Maometto, nato nell’area meccana intorno al 570 e morto nel 632, era di famiglia povera, e formato nella religiosità pagana della Mecca. I contatti con ebrei e cristiani ereticali (monofisiti, nestoriani, doceti, gnostici) gli valsero l’acquisizione di molte cose che si ritrovano, senza possibilità di dubitarne, nel Corano. Maometto non approfondì le sue conoscenze sull’ebraismo e sul cristianesimo; si fermò a coglierne le dolorose difficoltà (Sura 2,13): “Gli ebrei dicono:
‹I cristiani non san nulla!›.
E i cristiani dicono: ‹Non san nulla gli ebrei!›”. (Sura 23,53): “Ma ecco (i cristiani) si frantumano in sette diverse, e ogni partito è lieto della sua verità”. In questa situazione di separazione tra ebrei e cristiani e di proliferazione di sette in ambito cristiano si incuneò la diffusione del Corano.
Maometto ebbe all’inizio una vera volontà di ricerca religiosa, mettendosi con gli hanif, cioè arabi di pensiero religioso autonomo e monoteizzante, che indubbiamente guardavano agli ebrei e si riconoscevano eredi di Ismaele (Cf. Gn 16,12).
Maometto riferì la sua recitazione del Corano all’angelo Gabriele, ma la dottrina che ne seguì ha come autore Maometto stesso. Psichicamente sano, Maometto, si lasciò prendere da alcune esperienze misticheggianti che lo portarono lontano dal rigore della ricerca religiosa iniziale.
Maometto, secondo il Corano, avrebbe ricevuto due “discese” del Corano. ”In una notte benedetta”, la prima (Sura 44,3; 97,1; 2,185); per frazioni in un lasso ampio di tempo, la seconda (Sura 17,106; 25,32; 44,3; 76,23; 97,1).
E' certamente da accettare il secondo modo, infatti la
tradizione riferisce che i dettati pronunciati da Maometto furono
scritti su materiali di fortuna: pietre piatte, scapole di montone o di
cammello, pelli, ecc., ma molto era affidato alla memoria dei seguaci.
Successivamente tutto questo materiale venne raccolto. L'idea della
discesa dal cielo del Corano lascia il posto ad una storica
composizione.
Sono ricavabili questi punti circa la prima rivelazione (discesa)
Maometto è l’inviato di Allah agli arabi, il primo inviato ai meccani, ma a Medina il suo orizzonte si allargherà oltre ogni confine, quale vicario di Dio e ultimo dei profeti.
Cristo è solo un profeta inviato agli ebrei; ogni popolo ha avuto i suoi profeti.
La Ka'ba era in origine dedicata al vero Dio, ma gli idolatri in seguito l'hanno riempita di Idoli. La ka'ba (edificio cubico) risale ad Abramo. (Cf. Enciclopedia delle religioni, Vallecchi, a.1971, V.3, 1382-83; la Ka'ba era in origine un semplice recinto sacro a pianta quadrata, senza il tetto; il muro era alto quanto una persona. All'interno c'erano idoli. Molto probabilmente la “pietra nera” era già presente. Il muro venne in seguito raddoppiato in altezza e innalzato su di un basamento; poi venne posto il tetto. Tracce documentarie dell'edificio si hanno, anche se esigue e con molte incertezze, fino al II secolo a.C.
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La seconda rivelazione (discesa)
del Corano Primo modo della comunicazione
In un testo del primo periodo meccano (Sura 75,16-19): “E tu non muover lingua ad affrettarlo, che sta a noi raccoglierlo e recitarlo, e quando lo recitiamo seguine la recitazione, poi spetta a noi spiegarlo”.
Maometto non si presenta in uno stato di trance di tipo sciamanico, e questo lo distanzierebbe dagli indovini preislamici, invasati da degli “spiritelli” detti
ginn (Sura 26,210-212).
Tuttavia, la tradizione dice che, specie nei primi momenti, Maometto aveva sudori freddi, tremiti, gemiti e chiedeva di essere avvolto in un mantello, che va inteso non come riparatore dal freddo, ma il mantello, già noto agli indovini preislamici. (Sura 73,1; 74,1): “O tu che t'avvolgi nel manto”; “O avvolto nel mantello!”.
