Atomo e unità dei corpi: l'estensione, le qualità, la percezione

 

 

La realtà degli atomi, messa in evidenza a partire da John Dalton (1766 - 1844), poi da Amedeo Avogadro (1776 - 1856), procedendo fino alle ultime teorie sulla costituzione degli atomi, non appoggia in nulla l'atomismo filosofico che ha i suoi iniziatori in Democrito (460 a.C. - 360 a.C.) e Leucippo (inizio V sec. a.C. - fine V sec. a.C. Diversi critici hanno messo in dubbio la sua reale esistenza. Per altri il suo pensiero sarebbe entrato a far parte del corpus che raccoglie il pensiero di Democrito, anche se è difficile distinguerlo da questo). Questi filosofi sostenevano che ci sono delle particelle indivisibili (atomi), infinite nel numero e con infinita varietà di forme, di peso e di grandezza, che si muovono nel vuoto, e che urtandosi danno origine ai corpi.

 

Leucippo affermò che l'essere è l'essere, e il non-essere è il non-essere, ma il non-essere esiste non meno dell'essere: è il vuoto, mentre l'essere è il pieno.

 

Democrito disse la medesima cosa: “L'ente non esiste a maggior ragione del niente”. Democrito e Leucippo ritenevano che tra gli atomi ci fosse il nulla e che lo spazio (il nulla) sia infinito. Gli atomi erano indivisibili poiché escludevano da sé il niente. Gli atomi si muovevano in tutte le direzioni nel nulla. Muovendosi entrano in urto tra di loro e unendosi per contatto danno origine alle cose; il tal modo si ha un procedimento per rapporti meccanici e di quantità. Il vuoto - “il non essere” - risulta poi principio delle cose al pari dell'essere costituito dagli atomi.

Leucippo affermò nel contempo che “nulla avviene a caso, ma tutto accade secondo ragione e necessità”. Questa sua affermazione, ben condivisibile in se stessa, non collima però logicamente con il suo sistema, presentato come la realtà vera, oltre il sensibile. L'affermazione di Leucippo è così contraddittoria proprio all'interno del suo sistema, che di necessità prevede, con il suo meccanicismo, il caso.

 

Aristotele (384 a.C. - 322 a.C.) rilevò che il vuoto era, per la stessa affermazione dei due fondatori dell'atomismo filosofico, il non essere, il nulla, ma con ciò nella formazione delle cose doveva entrare in azione anche il nulla affinché si stabilisse la forma, ma il nulla per definizione è inoperante. Senza la forma non si ha l'essere dell'ente e così gli enti risultano solo gli atomi, e nessun altro ente esiste, ma solo vicinanze geometriche provvisorie di atomi, e neppure aggregazioni perché l'aggregazione suppone un aggregante e il nulla non è un aggregante.

Epicuro (341 a.C. - 271 a.C.) riprese le idee di Leucippo e di Democrito per sostenere la sua concezione di vita impostata su di una relatività morale, il cui obbiettivo (fine) è il piacere. Egli pose una distinzione sul moto: un moto naturale, un moto forzato e un moto libero. Il movimento lo presenta come conseguenza tra pieno e vuoto. Il primo moto è la caduta libera verticale, ma con ciò si ha la contraddizione con il concetto di spazio infinito dove non c'è un alto e un basso. Gli atomi, che cadono con uguale velocità, possono tuttavia deviare la traiettoria (il clinamen di Tito Lucrezio Caro: 98/96 a.C. - 55/53 a.C.): è la seconda forma di moto, di cui però non si indica la causalità. La terza forma di moto è quella data dall'urto, moto detto necessario, ma nello stesso tempo casuale. L'urto tuttavia suppone il contatto e quindi la vittoria sul nulla che separa gli atomi, e quindi si ha contraddizione. Epicuro poi affermò, contro Democrito e Leucippo, che il numero delle forme atomiche è finito al fine di spiegare la stabilità delle qualità delle cose.

 

La chimica concorda con Epicuro che il numero degli atomi è finito, la fisica non concorda sull’affermazione che l'atomo sia indivisibile. Sia la fisica che la chimica non pongono il concetto di vuoto come non-essere, poiché tra atomo ed atomo non c'è affatto il non essere ma relazione effettiva, e quindi non contiguità geometrica di atomi adiacenti per forma: il vuoto è "un pieno".

 

Alcuni dati per vedere quanto sia distante l'atomismo filosofico, e ogni sua riproposta, dalla realtà che gli atomi presentano.

