrre. Il Principio trasformatore non può che continuare a trasformare. Quindi c'è produzione ininterrotta e trasformazione ininterrotta. La catena della produzione costante e della trasformazione costante in nessun momento cessa di funzionare.
Così è con lo Yin e lo Yang, così è con le Quattro Stagion
i”
La fonte delle produzioni e trasformazioni è il Tao, che non in sé non stato prodotto e non è stato trasformato, ma si è autoevoluto e autotrasformato dando origine al Caos. Dal Caos il Cielo-Terra e da essi le “diecimila creature”, soggette al processo delle produzioni e trasformazioni, Tale processo è incessante per il principio di produzione e trasformazione uscito dal Tao, cioè lo Yin-Yang. Le quattro stagioni sono un modulo per le trasformazioni. È un continuo divenire, senza un eschaton, cioè senza un evento finale.

Impersonale e personale, in fluttuazione
Questo testo è illuminante sull’azione del Tao. (TaoTC, cap. XXXIV): “Come è universale il gran Tao! può stare a sinistra come a destra. In esso fidando vengono alla vita le creature ed esso non le rifiuta, l'opera compiuta non chiama sua. Veste e nutre le creature ma non se ne fa signore, esso che sempre non ha può esser nominato Piccolo. Le creature ad esso si volgono ma esso non se ne fa signore, può esser nominato Grande. Poiché giammai chi si fa grande può realizzare la sua grandezza”.
Il Tao non è presentato come un tu di fronte al quale si pone in dialogo l’io dell’uomo, tuttavia, come l’io dell’uomo non può che esistere, come tutti gli uomini immediatamente sanno, così il Tao non appare definitivamente inteso come impersonale, ma è pur, ineludibilmente, inteso come un tu. Le divinità Taoiste sono emanazioni del Tao e sono impersonali, nel senso che seguono il corso cosmico avendone una funzione, ma pur hanno una chiara valenza personale, comprovata dagli inni di glorificazione dello stesso Tao. Il libro liturgico “Tao-tsang” ha varie liturgie di ringraziamento e di richiesta fiduciosa al Tao. A Yu Huang, sovrano supremo del Cielo, capo del pantheon Taoista, si offrono incenso, fiori, candele, e si fanno preghiere per ricevere favori.
Questo è molto importante perché rimane sempre nell’uomo la vocazione all’io-tu con Dio.
(5)
(TaoTC, cap. VII): “Il Cielo è perpetuo e la Terra perenne. La ragione per cui il Cielo può essere perpetuo e la Terra perenne è che non vivono per se stessi: perciò possono vivere a lungo. Per questo il santo pospone la sua persona e la sua persona viene premessa, apparta la sua persona e la sua persona perdura”.
Il Cielo e la Terra sono impersonali, e solo letterariamente sono personali, ma pur qualcosa di personale si intravvede. Cielo e Terra provengono dal Caos, ma hanno il Tao come loro attore poiché “non vivono per se stessi”, cioè sono relativi al Tao, che è uno con loro.
Cielo-Terra sono un riferimento al comportamento del saggio, che deve posporre la sua persona al Tao, affinché la sua persona venga innalzata. Il santo “apparta la sua persona” (il vuoto dell’io, per l’immortalità fisica dello stesso io) per accogliere l’energia , così che la sua persona “perdura”, cioè ha lunga vita e raggiunge l’immortalità di sé.
(TaoTC, cap. V): “Il Cielo e la Terra non usano carità, tengono le diecimila creature per cani di paglia. Il santo non usa carità tiene i cento cognomi per cani di paglia”. Anche in questo passo Il Cielo e la Terra, impersonali, hanno una valenza personale. Le diecimila creature - tra le quali gli uomini - non si trovano perenni davanti al Cielo-Terra, ma sono come “cani di paglia”. I cani di paglia venivano fatti con grande arte per le ritualità funerali e poi venivano distrutti. Le “diecimila creature” soggiacciono al Cielo-Terra: sono, ma sono solo apparizione allo stesso tempo, in un continuo divenire. Ciò è un riferimento comportamentale per il saggio di fronte ai grandi della terra “i cento cognomi”, che sono e non sono, poiché passano come “cani di paglia”. ”Non usano carità” nel senso che il Cielo e la Terra, che sono perenni, non conservano come perenni le “diecimila creature” soggette al perenne Yin-Yang.

Il Cielo-Terra: principio del mondo
(TaoTC, cap, LII): “Il mondo ebbe un principio, che fu la madre del mondo. Chi è pervenuto alla madre da essa conosce il figlio, chi conosce il figlio e torna a conservar la madre, fino alla morte non corre pericolo”.
Il “principio” del mondo è il Cielo-Terra, che è “la madre del mondo”, la quale ha il (“il figlio”), conosciuto da chi “è pervenuto” alla “madre”. Il lo si conosce dal Cielo-Terra, poiché tra i due il agisce nello Yin-Yang. Chi conosce il (lo spirito vitale) nel suo agire Yin-Yang, conserva “la madre”, cioè il suo corpo, che è una delle “diecimila creature”, e quindi ha lunga vita poiché si sintonizza con l’armonia cosmica.
(TaoTC, cap. VII): “Il Cielo è perpetuo e la Terra perenne. La ragione per cui il Cielo può essere perpetuo e la Terra perenne è che non vivono per sé stessi: perciò possono vivere a lungo”.
Il Cielo e la Terra sono perenni, in quanto generati dal Tao e in quanto non si antepongono a lui: “non vivono per se stessi”, poiché il loro essere è il Tao.
(TaoTC, cap. XVI): “Le diecimila creature insieme sorgono ed io le vedo ritornare a quelle, quando le creature hanno avuto il lor rigoglio ciascuna fa ritorno alla sua radice”. Le “diecimila creature insieme sorgono”, cioè tutte sorgono, dove il sorgere equivale ad apparire. “Io le vedo ritornare a quelle”: le piante muoiono finendo nell’indeterminato, ma ritorna a prodursi il determinato, cioè altre piante. I fiumi ritornano ad essere fiumi. Anche l’uomo sorge e poi declina e muore passando così dal determinato all’indeterminato, e poi dall’indeterminato sorge un altro uomo.
C’è una ciclicità di esistenza negli innumerevoli esseri. Tale ciclicità non porta però mai al punto zero della partenza: è un venire e un ritornare, senza che ci sia una fine al punto zero e una nuova ripartenza dal punto zero; è come se ci fosse un lento procedere elicoidale (Chuang Tzu, libro V, cap. XIV): “Non ha coda alla fine né capo all’inizio, ora è morte ora è vita, ora è caduta ora è ascesa, le quali non hanno limite nella loro perpetuità”. (Liezi, libro I): “Non c'è né inizio né fine”. “Il corso dell'evoluzione finisce dove è iniziato, senza un inizio”.
Il corpo dell’uomo non fa eccezione a questo, tuttavia se pratica il Tao (espressione comune TaoTC, cap. XXIV, XXXI, XLI, XLVIII, LXV, LXXVII. Equivale a dire seguire la via, il metodo, il principio, poichè Tao, rimanda a via, metodo, principio) fa germinare in se stesso un corpo immortale. L’immortalità lo sottrae alle “diecimila creature” e lo congiunge al Cielo, che, al pari della Terra, non perisce.

Le due anime e il corpo immortale
(TaoTC, cap. X): “Preserva l'Uno dimorando nelle due anime: sei capace di non farle separare?”.
Preservare l’Uno è preservare la propria unione di essere con il Tao, che è l’Uno. Le due anime sono quella spermatica e quella aerea. Esse restano unite se si pratica il Tao.
L’anima spermatica, materica, è data dal microcosmico connesso al seme maschile, e viene dalla Terra. Oggi il Taoismo si è aggiornato ponendo anche il gamete femminile. L’anima spermatica è il principio dello sviluppo dell’embrione nel grembo materno. Dopo il parto il neonato inizia a respirare aria, e da ciò nasce l’anima aerea che viene dal Cielo. L’uomo viene dal Cielo-Terra. In (Liezi, libro I) si legge: “L’elemento spirituale nell’uomo è assegnato a lui dal Cielo, la sua struttura corporea dalla Terra”.
Nella condizione di purezza delle origini gli uomini veri mantenevano unite le due anime e da ciò la formazione del corpo immortale, immanente a quello mortale.
L’aria per il Taoismo non è solo fonte dell’ossigeno, ma anche del Qi (soffio vitale, energia cosmica, corrispondente al prana dell’induismo e buddhismo). Il Qì respirato, ma anche è presente negli alimenti, è trasmesso ai vari organi del corpo, che già si sono formati per il seminale. Il Qi viene a possedere nei vari organi una pluralità, che ne garantisce la vitalità e la relazione tra di loro. Esiste così il corpo materiale vitalizzato dal Qì.
L’unione delle due anime va conservata nel Tao, perché è la condizione della formazione del corpo etereo, immortale, immanente al corpo mortale. La disunione delle due anime fa fallire la formazione del corpo etereo.
Il corpo (hing) è il luogo che ha in sé stesso la personalità (shen). Lo shen si dissolve col dissolversi del corpo mortale, ma se si è formato quello etereo, immortale, prodotto dall’anima aerea rimasta unita a quella spermatica, lo shen, dopo la morte, rimane unito al corpo eterico, immortale. Giungere al corpo immortale, eterico, è l’obiettivo del Taoista. In (Lieh Tzu, libro II) si fa chiaro riferimento al corpo etereo nel quale rimane lo shen, ovvero l’ego: “L’atmosfera non sosterrà mai una particella del tuo corpo, e anche la terra non sarà uguale al peso di uno dei tuoi arti”.
Se le due anime non sono rimaste unite nel Tao, c’è la dissoluzione completa. Il Taoismo religioso afferma l’esistenza dei demoni (gui), intesi come la deformazione di una persona molto malvagia. Il processo della deformazione è oscuro, ma è un’affermazione della libertà dell’uomo. Il processo potrebbe intendersi avvenuto dopo il conseguimento del corpo etereo, che si deformerebbe in un corpo malvagio con lo shen malvagio. La sorte del gui è di rimanere legato alla Terra e non di andare nel Cielo degli immortali.
L’immortale che raggiunge il Cielo (xian 仙人), ha lo shen non coinvolto nel divenire perenne delle cose. (Chuang Tzu, libro V, cap. XIV): “Non ha coda alla fine né capo all’inizio, ora è morte ora è vita, ora è caduta ora è ascesa, le quali non hanno limite nella loro perpetuità”.
Essa è il superamento della situazione “ora è morte ora è vita”, poiché la morte è esclusa. L’immortalità non può più essere neppure “ora è caduta ora è ascesa”, poiché è ascesa per gli immortali giusti, discesa per i gui.
Fin tanto che si rimane nella vita mortale (Liezi, libro I) si è dentro il flusso delle produzioni e delle trasformazioni cosmiche: “Quelli che lo accompagnavano videro un teschio vecchio di cent’anni, raccolsero un ramo e glielo indicarono. Rivoltosi al discepolo Baifeng, il Maestro disse: ‹Soltanto io e lui sappiamo che non siamo mai nati e che non siamo mai morti. Lo stato in cui si trova lui, vogliamo considerarlo misero? Lo stato in cui ci troviamo noi, vogliamo considerarlo felice? All’interno dei semi c’è l’impulso alla trasformazione›”.
La nascita è il passaggio dall’indeterminato al determinato e la morte è il passaggio dal determinato all’indeterminato. Le trasformazioni trovano il loro impulso dentro il seme. Il seme produce la pianta che muore, la pianta produce il seme per una nuova pianta. Il Taoismo non considera il corpo come una prigione punitiva alla stregua della reincarnazione dell’induismo e del buddhismo, come qui si accenna “
Soltanto io e lui sappiamo che non siamo mai nati e che non siamo mai morti”.
Questo andare oltre il binomio nascita-morte è insito nell’uomo e per questo il Taoismo ricerca il conseguimento dell’immortalità.