Questi aspetti non si conciliano con una tranquilla trasmissione dei dettati.
L'esperienza della comunicazione coranica, rientra nel quadro delle locuzioni immaginative interiori. Il potere di un angelo le può produrre, ma possono provenire anche dall'attività naturale di un soggetto in stato di illusione mistica. Nel caso di un'azione angelica il soggetto sente le parole pronunciarsi nel cuore, poiché l'angelo agisce non solo sul materiale
esistente nella memoria del soggetto (non può infondere materiale nuovo, sconosciuto al soggetto), ma agisce toccando il processo psichico percettivo del soggetto. Si noti che Maometto, stando sempre alla presentazione del Corano, non ode precisamente con le orecchie, ma ode una voce che sente pronunciata nel cuore.
Secondo modo della comunicazione
Esiste nel Corano un testo, del terzo periodo meccano, da cui l'esegesi islamica ricava il tipo di rivelazione “senza parole”, cioè per locuzione intellettuale, usando il linguaggio di san Giovanni della Croce (Salita II, 28; 29; 30; 31). (Sura 42,51-52): “A nessuno Dio può parlare altro che per rivelazione (wahy; discesa in arabo preislamico), o dietro un velame, o invia un Messaggero il quale riveli (waha) a lui col suo permesso quel che egli vuole”. L'esegesi islamica dice che “per rivelazione” si deve intendere la rivelazione senza parole; il “velame”, sono i sogni senza parole e le visioni allusive; “per mezzo di un messaggero”, cioè per mezzo di un angelo. Il Corano chiama in causa l'angelo Gabriele (Sura II, 97, ecc.).
Maometto non ebbe attenzione nel verificare quanto diceva, cioè se il male era presente tra le sue parole. L’eventuale infiltrazione satanica (Iblis, è il nome coranico di Satana), secondo il Corano, sarebbe stata rimediata da Dio con l'espurgo dell’errore: tutta la responsabilità del buon risultato se la assume Allah.
Di miracoli, pur citati nel Corano, Maometto non ne fece; niente prove di credibilità per fedeli:
bisogna credere perché bisogna credere. Il miracolo del Corano sarebbe il Corano stesso, la sua inimitabilità, ma va detto che ogni opera frutto di un vigoroso ingegno è un'opera a sé stante, e perciò il concetto di inimitabilità è molto relativo.
Altro punto che viene presentato è che solo chi sa l’arabo può intendere il Corano. Questo affermazione è un rifugio spesso usato dagli islamici, e ben poco regge, perché in automatico anche un cattolico che conosce l’arabo lo potrebbe conoscere e ben confutare, come nei fatti avviene ed è avvenuto lelle comunità cristiane arabe. Inoltre l’affermazione non regge perché contradditoria con il Corano, che si definisce
libro chiarissimo (Sura XXVII,1), e quindi ben traducibile. Il testo arabo appare più linguisticamente crudo che le traduzioni, ma non è possibile dire che una traduzione fatta bene non riveli il pensiero del Corano...
Allah dà la fede a chi vuole e l’empietà a chi vuole; così il libero arbitrio viene misconosciuto, salvo poi rimetterlo in campo come base della condanna finale degli empi.
Per mettersi al riparo dalle contraddizioni, tra un detto e un altro, Maometto concepì il concetto di abrogazione da parte di Dio. Ma è difficile sapere con certezza se un versetto è stato abrogato da un altro versetto, poiché le Sure, frutto dell'accorpamento di più dettati, non sono presentate in successione cronologica, ma per lunghezza, e quindi il discorso dell’abrogazione diventa molto relativo come criterio di distinzione tra
abrogato e abrogante. Si può notare che il Corano, essendo presentato come libro eterno dato da Allah, non dovrebbe avere questi segni di contingenza.
Le Sure dei diversi periodi presentano differenze stilistiche. Le ripetizioni, con più o meno varianti, di una stessa narrazione (Mosè, Abramo, ecc.) o di stessi concetti, non sono da parte dell’Islam oggetto dell’abrogazione. La giustificazione data dall'Islam è che le ripetizioni danno al Corano un carattere sacro, litanico, e che l'aspetto a volte slegato dell’esposizione ha un valore artistico che risale ad Allah, ma questa spiegazione è fatta per evitare di riconoscere le tracce della composizione storica del Corano.