 

1)     Le forze che uniscono gli atomi tra di loro procedono da essi stessi. Non esiste il non essere tra gli atomi. Esistono invece dei campi energetici, che sono essi stessi materia. Lo stesso è per le molecole.

 

2)     Il riconoscimento di atomi o di molecole mediante la spettroscopia atomica risulta molto più semplice in un gas, dove in prima approssimazione si presuppone che l'atomo o la molecola siano liberi, che in un liquido e in un corpo, poiché le interazioni tra le molecole o gli atomi di un corpo solido o liquido modificano profondamente le strutture dei livelli energetici dei singoli atomi o delle singole molecole.

 

3)     Gli atomi, che sono l'elemento base della chimica, entrando in composizione tra di loro formano le molecole, le quali posseggono una profonda unità.

 

4)     Le molecole hanno caratteristiche fisiche e chimiche distinte dagli elementi chimici di partenza che le costituiscono.

I legami intramolecolari che uniscono gli atomi di una molecola sono detti “legami chimici o legami forti”.

I legami intermolecolari si diconolegami deboli” o “legami chimici secondari”. Come l'esperienza attesta, i “legami deboli” possono risultare resistentissimi alle azioni meccaniche.

 

5)     Non solo in un liquido ma anche in un corpo solido esiste una tensione di superficie che manifesta una coalizione interatomica o intermolecolare nella formazione del corpo.

 

L'atomo è una realtà profondamente unitaria, anche se divisibile. Nell'atomo esiste un nucleo (protoni, neutroni) e una corteccia elettronica con elettroni a varie distanze dal nucleo.

Tra il nucleo e gli elettroni, situati nei gusci elettronici, che designano i loro diversi livelli energetici, non c'è affatto il vuoto, ma campi energetici nel quali, appunto, si trovano gli elettroni. Il rapporto tra diametro del nucleo e diametro dell'intero atomo è di circa 10.000, secondo un calcolo di Rutheford (1911).

 

Il modello atomico planetario di Rutheford e anche di Bohr, che pur ne conobbe l'inesattezza perché l'elettrone immaginato ruotante attorno al nucleo dovrebbe finire per cadere sul nucleo, ma ciò non è mai, il che vuol dire che ciò che contrasta la forza di attrazione del nucleo (carica positiva del protone di fronte alla carica negativa dell'elettrone) non è precisamente la forza centrifuga dell'elettrone. Dunque il modello planetario è solo un'immagine grafica convenzionale. L'elettrone in stato di eccitazione, dovuto alla radiazione incidente l'atomo, passa da un livello energetico ad un altro, producendo così il suo complesso moto. La radiazione incidente è poi riemessa dall'atomo secondo diverse lunghezze d'onda, da ciò il colore di una determinata sostanza sotto la luce.

La fisica quantistica (o meccanica quantistica) ha superato il problema che l'elettrone finisca per cadere sul nucleo con la concezione che un elettrone è associato ad un'onda, così come la luce ha una natura corpuscolare e ondulatoria.

 

(Va tenuto presente che la meccanica quantistica ha in sé lati criticabili come già segnalò Einstein. Non è poi una teoria definitiva; ed è rivolta a risolvere matematicamente in accordo con le osservazioni sperimentali diversi problemi della fisica, ma non a darne la spiegazione. Essa procede con concetti controintuitivi basandosi sull'interpretazione matematica dell'esperienza.

Chiedere perciò alla meccanica quantistica lo svelamento dei misteri dell'atomo è chiederle quello che non può dare).

 

Alle orbite elettroniche dell'inadeguato modello planetario si sono sostituiti gli orbitali. Nelle molecole gli atomi condividono parecchi orbitali.

Gli orbitali non sono una realtà fisica, ma solo dei costrutti matematici, ottenuti da equazioni (Schrodinger, Fourier) basate sui dati sperimentali: quelli della spettroscopia. Recentemente si è usata la spettroscopia ad effetto tunnel ottenuta con lo Scanning tunneling microscope (STM) ed elaborata da potenti calcolatori IBM. La spettroscopia ad effetto tunnel si basa sul passaggio di una leggera corrente elettrica (elettroni di tunnel) tra un atomo della superficie in esame e il cantilever del microscopio a forza atomica. Tutte queste operazioni non forniscono però la spiegazione intrinseca della realtà: si hanno delle teorie, rimanendo il mistero.

Gli orbitali, chiamati anche nuvole elettroniche per rendere l'immagine di uno spazio attorno al nucleo dell'atomo, danno informazioni probabilistiche sulla posizione di un elettrone in un dato momento dell'osservazione (ovviamente non diretta), in accordo con gli spettri della spettrografia atomica.