L’inazione razionale e la conoscenza mistica

Un passo (Chuang Tzu, libro VII, cap. XXII) afferma che solo l’esperienza mistica, costituita dall’insorgere delle sensazioni subliminali e inconsce, fa conoscere il Tao. ”Questo è il Tao! Allora per comprenderlo perfettamente non ci vuol sapienza, per discernerlo non ci vuol intelligenza: il santo ne fa a meno”.
(TaoTC, cap. V): “Parlar molto e scrutare razionalmente vale meno che mantenersi vuoto”. L'inazione razionale e la conoscenza mistica sono di obbligo di fronte al “mistero del mistero” e alla “porta di tutti gli arcani” (TaoTC, cap.I).
(6)

Lo spirito della valle
(TaoTC, cap. XX): “Lo spirito della valle non muore, è la misteriosa femmina. La porta della misteriosa femmina è la scaturigine del Cielo e della Terra. Perennemente ininterrotto come se esistesse viene usato ma non si stanca”.
Lo spirito della valle” è la modalità con la quale il Tao agisce con lo Yin-Yang, è un agire non agendo, poiché non si ha azione che tocchi l’ordine delle realtà fatte emergere dal Caos. “Lo spirito della valle non muore”, esso è perenne e si attua come “misteriosa femmina”, dal cui grembo viene il Cielo e la Terra, dai quali, poi, le “diecimila creature”.
La “madre che nutre” (TaoTC, cap. XX) ciò che ha generato, cioè il Cielo-Terra e le diecimila creature, è il Tao. Nutre attraverso il Qì immanente nelle cose e operante con la bipolarità Yin-Yang. Il Tao non muta l’impianto armonico del cosmo, ma lo nutre. Il Tao procede con l’agire il non agire. Agisce, ma non sconvolge. Agisce, ma mantiene. Agisce, ma segue ciò che ha stabilito. “Lo spirito della valle” è una modalità perenne che non si stanca, poiché non ha in sé sforzo.
Colui che pratica il Tao, pratica “lo spirito della valle”, facendosi accoglienza, cioè sintonizzandosi con l’armonia del cosmo e operando in modo da non farne violenza, cioè agendo senza agire. Facendo ciò egli non fa ostacolo al Qi che deve crescere di potenza in lui. Essendo maschio e ben consapevole di esserlo si fa accoglienza come femmina (TaoTC, cap. XXVIII: “Chi sa di essere maschio e si mantiene femmina è la forra del mondo, essendo la forra del mondo la virtù mai non si separa da lui ed ei ritorna ad essere un pargolo”. “La forra” è una cavità profonda a pareti verticali. Il santo è “la forra del mondo” perché la virtù, cioè “la virtù del vuoto” (TaoTC, cap. XXI) non trova modo di uscire da lui, se resta “forra”. E’ la “forra del mondo”, in contrapposto a chi non lo è perché non riceve il Qì per la sua vita disarmonica con il cosmo. (TaoTC, cap. LXI): “La femmina sempre vince il maschio con la quiete, poiché chetamente se ne sta sottomessa”. (TaoTC, cap. X): “All’aprirsi e al chiudersi della porta del cielo sei capace di essere femmina?”. La porta del cielo si apre e si chiude con l’alternarsi del nuvoloso e del sereno, della pioggia o della siccità, del freddo o del caldo, seguendo il succedersi delle stagioni (TaoTC, cap. VIII): “Nel muoversi s'adatta alle stagioni”. (L’interpretazione che vuole vedervi l’inspirare e l’espirare è estranea al TaoTC, che non prescrive le tecniche yogiche). Nel (Liezi, libro I) è riportato il medesimo passo sullo spirito della valle:
"Nel libro dell'Imperatore Giallo (Gongsun Xuanyuan …- 2598 a.C. ?) è scritto: ‹Lo spirito della valle non muore; potrebbe essere chiamato il Misterioso Femminile. Il punto di emissione del Misterioso femminile deve essere considerato come la Radice dell'Universo. Sussistente a tutta l’eternità, egli usa la sua forza senza sforzo›". “Egli usa la sua forza senza sforzo”; ciò è l’agire senza agire del Tao.

Agire il non agire
Gli uomini devono attenersi all’agire del Tao, che è il wei wu wei (為無為), “agire il non agire”. Il pensiero è che l’uomo è parte del cosmo e deve muoversi secondo il fluire delle naturalità, che come tali sono armoniche con il cosmo. Il non fare questo crea una disarmonia cosmica sfavorevole all’uomo.
(TaoTC, cap. XXXII): “Le diecimila creature da se stesse si sottometterebbero, il Cielo in mutuo accordo con la Terra farebbe discendere soave rugiada”. Questo pensiero dell’armonia che, violentata, si ribella all’uomo, pone il problema che l’uomo violentando l’armonia che fa capo al Tao, condiziona, domina, il Tao, che così appare personale e non impersonale. Non dovrebbe esserci dominio sul Tao, ma ciò è una contraddizione del panteismo. Se l’uomo violenta l’armonia cosmica dovrebbe essere solo l’uomo a farne le spese, mentre le spese le fa anche il Tao, e ciò è contradditorio con la sua sovranità di azione.
Vero è che quando l’uomo violenta le forze della natura le forze della natura si ribellano all’uomo, ma nella creazione ex nihilo da parte di Dio, non accade mai che la violenza alle cose o al retto vivere umano diventi violenza all’essere di Dio, restando solo le calamità che ricadono sull’uomo. L’infelicità dell’uomo per il Taoismo sta nell’essersi allontanato dall’ordine cosmico, e dunque deve cercare di ritornare a integrarsi nel suo ambito sociale all’armonia cosmica, autoeducandosi a un ritorno alle fonti originarie dell’esistere. La via del Tao è proprio l’agire il non agire, un’espressione taoista che va capita. Il Tao infatti, come già detto, agisce con lo Yin-Yang, ma senza sforzo di mutare l’ordine cosmico da lui stabilito; in questo sta l’agire il non agire.
(TaoTC, cap. II e III): “Il santo permane nel mestiere del non agire”; “Colui che sa non osi agire”; “Egli pratica il non agire”; ecc.

Agire il non agire nel governo dei popoli
(TaoTC, cap. III): “Il governo del santo svuota il cuore al popolo e ne riempie il ventre, ne infiacchisce il volere e ne rafforza le ossa, sempre fa sì che non abbia scienza né brama e che colui che sa non osi agire. Poiché egli pratica il non agire nulla v'è che non sia governato”.
Così il governo dei popoli deve essere improntato a rettificare il popolo svuotandone il cuore dal voler agire, e così si dà abbondanza al popolo “ne riempie il ventre”. Deve infiacchirne il volere dell’agire e così “ne rafforza le ossa”., ecc. (TaoTC, cap. XLVI): “Quando nel mondo vige il Tao i cavalli veloci sono mandati a concimare i campi, quando nel mondo non vige il Tao i cavalli da battaglia vivono ai confini”.
I cavalli veloci non servono più per le azioni veloci degli uomini e possono semplicemente “concimare i campi”. Quelli da battaglia possono vivere tranquilli “ai confini” dei regni, che non sono più da difendere.
(TaoTC, cap. XLIII): “Ciò che v'è di più molle al mondo assoggetta ciò che v'è di più duro al mondo, quel che non ha esistenza penetra là dove non sono interstizi. Da questo so che v'è profitto nel non agire. All'insegnamento non detto, al profitto del non agire, pochi di quelli che sono sotto il cielo arrivano”.
L’insegnamento non detto è scritto nella realtà cosmica.
(TaoTC, cap. XLVIII): “Chi si dedica allo studio ogni dì aggiunge, chi pratica il Tao ogni dì toglie, toglie ed ancor toglie fino ad arrivare al non agire: quando non agisce nulla v'è che non sia fatto. Quei che regge il mondo sempre lo faccia senza imprendere, se poi imprende non è atto a reggere il mondo”.
Il togliere e togliere è il liberarsi da una cultura dell’agire che si è affermata nel tempo e che è la causa dei mali. Solo chi agisce “senza imprendere” è adatto a reggere il mondo, perché segue le naturalità della vita sociale senza alterarla con sete di dominio e possesso.
(Chuang Tzu, libro VII, cap. XXII): “Chi pratica il Tao ogni dì toglie, toglie e ancor più toglie, fino ad arrivare al non agire: Quando non agisce più non c’è più nulla che non sia fatto. Or, se chi governa le creature vuol tornare alla radice, non lo troverà difficile? Solo all’uomo grande è facile”. Come si vede il Taoismo ha un’indole pacifista, quasi anarchica.