L'universalismo di Maometto
Maometto a Medina si presenta con le qualità di vicario di Dio; l’ultimo dei profeti, il Messaggero, e si pone come capo profetico di una nuova comunità-nazione, superiore a tutte le altre comunità religiose e umane.
La nazione ebraica, alla quale è assimilata erroneamente la Chiesa, è per Maometto decaduta. Si ha quindi una nazione chiamata ad assimilare più popoli sotto il ”suggello dei popoli”, cioè il messaggio coranico.
Maometto è il profeta di tutti: l’universalità di Cristo, Maometto l'ha convogliata su di sé. Il Corano non considera universale la missione di Gesù, cioè non diretta a tutti i popoli, ma solo agli Ebrei. L'ecumenismo islamico è quello di riportare i popoli al Corano che hanno ricevuto nei tempi antichi per mezzo di profeti, e che hanno poi rifiutato per gli idoli.
Maometto nega che Gesù sia Figlio di Dio, perché bloccato dall'idea delle generazioni di figli e figlie degli dei, proprie delle concezioni pagane (Sure 16,17; XVII,39; XXXVII, 149-155; XXXIX,38; XLIII,16; LII,39; LIII,19-22).
Così la negazione della divinità di Cristo muove dal fatto che Dio avrebbe dovuto avere una donna per avere un Figlio. Così, con formidabile disinformazione la Trinità professata dai cristiani sarebbe per Maometto fatta di tre entità: Dio, la Madre (Maria), Gesù. (Sura IV,116): “O Gesù figlio di Maria! Sei tu che hai detto agli uomini: ‹Prendete me e mia madre come dei oltre Dio?›. E rispose Gesù: ‹Gloria a Te! Come mai potrei dire ciò che non ho diritto di dire?›”. (Sura V,73): “E sono empi quelli che dicono: ‹Dio è il terzo dei tre›”; (Sura IV,171): “Credete dunque in Dio e non dite: ‹Tre!›”. (Sura IV,171): “Perché Dio è un Dio solo, troppo glorioso e altp per avere un figlio”.
Segue che Maometto è pure disinformato del mistero dell’incarnazione.
Maometto contesta anche il fatto che gli ebrei e i cristiani si dicano figli di Dio (Sura V,18: “E dicono anche i giudei e i cristiani ‹Noi siamo i figli di Dio e i suoi amici›. Domanda dunque loro: ‹Perché allora vi tortura per i vostri peccati? No! Voi non siete che uomini come gli altri che Egli ha creato: Egli perdona chi vuole e tormenta chi vuole. A Dio appartiene il dominio dei cieli e della terra e dello spazio fra essi e a Lui il Divenire è diretto›”. Risulta così anticoranico per un musulmano dirsi figlio di Dio, e questo tante volte lo si sente dire. Nei 99 nomi dati ad Allah, manca rigorosamente il titolo di Padre.
Il concepimento verginale di Maria, Maometto lo riconosce, ma non il mistero dell’Incarnazione del Verbo. Il concepimento verginale è, però, una sottolineatura che Dio non ha avuto come moglie la madre di Gesù, e quindi Gesù è il Figlio di Maria, non Figlio di Dio. L’eco delle concezioni pagane è più che presente.
Non nega Maometto che Gesù abbia fatto dei miracoli, ma li attribuisce a Dio come se non fosse stato per la propria autorità di Figlio di Dio a compierli.
Dio avrebbe dovuto avere una donna per avere un figlio. Gesù è per lui solo il figlio di Maria e solo un profeta. Il concepimento verginale di Maria, che riconosce, è per lui una prova che Gesù non è il Figlio di Dio.
Il Corano dice che Gesù non è morto crocifisso (Sura 4,157), al suo posto è morto un sosia (quella del sosia è una vecchia tesi dell'eretico Basilide); anzi non è morto, ma è stato elevato a Dio (Sura 4,158): "Dio lo innalzò sino a sè". Nel giorno della risurrezione (Sura 4,159): "Sarà testimonio contro di loro (gli empi)". L'importanza di Gesù nel Corano viene ad essere sorprendentemente più grande di quella di Maometto, anche perché Gesù è nato da Vergine (Sura 21,91; 66,12); ed è da Dio uno (Sura 4,171) "Spirito da lui esalato"; e col permesso di Dio ha compiuto miracoli (Sura 3,49), cosa che non è detta di Maometto.