Il principio di indeterminazione di Heisenberg non consente altro, poiché non si può determinare con precisione, contemporaneamente, la posizione e lo stato di moto (energia) di un elettrone. Ciò dipende dalla perturbazione ineliminabile che gli strumenti di osservazione producono nel fenomeno.

In un atomo il comportamento dell'elettrone è legato al sistema atomo di cui fa parte integrale.

 

6)     La profonda unità dell'atomo si rivela anche dal fatto che le particelle subatomiche (elettroni, protoni e neutroni) hanno, fuori dell'atomo, una massa leggermente maggiore di quando sono all'interno dell'atomo, il che vuol dire che nell'atomo perdono la loro precisa individualità di prima, per far parte dell'unità atomo.

 

7)     La fisica subatomica cerca di spiegare la costituzione delle particelle base degli atomi (elettroni, protoni, neutroni) che emergono dagli scontri procurati negli acceleratori di particelle dove si raggiungono velocità pari a quelle della luce, ma con tutto ciò rimane sempre la rigorosa nozione che la massa è solo una proprietà della materia, e che quindi l'energia non è affatto un accidente senza sostanza.

 

8)     La fisica delle particelle conosce il fenomeno della trasformazione di un raggio gamma di grande potenza che entra in contatto con un nucleo atomico, in una coppia simmetrica di particelle: un elettrone (carica negativa) e un positrone (carica positiva), in altre parole in un elettrone e in un antielettrone (antimateria). Se un antielettrone, formatosi con il procedimento visto, urta contro un elettrone si formano due raggi gamma, in quanto l'onda associata all'elettrone e l'onda associata all'antielettrone non vanno perdute.

     Con raggi gamma ad energie maggiori si possono avere, sempre con lo stesso procedimento, un protone e un antiprotone, e così un neutrone e un antineutrone, un atomo di idrogeno e un antiatomo di idrogeno (per l'atomo di idrogeno, si combinano dopo essere state prodotte le particelle: protone con elettrone e antiprotone e antielettrone). L'antimateria ha un'esistenza del tutto effimera. L'antiatomo di idrogeno nel 1969 è stato prodotto bombardando con protoni dei nuclei di alluminio. Si tratta di operazioni complesse.
Va notato che non si ha dallo scontro di due raggi gamma una coppia di particelle (elettrone-antielettrone, ecc), ma occorre rigorosamente un nucleo atomico, e che dall'urto di un elettrone con un antielettrone non si ha un solo raggio gamma, ma bensì due raggi gamma.

La ragione di questi misteri va rimessa alla complessità delle reazioni nucleari stellari, e ai tanti misteri del cosmo.

Non va misconosciuto che queste ricerche hanno dato alla diagnostica medica delle grandi opportunità. La PET (Tomografia ad emissione di positroni) utilizza proprio il processo visto. Nel corpo viene iniettato un isotopo radioattivo il quale emette dei positroni (antielettroni), i quali dopo pochi millimetri di percorso collidono con degli elettroni generando due raggi gamma. I raggi gamma raggiungono uno scintillatore e il lampo luminoso conseguente viene poi rilevato fornendo così le indicazioni cercate.

 

Cartesio (René Descartes: 1596 - 1650) rilanciò l'atomismo filosofico sebbene sull'atomo non insistette granché, confondendo l'estensione con l'esteso, cioè l'estensione matematica la fece prevalere sull'esteso, il che volle dire negare la realtà degli estesi, cioè dei corpi per affermare che la realtà è solo res extensa, cioè pura estensione animata dal movimento.

 

Attualmente, diversi vogliono pensare che i costitutivi ultimi dei corpi non sono più degli estesi, ma pura energia, e ciò è solo un volere uscire dalla realtà. Infatti la massa, che sviluppa energia secondo l'equazione di Einstein, è solo una proprietà della materia, non è la materia. L'energia presuppone sempre la materia; e anche la radiazione elettromagnetica (fotoni associati ad un'onda) è materia. La natura ondulatoria della radiazione è strettamente unità alla concomitante realtà corpuscolare (fotone), costitutiva della stessa radiazione. (Mario Viganò; voce “Materia”, in “Enciclopedia filosofica” ed. Sansoni, 1957 Firenze, pag. 399: “In questo campo notiamo quanto facilmente si presenti ad equivoco la contrapposizione, solita a farsi nella fisica, tra materia e radiazione; in linguaggio filosofico si dovrebbe piuttosto parlare di materia ponderabile e di materia imponderabile, intendendo per materia, in contrapposizione a spirito, una sostanza dotata di estensione, indipendentemente dal fatto se abbia o meno una massa a riposo”. Dire che la materia non esiste, e che si ha solo l'energia è voler annullare il reale riducendolo a pura apparenza.