Il modello del pargolo
Il modello proposto per ritornare all’origine è quello di un pargolo, tracciato secondo l’ideologia taoista, e non secondo la sua antropologica realtà.
(TaoTC, cap. LV): “Quei che racchiude in sé la pienezza della virtù è paragonabile ad un pargolo (…). Deboli ha l'ossa e molli i muscoli eppur la sua stretta è salda, ancor non sa dell'unione dei sessi eppur tutto si aderge: è la perfezione dell'essenza, tutto il giorno vagisce eppur non diviene fioco: è la perfezione dell'armonia”.
Per il Taoismo l’atto sessuale è un’espressione dello Yin-Yang e perciò, se contenuto e non frequente, che sarebbe causa di dispersione del Qi, ha annesso un potenziamento del Qi. Tuttavia un pargolo “
che non sa dell’unione dei sessi” è in una condizione più alta poiché conserva integra la sua virtù seminale. “Eppur tutto si aderge” poiché possiede grande vitalità, in specifico di crescita, senza conoscere l’apporto vitale sessuale. Tutto questo è palesemente una lettura forzata della realtà di un pargolo, che semplicemente non ha ancora raggiunto la maturità seminale.
Ciò è la “perfezione dell’essenza”. Il santo avrà così come ideale la continenza, come conservazione dell’energia Qì.
La stretta possessiva che il pargolo ha degli oggetti (cucchiaino, pupazzetto, scodellina) è del tutto proporzionale alla sua costituzione fisica, ma Lao Tse vuol dire che la non azione “deboli ossa e molli muscoli”, produce una forte azione. La gola è come se non agisse poiché il vagito non diventa fioco pur emesso tutto il giorno.
Per Lao Tse l’incapacità (il non agire) si traduce in capacità (l’agire).
Anche (Chuang Tzu, libro VIII, cap. XXIII) pone il modello del pargolo: “Il pargolo tutto il giorno vagisce eppure la sua gola non diventa fioca: è la perfezione dell’armonia; tutto il giorno stringe i pugni senza che la sua mano nulla tenga: concentra la sua forza; tutto il giorno guarda senza che i suoi occhi si offuschino: le sue preferenze non stanno all’esterno. Cammina senza sapere dove va, ristà senza sapere ciò che fa, si piega alle cose e si accomuna al loro venire a ondate. Questo è il metodo per salvaguardare la vita. (…). Ti ho chiesto di proposito se sei capace di essere un pargolo. Quando un pargolo si muove non sa quel che fa, quando cammina non sa dove va. La sua persona è come un ramo secco e il suo cuore come cenere spenta. A chi è così non arriva sventura né viene ventura. Se non ha sventura né sventura, come avrebbe le calamità degli uomini?”. Il dettaglio “cuore come cenere spenta”, è importante perché il testo fa derivare la ribellione al fluire Yin-Yang delle cose dal cuore visto come luogo delle passioni (Chuang Tzu, libro VIII, cap. XXIII): “Nessun tiranno è più grande dello Yin e lo Yang: tra Cielo e Terra nulla sfugge ad essi. Però non sono lo Yin e lo Yang che recano danno, ma ve li induce il cuore”.
Sulla scorta di questo ne segue che bisogna vincere le reattività dell’io fin nella loro radice che è il cuore (Chuang Tzu, libro II, cap. V): “Ciò che intendo per non avere passioni è che l’uomo non nuoccia internamente alla sua persona con l’amore e l’odio e segua la spontaneità senza voler prolungare la vita”. “Senza voler prolungare la vita” poiché volerla prolungare è una passione, se non ci sarà questa, la si prolungherà.
Come si vede non si argina l’odio per far trionfare l’amore, ma si combattono entrambi per uno stato di quiete che segua i dettati del fluire della naturalità sociale, che non è in contrapposizione al fluire cosmico. Il disegno che l’uomo deve sentire su di sé è la pratica della naturalità senza concepire un oltre a questo. Le passioni che intercetta nel suo cuore le deve abolire facendo diventare cenere spenta il suo cuore. Ma la cenere spenta non può essere talmente spenta che vengono inibiti anche i dati autenticamente umani come gli affetti che sgorgano spontanei dal cuore umano, eppure deve essere spenta come vuoto dell’io, a cui si accompagna però un recupero dei dati umani come condizione per vivere la naturalità sociale sintonizzata sulla realtà cosmica.
In tal modo il dominio sulle cose, la costituzione di ordini sociali sempre più rivolti al bene comune anche materiale, vengono inibiti. Confucio invece riconosce come primari i dati umani.
Qui risulta una forte contraddizione, sottile, di portata centrale, ed è questa: Un pargolo ama e non odia, vuole crescere, vuole imparare, esplora l’ambiente intorno a sé, esamina le cose, rigetta il dolore, è sensibile all’amore, alle premure, si appassiona a piccoli giochi, e dunque non è quello ideologicamente descritto da Lao Tse e da Chuang Tzu. Il pargolo ama, soffre, desidera, anzi il suo primo strillo è di affermazione di sé, vorrei dire di istintiva ribellione. Tra i due e i quattro anni, ha già moti di gelosia per l’arrivo di una nuova culla. Il cuore di un pargolo non è affatto un cuore di cenere spenta. L’agire secondo il flusso della naturalità cosmica tentando di annullare l’incidenza delle passioni, non può prendere un pargolo a modello. Così il pensiero che gli uomini dell’antichità siano rappresentati dal pargolo, perché non contaminato, non è antropologicamente corretto. Va pur detto che la contaminazione che si può riscontrare nel pargolo, non è da lui personalmente determinata, poiché il pargolo è innocente, ma dalla realtà del peccato originale, ben presentato nella Bibbia. Per i tre mistici filosofi il peccato originale, lo voglio chiamare così, è solo il peccato culturale storicamente accumulatosi.
Il modello di pargolo di Lao Tse e Chuang Tzu è inventato. Gesù prende anche lui dei pargoli e li pone come modelli (Mt 18,3), ma sono pargoli veri, che amano di amore carico di affetto, di fiducia.

L’ineluttabilità
Il Taoismo non misconosce affatto l’agire buono, misericordioso, ma tale agire deve tenere conto dell’ineluttabilità. L’ineluttabilità si ha quando una realtà non può essere rimossa, e non lascia scampo a chi l’affronta, per cui è necessario agire adattandosi alla presenza dell’ineluttabile, senza arrestare il proprio cammino. Si legge (Chuang Tzu. libro VIII, cap. XXIII): “L’ineluttabilità è la via del santo. (,,,) Agire per cause ineluttabili è virtù, agire senza esorbitare da sé è buon ordine: apparentemente sono azioni antitetiche, ma sostanzialmente sono concordanti”. “L’ineluttabilità è la via del santo”, queste parole rimandano al paradigma dell’acqua come regola di comportamento: (TaoTC, cap. VIII: “Il sommo bene è come l'acqua: l'acqua ben giova alle creature e non contende, resta nel posto che gli uomini disdegnano. Per questo è quasi simile al Tao. Nel ristare si adatta al terreno, nel volere s'adatta all'abisso”).
Chuang Tzu avverte però che per vivere non basta adattarsi all’ineluttabile, ma occorre adoperarsi per il conseguimento di finalità, un ”
agire senza esorbitare da sé”. Allora al non agire per ineluttabilità bisogna aggiungere l’agire possibile, compatibile con un non “esorbitare da sé”, che sarebbe porsi in posizione di dominio e di lotta. L’ineluttabile impone una passività, un non agire; il possibile, invece, si inoltra nell’agire, con l’avvertimento di non mai eccedere, e quindi di agire con discrezione, non scontrandosi così con l’ineluttabile, e non uscendo - neppure - dall’alveo della naturalità delle cose e situazioni.
Certamente, a volte, pur avendo, e mantenendo, forti e possibili ideali di impegno, si può fare, nell’ambito momentaneo delle situazioni logistiche, solo “quello che si può fare”, ma il Taoismo presenta la linea “di quello che si può fare” come sistema base, costante, che coinvolge tutta la persona. Tutto si focalizza in un quadro pacifista e rinunciatario, rivolto a un disegno di quiete, di lunga vita, e di conseguimento di una immortalità autogeneratasi.
Biblicamente parlando si ha un rinunciare alla carne per la carne.
Non è vero che sia cuore tranquillo il cuore che si pone al disopra dell’amare e del non amare, come viene detto degli uomini dell’antichità (Chuang Tzu, libro III, cap VI): “Perciò erano gli stessi sia nell’amare sia nel non amare”, poiché quella tranquillitas non è tale, perché rinuncia di sacrificarsi per un cambiamento in meglio di fronte all’arroganza dei potenti. Tale posizione interiore è omologabile all’atarassia (tranquillità) del pensiero stoico greco. L’atarassia stoica produceva sì un amore, ma un amore fatto di fuoco freddo. L’atarassia conosce l’odio, ma mai odio scomposto. Gli uomini risolti, come quelli antichi, sono “gli stessi sia nell’amare sia nel non amare”.
In (Liezi, libro 7) c’è questa affermazione: ”La norma di condotta sta nel proprio sé, la sua prova sta negli altri uomini: siamo spinti ad amare quelli che ci amano e ad odiare quelli che ci odiano. T'ang e Wu hanno amato l'Impero, e quindi ciascuno è diventato Re. Chieh e Chou hanno odiato l'Impero, e quindi sono morti”.
Ognuno pensa di essere amabile per qualche verso, cosicché se non è amato reagisce col non amare; questo è proprio dell’uomo. La norma di condotta è l’amore alla quale l’uomo è sospinto dal proprio sé, ma l’amore dato è condizionato dall’amore ricevuto, in quanto uno pensa di averne diritto in quanto amabile. L’amore ricevuto è la prova che dà il via decisivo all’amore: si ama solo se si è amati (Cf. Mt 5,46-47). L’odio non è norma di condotta, ma l’uomo vi è sospinto, e non può odiare se prima non ha ricevuto la prova di essere odiato; ma qui la prova è facile inventarsela.
T'ang e Wu hanno amato l'Impero, e quindi ciascuno è diventato Re”, infatti i due hanno amato la gente e la gente ha amato loro. Al contrario di “Chieh e Chou” che odiati dalla gente sono stati uccisi.
La norma è l’amare, ma esiste anche il contrario l’odiare: un’affermazione della norma e una negazione della norma. (Chuang Tzu, libro I, cap, II): “L’uomo santo armonizza l’affermazione e la negazione, riposando nello stampo del cielo”. Lo “stampo del cielo” è il Tao, che opera senza sforzo, cioè agisce con il non agire.
Il wei wu wei non è però un mero agire passivo, ma è carico di intenzionalità, di scelta di agire, ma non opponendosi alla naturalità, intesa come alveo naturale dove porre l’agire. Fuori da quell’alveo c’è il disordine. Il punto è tutto nello stabilire l’alveo, il che equivale a dire chi è l’uomo, e che senso ha la sua libertà.
Il comportamento taoista non è segnato dalla sfida al pericolo, ma non è neppure segnato dal non agire mosso dalla paura, è invece quello di agire secondo la natura delle circostanze, cercando il modo di trarle a proprio vantaggio. E’ il wei wu wei (為無為, agire il non agire).
Il Taoista non ha posizioni intransigenti, assolute, ma si adatta come acqua nell’alveo degli avvenimenti, anche in quelli umili, salvo sottrarsi decisamente, senza combattere per mutare le cose. L’immagine dell’acqua che si adatta alle situazioni è molto felice (TaoTC, cap. VIII): “Il sommo bene è come l'acqua: l'acqua ben giova alle creature e non contende, resta nel posto che gli uomini disdegnano. Per questo è quasi simile al Tao. Nel ristare si adatta al terreno, nel volere s'adatta all'abisso, nel donare s'adatta alla carità, nel dire s'adatta alla sincerità, nel correggere s'adatta all'ordine, nel servire s'adatta alla capacità, nel muoversi s'adatta alle stagioni. Proprio perché non contende non viene trovata in colpa”. “Per questo è quasi simile al Tao”, infatti solo “quasi simile” perché il Tao con l’azione Yin-Yang si adatta al costituito, ma il costituito lo ha fissato lui. “Si adatta all’abisso” cioè non si innalza, ma è pronto ad abbassarsi. “Nel donare si adatta alla carità”, ma la carità come una modalità relazionale, non un assoluto come dice la Bibbia (1Gv 4,16). “Nel dire si adatta alla sincerità”, perché nella menzogna non c’è convenienza, a breve o lungo termine. “Nel servire s’adatta alla capacità”, perché non vuole comparire maggiore di ciò che è per non essere troppo caricato di servizio. “Nel correggere si adatta all’ordine”, poiché agirebbe oltre ciò che è consentito e utile.
Se la naturalità è vivere tutelando la carne, evitandole una breve vita, il soffrire, la malattia, ciò è ben poco per l’uomo. Se il vivere i rapporti interpersonali sta nell’opportunità, ciò è ben poco per l’uomo. Se non avesse disegni d’amore da portare avanti anche di fronte all’odio, ciò sarebbe ben poco per l’uomo. E in fondo anche un Taoista, poiché è un uomo, non ci sta a vivere a livello di naturalità, anzi la vuole trascendere quando rivela il suo desiderio di immortalità.
Per il cristiano vivere nella naturalità è mutilare le esigenze più profonde del suo essere. Il cristiano non fugge l’urto del mondo, resta di fronte al dolore. Egli opera, agisce, combatte nella carità e nella verità, con la preghiera, nel contesto sociale anche difficile, per la difesa e l’elevazione dei deboli, degli oppressi. Cristo ha fatto questo, è il maestro di questo.