La divulgazione islamica ha accolto spesso la leggenda che Gesù sarebbe morto nel Kashmir; affermando anche che Gesù sarebbe stato trasportato in cielo da Maometto. Maria, i discepoli, Ponzio Pilato, il Sinedrio, non presero però affatto un abbaglio sul soggetto, chi fu messo a morte fu proprio Gesù. Un sosia non si sarebbe fatto mettere a morte poiché avrebbe difeso di non essere lui; Gesù invece disse (Gv 18,5): “Sono io”. L'Islam venera Mosè e Gesù come profeti, ma Maometto è il profeta conclusivo. Ai tre fu rivelato il medesimo Corano: a Mosè, come Torah; a Gesù, come Vangelo (Sura 61,6; 19,30). Secondo il Corano, gli ebrei e i cristiani avrebbero corrotto gli insegnamenti originari, che sarebbero stati gli stessi del Corano. L’Islam pretende di essere la correzione della fede ebraica e della fede cristiana.
Maometto accusava ebrei e cristiani di nascondere la verità, di occultare i testi autentici, cioè il Corano. (Sura 2,41): “Credete in ciò che io ho rivelato a conferma dei vostri libri e non siate voi i primi a rinnegarli”; (Sura 2,146): “Coloro cui demmo il Libro lo conoscono come conoscono i figli loro, ma una buona banda fra loro tiene nascosta la verità scientemente”; (Sura 5,43): “Come del resto possono venire a chiederti arbitraggi, quando hanno la Torah, che contiene il giudizio di Dio?”; (Sura 5,68). Detto questo si pone la domanda: Come mai non sono stati ritrovati i testi autentici occultati da ebrei e cristiani? In cento anni di conquiste territoriali, come mai non hanno trovato un
Vangelo-Corano o una Torah-Corano? Una prova archeologica dovrebbe esserci, visto che al tempo di Maometto ebrei e cristiani erano accusati di
occultare la Torah-Corano e il Vangelo-Corano.
La verità è che gli ebrei e i cristiani i testi sacri non li hanno alterati. Ma posta per ipotesi l'idea che li abbiano ritoccati, in quali testi l’Islam potrà ricercare un Messia che non sia
della discendenza di Abramo, di Davide? Come fa l’Islam a ricercare nei Vangeli parole che riguardano Maometto?
I Vangeli furono sempre rivelazione pubblica, e neppure gli apocrifi (letteralmente: “segreti”)
contengono il Corano o residui del Corano, e neppure il minimo accenno a Maometto.
Inoltre gli apocrifi attingono e suppongono i Vangeli canonici. Altro punto è che i Vangeli apocrifi non hanno il problema circa la divinità di Cristo, ma il problema circa la realtà della sua umanità, e così si pongono all’esatto contrario del Corano che afferma l’umanità e nega la divinità.
Le prime narrazioni su Gesù di cui parla l’evangelista Luca (Lc 1,1) non rientrano nei Vangeli apocrifi, ma sono annotazioni di fedeli raccolte sulla base della predicazione apostolica. Le narrazioni dei “molti” fedeli, Luca non le sconfessa, ma pur conosciute, ne ha ricercato l’origine con un accurato lavoro personale, spinto fino alle origini dell’evento Gesù.
I Vangeli apocrifi sono posteriori a quelli canonici. Il più antico dei Vangeli apocrifi è quello detto dei Nazarei, molto simile a quello di Matteo, ma con
rimanipolazioni varie. Di tale Vangelo apocrifo se ne ha notizia solo occasionalmente dagli scritti dei padri della Chiesa del II secolo. La datazione di tale apocrifo è stimabile tra la fine del I secolo o gli inizi dei II. La datazione dell’ultimo Vangelo canonico - quello di Giovanni - è verso la fine del I secolo.
Il Vangelo di Giovanni parla del Consolatore (lo Spirito Santo) (14,16; 14,26; 15,26; 16,7) e la divulgazione islamica vuole vedervi una profezia su Maometto, ma è un gravissimo errore. Tale distorsione gravissima ha le sue origini dalla traduzione siriaca del termine consolatore “menahhemana; che ha una certa affinità con
Muhammad”, e dovrebbe essere abbandonata dalla propaganda islamica; visto anche che il contesto testuale, come tutto il vangelo di Giovanni, rigetta questo errore.