La “somma carità” contrapposta a Confucio
(Chuang Tzu, libro V, cap. XIV); “Padre e figlio hanno affetto l’uno per l’altro. Come considerarli privi di carità? - Chiedo licenza di interrogare sulla somma carità -. La somma carità non ha affetti. - Ho inteso dire obiettò un primo ministro che chi non ha affetti non ama e chi non ama non è filiale. - Non è così - replicò Chuang tzu - La carità somma è di livello elevato e non certamente basta la pietà filiale per esprimerla. Ciò non significa che non ha attinenza con la pietà filiale (,,,) ‹Per quanto riguarda il rispetto la pietà filiale è facile, è difficile per quanto riguarda l’amore; per quanto riguarda l’amore la pietà filiale è facile, è difficile far sì che i genitori dimentichino noi; far si che i genitori dimentichino noi è facile; è difficile dimenticare pienamente il mondo; dimenticare completamente il mondo è facile, difficile è far sì che il mondo dimentichi completamente noi›. La virtù lascia da parte Yao e Shun senza curarsene, dispensa benefici a diecimila generazioni senza che alcuno nel mondo lo sappia. Perché tirare un gran respiro per parlare di carità e pietà filiale? La sottomissione del fratello minore, la carità, la giustizia, la lealtà, la rettitudine, la purezza, sono incoraggiate affinché servano alla virtù, non meritano di essere esaltate. Perciò ho detto: ‹Per chi ha la somma nobiltà gli alti ranghi del regno sono ciarpame, per chi ha la somma ricchezza i beni del regno sono ciarpame, per chi ha la somma aspirazione la fama e la lode sono ciarpame›. E’ per questo che il Tao è immutabile”.
Il testo riporta uno scontro tra la posizione Taoista e quella Confuciana di un primo ministro dello Stato cinese.
A favore di Confucio va detto che una carità che si ponga sopra o di lato alle relazioni interpersonali non esiste, perché non ha modo di esistere, vivendo nella e della interpersonalità. Vero è che gli affetti sono spesso mutevoli, ma ciò non giustifica che la cosiddetta “somma carità” non debba avere affetti. E’ vero che i genitori, in quanto genitori, non dimenticano facilmente i loro figli, sarebbero solo genitori snaturati. E’ vero che per i figli è facile con l’ingratitudine, l’egoismo, far sì che i genitori li dimentichino. Vero che il rispetto ai genitori è facile quando è formale, ed è difficile quando è amore che richiede l’accettazione dei disagi. Ma la “somma carità” è avvolta dal muro dell’imperturbabilità che diserta il patire.
Una “somma carità”, che ama di benevolenza universale, ponendosi nello stesso tempo oltre tutti, non è quella che gioisce con chi gioisce, e che soffre con chi soffre (Rm 12.15). La vera carità non “lascia da parte Yao e Shun senza curarsene”. Certo, la “somma carità” vuole dispensare “benefici a diecimila generazioni senza che alcuno nel mondo lo sappia”. La benevolenza universale o compassione universale, dà benefici agli indigenti, e in questo gesto di servizio si ravvisa umiltà, come è umiltà il non cercare fama e lode, ma ciò non può significare mai un ritirarsi, un non esporsi di fronte all’ingiustizia, perché in tal modo non si ha vera umiltà, vero servizio. Tale umiltà è solo un concedersi, che non è umiltà né carità secondo quanto insegna Cristo, che non si è concesso, ma si è dato, abbracciando la condizione umana, fino ad essere fedele anche di fronte alla morte e alla morte di croce.
La sottomissione del fratello minore, la carità, la giustizia, la lealtà, la rettitudine, la purezza, sono incoraggiate affinché servano alla virtù, non meritano di essere esaltate”. Le virtù confuciane, secondo Chuang Tzu, non vanno esaltate perché implicano la lealtà, la giustizia, la carità, le virtù sulle quali fa leva il potere per legare a sé gli uomini, chiedendo sacrifici per un ideale falso. Tali virtù vanno però incoraggiate, dice Chuang Tzu, perché sono pur necessarie al vivere sociale degli uomini. Tali virtù confuciane devono però essere rilette e guidate dalla virtù, che è la pratica del Tao, del seguire la naturalità cosmica: l’agire senza agire. Comunque il riconoscimento di Chuang Tzu dei valori confuciani, come modi di vita, non è di poco conto e verrà accolto dall’influente medico taoista Hung Lao nel II sec. d.C., e dall’altrettanto influente taoista Ge Hong (280-340 d.C), ammorbidendo così di non poco la posizione nei confronti dei governi costituiti.
C’è del disprezzo nelle parole di Chuang Tzu circa “gli alti ranghi del regno”. Sarà da deplorare il comportamento di tanti, ma non bisogna dimenticare che l’umanità è una società ordinata e non anarchica. La “somma nobiltà” non sta nel disprezzare i ruoli umani come “ciarpame” (salvo una traduzione più morbida, ma che non cambierebbe la sostanza), ma sta nel viverli nella lealtà pronta al sacrificio, nella luce di ideali di verità e di carità. I ruoli umani interessavano anche ai Taoisti - non se ne può fare a meno -, ma li pensavano solo all’interno di gruppi perfetti (TaoTC, cap. LXVII): “Perciò posso esser capo degli strumenti perfetti”.
La Bibbia non conosce l’amore senza coinvolgimento, e perciò freddo. Non conosce un amore che di fronte al disagio dell’odio si ritiri in una sfera di imperturbabilità. (Ct 8,6): “Forte come la morte è l’amore, tenace come il regno dei morti è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma divina! Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo”. L’amore è fuoco che regge di fronte all’odio, perché rimane amore, sempre; amore che si coinvolge e che perciò è passione, nel senso più nobile della parola.
(Gv 15,13): “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”, e Gesù non ha chiamato nessuno suo nemico, pur avendo tanti nemici, e ha amato sino alla fine, dando la sua vita, e Gesù amava la vita.
Dove dunque la pace del cuore per chi ama, per chi non pone un vuoto, una distanza, con l’amore? Proprio dall’amare con amore, che sa donarsi, viene la pace che è sintonia con le voci più profonde dell’essere umano, fatto a immagine e somiglianza con Dio, che è Amore (1Gv 4,8).
La carità portata da Cristo non nega gli affetti, non li mette a lato, ma li purifica e li eleva a novità di vita.
(7)

Le tre cose preziose
(TaoTC, cap. LXVII): “Io ho tre cose preziose che mi tengo ben strette e custodisco: la prima è la misericordia, la seconda è la parsimonia, la terza è il non ardire d'esser primo nel mondo. Sono misericordioso e perciò posso essere intrepido, sono parsimonioso e perciò posso essere generoso. Oggi si è intrepidi trascurando la misericordia, si è generosi trascurando la parsimonia, si è primi trascurando di posporsi. È la morte! Chi è misericordioso nel guerreggiare è vittorioso, nel difendere è saldo”.
Questo passo presenta il nucleo del comportamento presentato da Lao Tse.
Sono misericordioso e perciò posso essere intrepido”. L’essere misericordioso, parte da una benevolenza universale, panorarmica, scissa dalla concretezza, capace di scendere a concretezza nel movente di non subire reazioni ostili, ma creando consensi, per un ritorno di utilità a sé. Con l’utile della sicurezza si può essere intrepidi nelle situazioni difficili, senza correre rischio.
La misericordia verso il vinto è poi moderazione, e il proposito di moderazione fa sperare che il vinto accetti di essere stato vinto, vedendo in questo addirittura un utile.
Sono parsimonioso e perciò posso essere generoso”. C’è una positiva nota caritativa in questo sottrarsi qualcosa aprendosi alla generosità (TaoTC, cap. LXXVII): “Chi è capace di donare al mondo ciò che ha in eccedenza? Solo colui che pratica il Tao”. L’opposto (TaoTC, cap. LXXVII): “Non è così la via dell'uomo: ei diminuisce a chi non ha a sufficienza per donare a chi ha in eccedenza”.
L’essere parsimonioso è un astenersi dall’accumulare. Tale agire parsimonioso dà la possibilità della generosità; ma l’altruismo, che è un non agire per sé, porta con sé un’aspettativa di ringraziamento, di gratitudine, così il non agire per sé diventa un agire per sé. Il premio dell’azione buona diventa poi il movente per un’altra azione buona. Tutto il processo è compromesso di fronte all’ingratitudine del bisognoso, che pur rimane bisognoso; per superare questo bisogna avere una morale nuova alla Terra: quella di Cristo.
Non ardisco d'esser primo nel mondo e perciò posso esser capo degli strumenti perfetti”. Il volere farsi strada - ardire - per emergere quale “primo nel mondo” causa sforzo, voglia di potere, ambizione, che fa fallire il compito di essere “capo degli strumenti perfetti”, cioè di uomini saggi, poiché non si sarà accettati da essi, che non vogliono chi coltivi la sete di potere.
Oggi si è intrepidi trascurando la misericordia”. E’ il quadro della situazione contemporanea di Lao Tse. Si è intrepidi, ma nel senso di violenti, imperiosi, crudeli, efferati, per conquistare il potere.
Si è generosi trascurando la parsimonia”. E’ la ricerca di consensi con promesse vuote, senza compimento, poiché mancando la parsimonia non si può dare quanto si promette. E’ quello che fanno i sovrani per illudere i popoli.
Si è primi trascurando di posporsi. E’ la morte!”. Cercare il successo, voler essere i primi, anche con la violenza, fa giungere alla morte. (TaoTC, cap. LXII): “Quelli che fan violenza non muoiono di morte naturale”.
Chi è misericordioso nel guerreggiare è vittorioso”. L’essere spietati, terroristi, comporta prima o poi la ribellione, la rovina. Chi invece combatte senza infierire è vittorioso, perché l’avversario gli si sottomette, senza sentirsi schiacciato, anzi rispettato nella sua dignità.
Chi è misericordioso (…), nel difendere è saldo”. Il misericordioso, cerca gli accordi, è capace di concedere, e perciò non dà motivi per essere ribaltato dalla sua posizione. Non seguire l’impeto di chi vuol dominare per garantirsi la propria sicurezza è la garanzia della propria sicurezza. L’obiettivo di questo agire è quello di una lunga vita, ottenuta piegandosi di fronte all’ineluttabile e agendo nell’ambito del possibile.
(TaoTC, cap. LXXXI): “Il vero saggio per sé non provvede: se si spende negli altri, per sé acquista; e, più dona, più ottiene per se stesso. La Via del cielo aiuta, non fa danni; la Via del saggio agisce senza lotta”. Tutto ciò è saggezza e prudenza, ma il suo orientamento è ispirato ad ottenere imperturbabilità personale, e creare negli altri dei debiti morali dei quali avvantaggiarsi. La distruzione taoista dell’ego finisce per essere l’affermazione di un super ego. Il non agire si traduce in un vantaggioso agire nel dedalo delle circostanze.

Il timore della morte
Tao Tse non misconosce il timore della morte. (TaoTC, cap. LXXV): “Il popolo dà poca importanza alla morte perché chi sta sopra cerca l'intensità della vita: ecco perché dà poca importanza alla morte”. L’esempio dei potenti, che non considerano, la morte contagia i popoli. La morte è un dato naturale e Lao Tse vuole che la si guardi senza drammi, tuttavia il timore per la morte è importante (TaoTC, cap. LXXX: “Tema la morte”), perché preserva dall’esporsi a pericoli. Il timore della morte non si trova però solo sul piano della conservazione del corpo, ma anche sul piano del proprio esistere oltre la morte. Il timore della morte diventa così una spinta per cercare di conseguire l’immortalità, come l’avevano gli antichi saggi.
Persa la saggezza, cioè la pratica del Tao, subentrò il fallimento della “via dell’uomo” (TaoTC, cap. LXXVII). Con ciò è messa in evidenza la libertà. Il passaggio dalla Via dell’uomo a quella del Cielo, avviene per un atto di libertà, ma si attua per intervento del Cielo. (TaoTC, cap. LXVII: “Quei che il cielo vuol salvare”), nel senso che sul rinnovato fanciullo agisce potentemente il , essendo il volere dell’uomo collimato con i dettati cosmici.
Lao Tse non si è interrogato da dove procede all’uomo la libertà di rifiutare (TaoTC, cap. IX) “La Via del cielo” per seguire “La Via degli uomini”. Poteva essere un interrogativo su cui applicarsi a fondo e con risultati filosofici, ma preferì rimettere tutto nella nuvola del “mistero dei misteri” e oltre la “porta di tutti gli arcani”.
Altro passo importante sulla morte in rapporto alla vita lo si trova in (Liezi, libro I): ”Se si considera il rapporto fra la morte e la vita, si vede che è come un andare e un tornare. Pertanto come faccio a sapere che quando muoio qui non nasco altrove? Come faccio a sapere che morte e nascita non si equivalgono? E ancora: come faccio a sapere che il continuo dolersi per la morte e il continuo affannarsi per la vita non sono che illusione? Come faccio a sapere che la morte che mi viene incontro oggi non è qualcosa di meglio della vita che mi è stata data allora?”.
L’intento di queste parole è produrre un’equidistanza tra il pensiero della nascita e della morte affinché non ci sia turbamento per il fluire vita-morte stabilito dal Tao. Tale accettazione porta alla quiete, alla longevità e all’immortalità. Liezi presenta la reincarnazione solo come ipotesi dialettica per affermare che una rinascita nulla cambierebbe della situazione nascita-morte dell’uomo, e del resto non si potrebbe sapere l’antecedente vita di tale rinascita, così da tenerne conto. Il pensiero della reincarnazione è indubbiamente conosciuto, ma per il Taoista non ne esiste la possibilità poiché lo shen non è una realtà indipendente dal corpo. Il Taoista non ha una considerazione pessimistica del corpo come l’induista e il buddhista, ma all’opposto, considera il corpo come il luogo dove si attua la sua immortalità.

Il corpo etereo, immortale
(TaoTC, cap. L): “Uscire è vivere, entrare è morire. Seguaci della vita sono tre su dieci, seguaci della morte sono tre su dieci, gli uomini che la vita tramutano in disposizione alla morte son pur essi tre su dieci. Per qual motivo? Perché vivono l'intensità della vita. Or io ho appreso che chi ben nutre la vita va per deserti senza incontrar rinoceronti e tigri, va tra gli eserciti senza indossar corazza e arme: il rinoceronte non ha dove infilzare il corno, la tigre non ha dove affondar l'artiglio, il guerriero non ha dove immergere la spada. Per qual motivo? Perché costui non ha disposizione alla morte”.
Uscire è vivere, entrare è morire”. Uscire dall’indeterminato è vivere, entrare nell’indeterminato è morire.
Seguaci della vita sono tre su dieci”, sono quelli che si adoperano per perseguire l’immortalità, cioè quelli che nutrono bene la loro vita. La formula “tre su dieci” non ha valore percentuale.
Seguaci della morte sono tre su dieci”, sono quelli che hanno vita breve perché non cercano l’immortalità. Chi pratica il Tao invece allunga la vita. (TaoTC, cap. XVI): “Essendo Tao a lungo dura e per tutta la vita non corre pericolo”.
Gli uomini che la vita tramutano in disposizione alla morte son pur essi tre su dieci”. Sono coloro che pur cercando di allungare la vita, attaccati smodatamente ad essa, non hanno nessuna vita dopo la morte, poiché non hanno praticato il Tao. “Or io ho appreso che chi ben nutre la vita”. Il ben nutrire la vita avviene con la pratica del Tao. E’ nutrire la vita quando la nascita e la morte sono presi come fatti naturali in modo tale che non ci sia la brama di allungare la vita, la vita che viene nutrita è la formazione del corpo etereo immanente a quello di ossa e di carne.
Va per deserti senza incontrar rinoceronti e tigri (,,,)”. La disposizione alla morte non è solo noncuranza della morte quale evento naturale ineludibile, ma anche della disposizione nella pratica del Tao, che è il sintonizzare il microcosmo del proprio sé con il macrocosmo, affinché con l’immissione del Qi si formi un impalpabile corpo eterico immortale. Di fronte a tale corpo etereo, le belve, anche se uccidono il corpo di carne, non hanno dove “infilzare il corno”, “affondar l’artiglio”, e il guerriero dove “immergere la spada”.
(TaoTC, cap. XXXIII): “A lungo dura chi non si diparte dal suo stato, ha vita perenne quello che muore ma non perisce”.
Lo stesso si trova in (TaoTC, cap. LV): “Quei che racchiude in sé la pienezza della virtù è paragonabile ad un pargolo, che velenosi insetti e serpi non attoscano, belve feroci non artigliano, uccelli rapaci non adunghiano”. Il pargolo è preso a paragone di colui che ha la pienezza della virtù, e la pienezza della virtù è praticare il Tao.
l soggetto che “velenosi insetti e serpi…”, è così non il pargolo, ma colui che si è reso pargolo. L’uomo che ha la “pienezza della virtù” è afferrabile dalla morte solo quanto il corpo di carne, ma non è afferrabile in quello etereo, immortale.
Non si ha che un pargolo sia già immortale. Il pargolo è solo nella condizione ottimale di partenza per diventare immortale. Così gli uomini saggi antichi erano nella condizione di diventare immortali, praticando il Tao, ma non erano di per sé già immortali. L’immortalità è una conquista, che per l’uomo, condizionato dalla cultura del potere e dell’avere, passa attraverso il ritornare pargolo, o meglio essere come un pargolo. (Chuang tzu, libro VII, cap. XXII): “Chi pratica il Tao ogni dì toglie, toglie e ancor più toglie, fini ad arrivare al non agire; quando non agisce nulla v’è che non sia fatto”.
Altro testo che presenta il dato della formazione del corpo immortale è questo (TaoTC, cap. LXX): “Per questo il santo indossa rozze vesti e cela nel seno la giada”. All’austerità delle rozze vesti si contrappone la preziosità della giada. La giada era un pietra preziosa che si credeva proteggesse il corpo dalla decomposizione. Questo versetto indica che il santo ha in sé “cela nel seno” il principio dell’immortalità. Nella tradizione Taoista si parla che il corpo di carne e ossa viene trasformato in giada (carne) e oro (ossa).
Nel testo (Liezi, libro II), Lie Yukou, a cui è attribuita la formazione presso Lao Tse, si descrive un’uscita dal corpo con il corpo etereo: “Non c'era distinzione tra occhio e orecchio, orecchio e naso, naso e bocca: erano tutti uguali. La mia mente era congelata, il mio corpo si rarefece; le mie ossa e la mia carne si fondevano insieme. Ero del tutto inconsapevole di ciò su cui il mio corpo stava seduto o su cosa c'era sotto i miei piedi. Preso dal vento partii verso l’est, verso l’ovest, in tutte le direzioni, come paglia secca o foglie che cadono da un albero. In effetti, non sapevo se era il vento che mi sollevava, o se ero io che ero a cavalcioni del vento”.
Nel testo (Chuang Tzu, libro I, cap. I) si legge: “Lich-tzu viaggiava montando i venti con indifferente virtuosità e ritornava dopo 15 giorni”. Chiaro che quindici giorni in trance sono solo la percezione che il soggetto ha avuto nello stato medianico.
(Chuang Tzu, libro I, cap, II): “L’uomo sommo è sovrannaturale. Le grandi paludi che andassero a fuoco non potrebbero fargli sentir caldo, il Ho e il Han che gelassero non potrebbero fargli sentire freddo, un tuono improvviso che spaccasse le montagne e un vento che sconvolgesse il mare non potrebbero spaventarlo. Chi è così viaggia al di là dei quattro mari montando le nubi e l’aria, cavalcando il sole e la luna. Vita e morte non producono alcuna alterazione in lui”. Il testo è chiaro, colui che ha formato in sé il corpo etereo vive in una realtà che è aldilà della vita e della morte. La vita mortale non lo condiziona e la morte non lo sopprime.
Il corpo immortale rimane una volta che il corpo mortale non abbia più vita. Così il corpo immortale ha in sé la personalità (shen). Il corpo immortale è rapportabile al corpo eterico o perispirito dello spiritismo (Allan Kardec), con la differenza che nello spiritismo è presentato come un dato connesso alla reincarnazione, e non come una conquista. Il corpo immortale è una nozione che il Taoismo ha derivato con elaborazione propria a partire dalle esperienze delle uscite dal corpo dello sciamanesimo cinese, dove mancava l’ideologia della reicarnazione.