Ma il Corano perché loda gli apostoli di Cristo (Sura 3,52; 5,111) quando i testi del Nuovo Testamento risalgono proprio alle origini, al tempo degli apostoli? Già da allora, viventi gli apostoli si adulterò il messaggio di Cristo? Proprio, no!
Escatologia
La fede cristiana parla di un regno dei cieli che non è realizzato pienamente qua sulla terra: è sempre in crescita. Il cristiano deve promuovere la giustizia, la carità, sapendo che la giustizia è già adesso costruzione del regno dei cieli, ma il regno dei cieli non è concluso: la salvezza Dio l’ha già compiuta, ma non è ancora pienamente realizzata.
Nel mondo islamico, invece, si è diffusa l’idea che l’ideale islamico è già stato realizzato nel primo secolo dell’Islam, con Maometto a Medina. Nella tradizione cristiana l’escatologia è nel futuro, mentre per la tradizione islamica è piuttosto nel passato; l’umanità perfetta è già stata realizzata: il primo anno di computo della storia per l'Islam è il 622 in cui si forma la comunità e non l’anno della discesa del Corano o della nascita del profeta.
Poiché il Corano è concepito come una legge, l'islamico non è totalmente passivo. C'è una parte che il musulmano deve compiere nell'ambito di una sottomissione ad Allah.
La prospettiva cristiana della grazia elevante non ha nessuna menzione nel Corano. Per esso, l'uomo bisogna che rimanga nel suo essere creaturale, che è senza alcun vulnus originale, non essendo presentato dal Corano il peccato originale.
Tra gli elementi condivisibili dell’escatologia islamica, e validi per ogni uomo, si hanno: morte, giudizio, retribuzione, inferno, paradiso. I Vangeli li mettono in relazione a Cristo. La prospettiva cristiana parte da Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, veramente morto e veramente risorto. L’escatologia cristiana che ne consegue è profondamente diversa e sempre imperniata su Cristo. L’escatologia cristiana si propone alla coscienze per la forza della verità, quella islamica si impone come legge infallibile per la comunità perfetta, che nessun musulmano può abbandonare se non a rischio della propria vita o con severe conseguenze sociali.
La Chiesa, che come ente è perfetta, non lo è quanto insieme di uomini; e lungi dall’essere
la comunità perfetta, sa di essere segno del regno futuro; seme che attende la piena maturazione.
L’Islam non è semplicemente un’appartenenza religiosa, avendo anche una forte valenza politica e non fa nelle sue istanze fondamentali distinzione tra il religioso e il politico vista la "sharia", come avviene per il cristianesimo, anche se viene detto che il governare appartiene alla sfera del politico e non alla sfera della religione. Il punto di forza del mondo cristiano (assorbito dal mondo occidentale) è quello della libertà dell’uomo, ma questo può degenerare in punto di debolezza se assorbito dal relativismo etico. Nel mondo islamico il punto di forza è anche punto di debolezza: l’individuo non è considerato in quanto tale, ma all’interno di una comunità. La libertà religiosa di un islamico viene bloccata, per questo si ostacola la conversione ad un’altra religione: tale conversione rompe gli equilibri della comunità islamica, per cui non ci si può convertire.
La morale
Costante di tutto il Corano è l'assenza del peccato originale.
La prospettiva cristiana della grazia elevante non ha nessun posto nel Corano. Il Corano (Sura II, 30) presenta come il primo peccato non tolse ad Adamo la grazia santificante e i doni preternaturali, poiché egli non aveva tutto ciò. Egli era soggetto alla morte fin dall’inizio, dal momento che l’albero da non mangiare, e verso il quale lo istigò Iblis (Satana), era quello dell’immortalità (shajarat al-khuld) (Sura XX, 120), e non quello biblico della conoscenza del bene e del male. Adamo, quindi, venne tentato da Iblis di essere immortale mediante l'alberi dell'Eternità. Le conseguenze trasmesse dal peccato di Adamo al genere umano sono solo la perdita del giardino, e in ciò c’è una differenza enorme con il dato biblico.