Le tecniche yogiche e alchemiche per la lunga vita e l’immortalità
(Chuang Tzu, libro VI, cap. XV): “Chi soffiando ora con forza ora con dolcezza, espira e aspira, espelle l’aria viziata e assorbe l’aria pura, si appende come un orso e si stira come fa l’uccello, cerca solo la longevità. E’ questo l’ideale di coloro che vogliono nutrire il proprio corpo stendendolo e contraendolo. (…) Chi raggiunge un’età avanzata pur senza stendere e contrarre il suo corpo, dimentica tutto e possiede tutto. E’ pacifico e immenso. Riunisce in sé tutte le perfezioni del mondo. In lui risiede la via del Cielo e della Terra, la virtù dell'uomo santo”.
La “via del Cielo e della Terra” è la via del sintonizzarsi con l’armonia cosmica. L’uomo saggio “dimentica tutto”, cioè svuota il suo cuore dalle passioni, dagli affanni, così che “possiede tutto”, cioè lunga vita e immortalità.
Gli esercizi ginnici, le apnee prolungate, per diffondete il Qì in tutte le parti del corpo non sono apprezzati da Chuang Tzu, che non cade in contraddizione dicendo, circa gli antichi (Libro III, cap. VI): ”Il loro respiro era lungo e profondo: il respiro dell’uomo vero proviene dai talloni, quello della moltitudine degli uomini proviene dalla gola. Chi fa così sembra che abbia la gola strozzata”. Infatti, Chuang Tzu non intende far primeggiare la respirazione diaframmatica o addominale sulla respirazione toracica, ma quella calma e profonda, data dalla tranquillitas degli antichi. Essa coinvolgeva tutto il corpo nutrendolo di Qì fino al punto più lontano: i talloni (Una traduzione possibile è: “La loro respirazione calma e profonda penetrava il loro organismo fino ai talloni”; E.delleR, ed. Vallecchi, vol V, col. 1637). Al contrario la non tranquillitas della moltitudine degli uomini è come se il si fermasse alla gola, sì da farla sembrare strozzata.
Così, chi diventa longevo e immortale è (TaoTC, cap. L) “Chi ben nutre la vita” praticando il Tao; (TaoTC, cap. XVI): “Essendo Tao a lungo dura e per tutta la vita non corre pericolo”.
L’allungamento della vita e l’immortalità erano posti come una conseguenza della imperturbabilità anche di fronte al pensiero della morte, poiché la nascita e la morte sono due eventi naturali.
Il pensiero della morte è tuttavia un pensiero impellente dell’uomo, come lo è il desiderio di una lunga vita. Facile, così, mettere in campo gli insegnamenti della medicina cinese. Così, all’inizio del (II sec. a.C.) un medico, Huang Lao, cominciò a cercare un accordo tra il Tao Te Ching e gli insegnamenti dell’arte medica di Huangdi, considerato il fondatore della medicina cinese. Huang Lao, pur taoista, cercava anche di sostenere il governo degli Zhou, dando così importanza ai valori confuciani. Nel (200 a.C.), il medico taoista Hua Tuo diede vita a un procedere salutista che includeva quello che Lao Tse e Chuang Tzu avevano messo da parte circa la respirazione, cioè il controllo della respirazione unito all’esercizio delle posizioni del corpo: allungare gli arti e i lombi, muovere i muscoli dell’addome, cioè esercizi yogici
Una svolta importante la diede Ge Hong (280 - 340 d.C,), taoista, uomo di cultura e alchimista, autore del testo chiamato “Baopuzi” (Maestro che abbraccia la semplicità). Egli affermò che sia Lao Tse, sia Chuang Tzu avevano “volato troppo in alto” circa il raggiungimento della longevità e dell’immortalità. Bisognava percorrere vie più agevoli.
In sintonia con l’apprezzamento - non entusiasta - di Chuang Tzu sul valore delle virtù confuciane, Ge Hong, le presentò fortemente importanti nella vita sociale e anche come una componente per ottenere l’immortalità. Non fu uno spostamento da poco.
Circa il conseguimento dell’immortalità, cioè della formazione di un corpo etereo, Ge Hong, propose l’uso di droghe minerali di significato alchemico. Gli elementi erano il cinabro, risigallo, malachite, zolfo, mica, salnitro, orpimento. Le droghe o elisir di immortalità erano segrete e venivano presentate come rivelate da divinità. Era questa l’alchimia esterna (waidan). L’uso doveva essere sapiente perché poteva portare all’avvelenamento, come di fatto avveniva. Questi minerali furono caricati di simbolismo alchemico.
Accanto all’alchimia esterna, nel Taoismo si trova l’alchimia interna (neidan) fondata su percorsi meditativi, e esercizi yogici, includenti l’impalcatura complessa, quanto fittizia, dei chakra, quali punti di ingresso del .
La scuola del “Shangqing(Suprema Purezza), sorta verso la fine del IV secolo, il cui testo principale è il “Dadong Zhenjing” (Scritto autentico del grande Dong) pose le tecniche di immortalità, prettamente fisiche, in secondo piano, ponendo invece tutta l’attenzione sui percorsi meditativi.

L’aldilà
(Chuang Tzu, libro I, cap. I): “Sul monte Miao-ku yeh (variante; Isole di Kou-che) dimorano gli uomini trascendenti, bianchi come la neve, con pelle giovane, gentili e riservati come fanciulli. Non mangiano i cinque cereali, ma aspirano il vento e bevono la rugiada. Vagano al di là dei quattro mari montando le nubi e i vapori e guidando i draghi volanti (…). Concentrando i loro poteri trascendenti fanno sì che gli uomini sfuggano a malanni e pestilenze, e che le messi maturino ogni anno (…). Tali uomini trascendenti, con i loro poteri abbracciano le diecimila creature come se nulla fosse. Quando le generazioni implorano d’essere ricondotte all’ordine, chi si assume l’incarico di occuparsi di esse? Nulla nuoce a uomini simili; la più grande inondazione che s’alzasse fino al cielo non li sommergerebbe, la più grande siccità che fondesse i metalli e ardesse il suolo e le montagne non li brucerebbe”.
Gli uomini trascendenti, immortali, agiscono con i loro poteri sulle realtà degli uomini, che li invocano nei loro bisogni. Chuang Tzu accoglie chiaramente dei dati della tradizione cinese circa gli antenati. Il Taoismo religioso ha già un chiaro precedente.
(Liezi, libro III); “All'epoca dell’imperatore Mu di Chou, c'era un mago che veniva da un regno nel lontano ovest. Poteva passare attraverso il fuoco e l'acqua, penetrare il metallo e la pietra, ribaltare le montagne e far scorrere i fiumi all'indietro, cambiare posto ai bastioni delle città, sostenersi nell’aria senza cadere, penetrare corpi solidi senza sentirne la resistenza. Non c'era fine all'innumerevole varietà di cambiamenti e trasformazioni che poteva effettuare; e, oltre a cambiare la sua forma esteriore, poteva anche allontanare le preoccupazioni interne degli uomini.
L’imperatore Mu lo riveriva come una divinità e lo serviva come un principe. Predispose per lui una suite di camere spaziose, gli regalò il cibo più delicato e selezionò un certo numero di cantanti per la sua gratificazione. Il mago, tuttavia, condannò la dimora come cattiva, la cucina come scadente e le concubine con cui vivere come troppo brutte. Così King Mu fece erigere un nuovo edificio per compiacerlo. Venne costruito interamente in mattoni e legno, e splendidamente decorato in rosso e bianco, nessuna abilità fu risparmiata nella sua costruzione. I cinque tesori reali erano vuoti quando il nuovo edificio fu completato. Era alto quasi mille metri, sovrastato dal monte Chung-nan, e si chiamava Touch-the-sky Pavilion. Poi l’imperatore provvide a riempirlo di ragazze, selezionate da Chêng e Wei, della bellezza più squisita e delicata (…). Il mago non poteva rifiutarsi di prendere la sua dimora in questo palazzo di delizie. Ma non si fermò lì molto prima di invitare l’imperatore ad accompagnarlo in una gita. Così l’imperatore strinse la manica del mago e salì sempre più in alto nel cielo, finché si fermarono. Ed ecco, avevano raggiunto il palazzo del mago. Questo palazzo era stato costruito con travi di oro e argento e incrostato di perle e giada. Torreggiava in alto sopra la regione dei nembi piovosi, senza che le fondamenta apparissero. Alla vista sembrava come la massa di una stupenda nuvola. Le cose e i suoni che offriva agli occhi e alle orecchie, i profumi e i sapori che abbondavano lì, erano tali che non esistevano nel mondo dei mortali. L’imperatore comprese che era nelle Sale del Paradiso, e che stava ascoltando la potente musica delle sfere celesti. Guardò il suo palazzo sulla terra sottostante, e gli sembrò non meglio di un rozzo mucchio di zolle in un sottobosco.
Sembrava all’imperatore come se la sua permanenza in quel luogo fosse durata per diversi decenni, durante i quali non aveva pensato al suo regno. Allora il mago lo invitò a fare un altro viaggio, e nella nuova regione in cui giunsero, né il sole né la luna potevano essere visti nei cieli in alto, né fiumi o mari in basso. Gli occhi dell’imperatore erano storditi dalla qualità della luce e perse il potere della visione; le sue orecchie erano stordite dai suoni che lo investivano, e perdeva la facoltà di udire. La struttura delle sue ossa e dei suoi organi interni fu messa fuori uso e rifiutava di funzionare. I suoi pensieri erano in un vortice, il suo intelletto si obnubilò; così pregò il mago di riportarlo indietro. Il mago gli diede una spinta, e l’imperatore provò una sensazione di caduta attraverso lo spazio.
Quando si svegliò alla coscienza, si ritrovò seduto sul suo trono proprio come prima, con gli stessi assistenti attorno a lui. Guardò il vino davanti a sé e vide che era ancora pieno di sedimenti; guardò le vivande e scoprì che non avevano ancora perso la loro freschezza. Chiese da dove venisse, e i suoi attendenti gli dissero che era rimasto seduto tranquillamente lì. Questo ha gettato King Mu in molti pensieri, e passarono tre mesi prima che fosse di nuovo se stesso.
Quindi fece ulteriori indagini e chiese al mago di spiegare cosa fosse successo. ‹Vostra Maestà ed io - rispose il mago - vagavano solo nello spirito, e, naturalmente, i nostri corpi non si muovevano affatto, quale differenza essenziale c'è tra quel palazzo-cielo in cui dimorammo e il palazzo di sua Maestà, tra gli spazi che abbiamo attraversato e il parco di sua Maestà? Sei abituato ad essere permanentemente nel corpo e non riesci a capire di esserne stato fuori›
”.
La narrazione dell’esperienza dell’imperatore Mu di Chuan (Zhuan) (976-922 a.C.) è elaborata dalla leggenda, ma ci dà una descrizione di una salita al mondo celeste.
I poteri del Mago - “Poteva passare attraverso il fuoco e l'acqua, penetrare il metallo e la pietra, ecc". - sono esagerati, ma nel Taoismo, presso alcuni, esistono fenomeni oltre le possibilità umane, come camminare sulle braci, infilzarsi con lunghi spilli, sollevarsi da terra. Poiché tali poteri non sono affatto dell’uomo, la loro causa va ricercata fuori dell’uomo, neppure in un uomo che ha ottenuto il corpo etereo, che ciò non esiste, ma nel Male, nel principe dell’Abisso, il quale con tali fenomeni vuole tenere soggiogati gli uomini. Proprio su questo versante fenomenologico il Taoismo è visto in connessione con lo sciamanesimo. Poteri stregonici, chiamiamoli pure sciamanici o medianici, Satana li ha da sempre messi in campo per depotenziare gli uomini nella ricerca del vero.
Nel viaggio, Mu di Chuan innanzi tutto incontra un cielo, dove c’è uno stupefacente palazzo con grandi sale dette “sale del Paradiso”, piene di piacevolezze. Salendo ancora giunge a una regione di luce, situata oltre l’altezza del sole e della luna. In questa regione l’Imperatore perde le capacità sensoriali, così pure l’intelletto diventa inefficiente. L’imperatore era giunto a una altezza dove luce e suoni erano così intensi da non poterli reggere, significando ciò una regione dove ancora non poteva accedere per una ancora embrionale formazione del corpo etereo. Il mago invece reggeva perché aveva il corpo etereo ben formato. Il testo precisa decisamente che l’imperatore non si era mosso dal suo trono, e che perciò tutto era un’uscita dal corpo. L’imperatore venne invitato a considerare quanto piccolo era il mondo della sua reggia e a desiderare gli splendori e le piacevolezze celesti, e con ciò orientare meglio la sua vita.
Il Paradiso è fatto di Palazzi celesti stupendi, di regioni di luce, di Isole felici, dove vivono gli immortali.
Nel Taoismo che ha subito l’influsso buddhista è previsto l’inferno, che non ha carattere di eternità ma di pena, e che è connesso alla reincarnazione.

La pratica della sessualità
La pratica della sessualità è quella assolutamente normale: Lo Yin è femminile, lo Yang è maschile, ne segue che non c’è accoglienza religiosa per l’omosessualità. Non esiste Yin Yin e Yang Yang.
Alcune scuole hanno delle modalità yogiche per la sessualità, considerate, però, da altre scuole di nessun vantaggio o anche dannose, per cui il fatto centrale sta nella moderazione sessuale come risparmio del , e non tanto come continenza virtuosa, sulla base del pensiero del servizio alla vita.
L’ideale per un Taoista è la continenza. Il mondo monastico richiede il voto di castità espresso a una qualche divinità.
Il voto di castità non è contemporaneo all’apparire del monachesimo Taoista, venne introdotto durante la dinastia Sòng (960-1279), prima c’erano monaci sposati.
Il voto di castità ha motivazioni diversissime da quello cristiano. Nel Taoismo con la castità si intende la conservazione del totale dell’energia posseduta, del Qi. Per il Cristianesimo il voto di castità è un dono di Dio (Mt 19,12) per un amore indiviso a lui, in un’apertura al prossimo tale da dire in Cristo e con Cristo (Liturgia eucaristica; Lc 22,19): “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”.



La vita monastica
La vita monastica Taoista è derivata da quella Buddhista, ma anche dall’ideale di piccoli centri isolati, con lavori agricoli e senza servi.
(TaoTC, cap. LXXX): “Piccoli regni con pochi abitanti: arnesi da lavoro in luogo d'uomini (sian dieci o cento) il popolo non usi. Tema la morte e fuori non emigri. Se anche vi son navigli e vi son carri, il popolo non tenti di salirvi; se anche vi son corazze e vi son armi, mai e poi mai le tiri fuori il popolo. E ritorni ad usar nodi di corda; e trovi gusto in cibi e vesti suoi; ed ami la sua casa, i suoi costumi. Se stati vi vedessero vicini tanto che cani e galli se ne udissero, invecchino così, fino alla morte quei due popoli: senza alcun contatto”.
La vita monastica, essendo vita sociale, impone disciplina e armonizzazione, quindi c’è un superiore e un’obbedienza pratica alle regole che va osservata, ma non si arriva a un voto di obbedienza, sia nel Buddhismo che nel Taoismo. Esiste il voto di povertà e tanti altri voti di comportamento. Presso i monaci della corrente Quanzhen i voti sono dieci, al minimo, e possono arrivare fino a un centinaio. C’è tuttavia la promessa di mantenersi fedeli ai testi sacri; l’adesione di piena fiducia al maestro iniziatico, che, con qualifica personale di esperienza, introduce alla conoscenza dei testi sacri, alla meditazione taoista con la ricerca dell’unione con il macrocosmo, i mantra, le formule per soggiogare gli spiriti, e quant’altro ci possa essere.
Nella vita consacrata cristiana il voto di obbedienza è inteso innanzitutto come vincolo a Dio nella conformità a Cristo povero, casto e obbediente. Nella vita comunitaria i voti sono fatti nelle mani di un superiore che possiede, nello Spirito Santo, un corrispettivo stato di grazia per la conduzione dell’unità fraterna, che ha per centro Cristo. Cristo, non il superiore è il centro della vita fraterna, il superiore è solo un servo di questo.
Il Taoismo in Italia è coordinato dalla Chiesa Taoista d’Italia fondata nel 1993, con sede a Caserta.
Si stima che nel mondo ci siano 400 milioni di Taoisti.