In materia morale Gesù nei Vangeli insegna un'obbedienza a Dio che va molto di là da un'osservanza esteriore
della norma, benché sincera, e porta, anzitutto, ad un'adorazione di Dio in spirito e verità.
Nel capitolo quinto del Vangelo di Matteo l'espressione ricorrente "avete inteso che fu detto...ma io vi dico" che Gesù premette al proprio insegnamento lascia trapelare tutta la radicalità che egli propone nell’osservanza dei comandamenti. Ma il cristiano è chiamato a non cadere in un'osservanza
giuridica dei comandamenti, cosa che non è un atteggiamento familiare ai musulmani.
Nel dialogo, poiché il diritto islamico conosce il principio dell’abrogante e dell’abrogato, si dovrà presentare l’Antico Testamento come superato dal Nuovo. Il discrimine chiaro su ciò che si deve osservare e ciò che non deve essere compiuto rimane sempre Gesù. E’ la stessa Scrittura neotestamentaria (vedi in modo nitido la lettera ai Galati e agli Ebrei) come pure la Chiesa a considerare abrogato un comportamento tenuto da Gesù in quanto nato sotto la Legge (l'aver avuto la circoncisione; l'andare al tempio; il celebrare la Pasqua ebraica), per cogliere “lo spirito” del Vangelo, la novità del Vangelo.
I passi del Corano riguardanti la guerra santa non sono pochi (Sura II, 190-195; 216-218; 244-246; III, 167-174; IV, 71-77, 84, 94-95; 102-103; V, 35; VIII 38-40, 57-66; IX 9,5-29, 38-42, 73, 111, 123; XXII, 78; XLVIII, 16-22; ; XXII, 78; XXV, 52; XLVIII, 16-22; LXI, 4-11; LXVI,9). La guerra santa scatta di fronte o a un nemico aggressore portatore di un'altra religione, configurandosi in tal modo la Jiyảd come guerra di resistenza, che termina con la riconquista e la sottomissione religiosa dei vinti. Comincia pure di fronte ad un'iniziativa di un'altra religione di fare propaganda di conversione. Chi resiste alla Jiyảd viene ucciso, nei comportamenti più miti, bandito dai territori conquistati, oppure costretto al pagamento di una tassa di protezione, la jizya (sura 9,29). Se non si cerca di convertire l'Islam alla propria religione, esso concede la convivenza ai suoi vicini di religione diversa, riservandosi però il diritto di fare propaganda della propria fede.
E' chiaro a tutti che la difesa della propria fede deve passare attraverso la presentazione delle ragioni della propria fede, in un dialogo che accetti, senza tendere tranelli dialettici, le obiezioni e le soddisfi, senza duramente esigere poi la conversione di chi annuncia il proprio credo. C'è veramente da augurarsi che le azioni religiose violente siano bandite su tutta la terra.
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Francesco inviò i frati non solo ai saraceni, ma
tra i saraceni. I frati non devono né litigare, né disputare, ma essere un esempio di fraternità. Il frate minore dev’essere il più piccolo nei confronti di tutti e prendere ogni volta l’ultimo posto: servire e scomparire.
Convivere con i musulmani:
rispettarli, farne conoscenza; stimare il loro impegno religioso, il
loro rivolgersi all'unico Dio, creatore di tutte le cose;
testimoniare Cristo con l'esempio;
annunciare il Vangelo: finalmente, se si vedrà che è giunto il momento voluto da Dio, si predicherà la fede, pronti a subire ogni conseguenza. Nel dialogo bisogna arrivare a dire: ”Ti voglio dare la mia fede perché è vera”.
Francesco voleva convertire con l’amore, evangelizzare per persuasione e non per imposizione
Per il santo di Assisi la missione si sviluppa secondo tre modalità (Cf. Regola non bollata,1221; cap XVI).
Rivivere la predicazione itinerante di Cristo: 3 anni di manifestazione pubblica con segni o miracoli e parole;
rivivere la presenza di Cristo a Nazaret: 30 anni di presenza discreta e laboriosa tra gli uomini, nel silenzio;
rivivere la Passione del Signore che si offre per i suoi fratelli: 3 giorni di una vita donata fino all’ultima goccia di sangue.
La necessità di giungere alla libertà effettiva di religione anche nei territori Islamici è affidata alla preghiera e al sacrificio.
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