Note
1) Va avvisato, che essendo il Tao Te Ching l’unico scritto di Lao Tse, i detti, che esulano da tale testo, e non sono pochi nel web, sono fake news.
2) In generale si dice che il Taoismo procede da una rivelazione della natura fondata sul Principio assoluto del Tao, per cui tutto si fonda sull’osservazione della natura, come manifestazione del Tao nell’alternarsi dello Yin e dello Yang. Eppure le cose non sono così lineari, nel così detto Taoismo religioso, poiché si danno rivelazioni scritte su aeroliti, su placche d’oro o di giada, oppure su rocce, dentro caverne. La tradizione parla anche di un’apparizione di Lao tse, a Zhang Daoling nel 142 d.C. A tale tradizione si appoggiò il movimento Taoista dei Maestri celesti. Questo movimento ebbe iniziali esisti incerti, riprese vigore dopo il XIV sec. d.C. col nome di “via dei cinque sacchi di riso”, necessari per entrare nel movimento.
Le droghe di immortalità introdotte dal taoista alchimista Ge Hong (280-340 d.C,) si facevano risalire alla comunicazione di divinità.
La tradizione parla anche di apparizioni a Yang Xi (364 d.C e 370 d,C) di un gruppo di perfetti immortali (zhenren), più alti degli immortali comuni (xian). A questi ultimi messaggi (rivelazioni di Shangqing, o Purezza suprema) fece capo il movimento Shangqing. Il movimento dimostra un influsso del buddhismo (reincarnazione) con l’intento di fondere il buddhismo con il Taoismo. Il movimento finì nel XIV sec. d.C.
3) E’ profondamente diverso il discorso biblico e filosofico (Ps 139/138, 1-12: Sap 1,7).
Dio è in cielo in terra e in ogni luogo: Egli è l’immenso” dice il Catechismo di san Pio X. Nello stesso tempo bisogna intendere che non è fisicamente in nessun luogo, poiché la sua trascendenza è assoluta. E’ la presenza per immensità, che riguarda tutto il creato, ma Dio va oltre il creato essendo infinito. E’ in cielo e in terra e in ogni luogo poiché le creature non possono avere e mantenere l’essere autonomamente da Dio, poiché sarebbero Dio, ma rimangono nell’essere per volontà di Dio, che dal nulla le ha create. Non si ha in nulla né panteismo né panenteismo. (“Summa theologica” I, q. 8, a, 1): ”Dio è in tutte le cose, non già come parte di loro essenza, o come una loro qualità accidentale, ma come l’agente è presente alla cosa in cui opera”.
Lo Yin-Yang è guidato dal Tao, ed è Tao, per cui non è dovuto alle cause seconde, che implicano un’autonomia delle cose, create dalla Causa Prima ex nihilo, che è la produzione totale di una cosa. Le cose create hanno un loro essere, una loro natura, e agiscono in base alla loro natura, secondo la generalissima legge causa-effetto, e non pilotate da una mano trascendente e immanente nello stesso tempo.
Il Taoista non si ferma a considerare il perché avvenga una cosa ora, in relazione alle cause passate o presenti, ciò non è oggetto del suo pensiero, e ha una sola risposta: Il Tao.
Lao Tse vedeva bene che il nero di un oggetto non è equiparabile al nero che acquista nella notte, e il bianco di un oggetto non è il bianco che acquista con il giorno. Il nero e il bianco non sono solo colori dati dalla luce, ma rivelatori dell’ essere delle cose. Vedeva che il maschio ha un essere, e non è un astratto maschile, e che la femmina ha un essere, e non è un astratto femminile, tutto questo lo vedeva bene, e non poteva che riconoscerlo, poiché gli stava davanti nella realtà concreta. Lao Tse fu preso, però, dalla fenomenologia delle cose, gli interessò nel suo misticismo panteista il divenire non l’essere, e così il divenire lo affidò al Tao per mezzo dello Yin-Yang, così come l’essere delle cose era inerente al Tao.
L’uomo parte delle “diecimila creature” del cosmo non dovrebbe mai essere al disopra del Tutto, eppure si deve concludere che nell’atto pratico l’uomo ha un dominio sul Tao. In una società statica, agricola, soggetta ai ciclici mutamenti agrari e stagionali poteva risaltare poco il dominio dell’uomo sulle cose, ma oggi appare in maniera ineludibile. Un’esplosione atomica, mettendo le mani sull’energia della materia, che una con il Tao, domina il Tao. Si comprende come Robert Oppenheimer, conoscitore del sanscrito, poco prima dell’esplosione del test Trinity (16/6/1945) poté dire queste parole tratte dal testo induista “Bhagavadgītā” (XI,12): “Se la luce di mille soli | divampasse nel cielo, | sarebbe come | lo splendore dell’Onnipotente”, e poi, durante l’immane esplosione disse, sempre dal “Bhagavadgītā” (XI, 32): "Sono diventato Morte, il distruttore di mondi"; appunto, un dio come Krsna, avatāra di Visnu.
Non esiste affatto nella Bibbia un dominio che l’uomo possa esercitare sulla divinità. E’ scritto (Gn 1,26: “Riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare…”; Ps 8,7: “Gli ha dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi”. L’uomo può aggredire con la sua mano il creato, ma non Dio. Le esplosioni atomiche, gli inquinamenti, la mancanza di tutela del territorio, sono fatti da coloro che (Ap 11,18) “distruggono la terra”, che non rispettano il mandato di custodire il giardino (Gn 2,16), ma con ciò non toccano Dio, poiché è totalmente trascendente il creato.
Il Taoista vede il Tao “che può essere detto” (TaoTC, cap.I), cioè le cose che si vedono, e ciò appaga il suo desiderio di vedere il divino impersonale o la divinità personale. Questo voler contemplare Dio è assolutamente comune agli uomini, ma bisogna ben sapere che le cose indicano certo la potenza, la bellezza di Dio (Sap 13,1.3; Rm 1,19-20), ma non sono neppur parzialmente Dio. Questo voler vedere Dio è la ragione più profonda del panteismo e del panenteismo, che hanno sempre un’intenzione di misticismo. Ma per vedere Dio così come egli è (1Gv 3,2) bisogna accedere alla gloria celeste, ricevendo da Dio quel “lumen gloriae” che innalza l’uomo a una capacità per lui assolutamente irraggiungibile.
4) Altre cosmologie Taoiste. Nel “Libro del principe Huai Nan”, libro di astrologia taoista, del (sec. II a.C.), ma che attinge a fonti antecedenti si ha una cosmogenesi che parte dal Caos, dal quale emerge il Tao, il quale dà poi ordine al Caos ponendo lo Yin e lo Yang.
Lo stesso si ha presso il movimento dei Maestri celesti, fondato da Zhang Daoling nel 142 d.C. Il Tao procede dal Caos per mezzo di tre soffi di entità misteriosa e insondabile: Xuan, l’Oscuro, il Misterioso; Yuan, l’Originale; Shi, il Primordiale. Dal nome dei tre soffi di entità misteriosa si deduce che sono concatenati in sviluppo: prima l’oscuro, poi il Primordiale, poi l’originale, infine si giunge al Tao, da cui ha origine lo Yin e lo Yang.



5) Nel (V sec. d.C.), con il costituirsi del Taoismo in comunità organizzata, saranno decisamente connesse al Tao, quali sue emanazioni, molte divinità dotate di personalità. Al vertice di tutte le emanazioni vennero posti i “Tre Puri” (Yu Ch’ing, che è il Puro Giada; Shang Ch’ing, che è il Puro Superiore; Tai Ch’ing, che è il Puro Supremo). I Tre Puri vennero pensati abitanti i tre cieli formatisi dal frazionamento cosmogonico dell’etere cosmico. Yu Ch’ing, generalmente indicato come Yu Huang (Grande imperatore), risulta la più alta divinità, ed è posto nel cielo più alto, sovrano del pantheon taoista, che si avvicina nelle sue funzioni al Sovrano del Cielo dell’antica religione cinese.
Shang Ch’ing, il Puro Superiore regola l’alternarsi dello Yin-Yang, ed è posto nel secondo cielo. Tai Ch’ing, il Puro Supremo, viene identificato con Lao Tse, rivelatore del Taoismo, ed è posto nel terzo cielo).
C’è nel Taoismo religioso una grande abbondanza di divinità per cui la sistematizzazione di tutto il complesso del divino Taoista è veramente un’impresa.
6) La ragione l’uomo la possiede e la deve esercitare nell’ambito delle sue possibilità di altezze, per giungere a risultati filosoficamente oggettivi. Oltre tali altezze, ci sono le superiori altezze della fede e dell’unione con Dio, dove l’intelletto, già illuminato dalla fede in Colui che ha voluto rivelarsi, entra nell’oscurità della fede, dove l’intelletto è in tale luce abbagliante che per lui diventa oscurità. Parole queste tratte dai mistici cristiani. Scrutare razionalmente il mistero vorrebbe dire scartare la luce della fede, cadendo nel razionalismo.
Lao Tse intende togliere all’uomo non solo la capacità di giungere per via razionale a Dio trascendente e creatore, ma anche l’attitudine razionale di cogliere le ragioni per cui si possa credere fermamente a un messaggio. Il Taoismo si rifugia nell’esperienza mistica e a chi fa osservazioni razionali e ragionevoli gli viene detto che nulla può dire perché non ha l’esperienza mistica dovuta. A ciò però si può opporre subito che se l’uomo la ragione ce l’ha la deve usare per controllare se quanto crede sia credibile.
Il Taoista non può accedere ad avere un maestro se prima non ha avuto un’esperienza mistica di chiamata, ma bisognerà pur controllare su quale fondamento posa tale esperienza.
7) Il grande enunciato di san Tommaso: “Gratia non tollat naturam, sed perficiat” (“Summa theologica” I, q.1, a. 8, ad 2), spesso espresso così: “Gratia non destruit sed supponit et perfecit naturam” poteva essere applicato da Matteo Ricci a Confucio, vedendo nei suoi scritti la presenza di un’etica naturale. San Tommaso nel medesimo punto prosegue: “La sacra dottrina utilizza anche l’autorità dei filosofi dove essi con la ragione naturale valsero a conoscere la verità, come fece san Paolo  (At 17,28)”.


Fonti consultate
Enciclopedia delle Religioni, vol 5, Vallecchi editore, 1973 Firenze.
Enciclopedia Cattolica, ed. Sansoni, 1953 Firenze.
Giles, Lionel, tr. Taoist Teachings from the Book of Lieh Tzu. London: John Murray, 1912.
(Testo in internet): oaks.nvg.org/lieh-tzu.html
Graham, A. C. The Book of Lieh Tzu: A Classic of Tao. Morningside rev. ed. New York: Columbia University Press, 1990.
(Testo in internet): terebess.hu/english/tao/Graham-Lieh-tzu.pdf
Chuang-tzu”, traduzione Fausto Tomassini, Editori associati. Milano 1989.
(Testo in internet): gianfrancobertagni.itmateriali/tao/chuangtzu.htm
"Tao Te Ching", di Lao Tzu, traduzione Luciano Parinetto, Edizioni La vita Felice. Milano 1995
(Testo in internet): spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/Taoismo/tao-te-ching.html
Morte nel taoismo”: reseaechgate,nel/pubblication/288828765_Morte_nel:Taoismo
wikipedia.org/wiki/Taoismo filosofico.net/iltaoismo.htm
riflessioni.it/enciclopedia/taoismo.htm
lospaziodeltao,it/il-tao.html
daoitaly.org/il-taoismo.html
luciosotte.it/i-principi-della medicina-cinese/
wikipedia.orgwiki/Sessualit%C%A0¬_taoista
facebook.com/notes/introduzione-al-taoismo/taoismo.depoca-tang.618-907-dc/885411268245719/
silviocalzolari.org/alchimia-cinese-e-sincronicità eticamente.net/46671/taoismo-la-religione-che-ci-invita-allequilibrio-degli-opposti.html
gianfrancobertagni.itmateriali/tao/wuwei.htm
filosofico.net/Antologia_file/AntologiaT/TAOISMO_%20IL%20TAO%20TE%20CING.htm
wikipedia.org/wiki/Zhang_Daoling wikipedia.org/wiki/Confucio