La trasformazione di due particelle (elettroni), lanciate l'una contro l'altra, in un quanto (fotone), e viceversa  la produzione di due particelle,  quando un fotone viene lanciato contro un nucleo atomico, non consente di chiamare tali trasformazioni: la prima annichilazione e la seconda materializzazione.

 

L'errore di fondo è quello di confondere la massa con la materia, errore che Einstein non ha mai fatto.

Si potrebbe ancora dire che esiste alla base di tutta la realtà l'energia delle particelle, ma le particelle sono enti e la loro energia proviene dalla realtà della materia stessa nei suoi fenomeni di collisione, di urto, di esplosione, di reazione nucleare. Inoltre va affermato che è insita nelle particelle sia subatomiche, sia elementari o composite, alle quali la meccanica quantistica associa un'onda, l'attitudine a formare delle realtà corporee unitarie. Le particelle subatomiche sono l'elettrone, il protone, il neutrone. Per le particelle elementari, cioè indivisibili, si hanno sei tipi di quark, gli antiquark, sei tipi di leptoni, gli antileptoni, dodici tipi di bosoni di gauge. Si hanno poi particelle composte: barioni, nucleoni, protone, neutrone, pentaquark, ecc, ecc..

 

Nella teoria del Big Bang si parla di nucleosintesi avvenuta per auotoevoluzione, ma ciò avrebbe dovuto avere delle barriere ritmiche di frenamento dell'espansione dell'universo in modo da formare la nucleosintesi,  ma queste barriere di frenamento (sarebbero forze resistive che danno origine alla forma) da che cosa sono causate? Se l'immagine esplosiva del Big Bang è intuitiva, non lo è più l'immagine di un anti Big Bang puntualizzato che non potrebbe vantare di avere una causa. Occorre allora dire che gli elementi hanno già fin dall'inizio l'attitudine alla nucleosintesi e che ciò è avvenuto e avviene in una realtà molto più complessa di quella di puro abbozzo del Big Bang. Cosa dire di fronte a tutta questa complessità, che resta tale davanti all'occhio umano? Io dico DIO!

 

L'esame al microscopio a forza atomica (AFM), basato su di una ultramicroscopica punta (cantilever) che lambisce la superficie da esaminare, rivela la struttura atomica del corpo. L'immagine ottenuta mediante l'elaborazione di un computer traccia la superficie degli atomi, ma non le forze interatomiche, cioè quelle che costituiscono la materia imponderabile. Ne segue, per alcuni, la suggestione che a livello microscopico cessi di esistere la realtà della superficie dei corpi, rimanendo quella degli atomi, ma gli atomi sono in relazione intrinseca tra di loro con forze che procedono da loro stessi, e pensare alle forze interatomiche come accidentali, cioè aggiunte dall'esterno come collante tra gli atomi, è del tutto improponibile.

 

L'esteso e le qualità

 

Sofia Vanni Rovighi (1908 - 1990), docente di filosofia teoretica, morale, e storia della filosofia presso l'Università Cattolica “Sacro cuore” di Milano; autrice di notevoli pubblicazioni, nel 1980 ricevette il premio “Antonio Feltrinelli” per le scienze filosofiche dall'Accademia Nazionale dei Lincei. Il filosofo Sofia Vanni Rovighi è indubbiamente un grande maestro per la limpidezza del suo insegnamento. Riporto alcuni suoi passi: (“Elementi di Filosofia”, ed. 1971, Brescia. Per gentile concessione della casa Editrice “La Scuola”).

 

L'esteso:

(Vol III, da pag. 15/17): “Premesso che esistono enti estesi, vediamo di chiarire che cosa sia l'esteso.

L'estensione è un dato immediato, è però indefinibile: ognuno di noi ha l'esperienza dell'esteso e da questa si forma immediatamente il concetto di estensione. Per far quindi capire ad uno che cosa si intenda per esteso non c'è altro che indicargli degli esempi come fa Aristotele nel libro delle Categorie quando dice: esteso è questo foglio di carta sul quale scrivo, il pavimento sul quale poggio, la strada che corre sotto la mia finestra, il cielo che guardo, e così via.

Si può tuttavia cercare di descrivere l'esteso. L'estensione è una certa molteplicità: esteso è ciò in cui io posso indicare un qui distinto da un , in cui ci sono quindi diverse (plures) parti. E siccome posso indicare, distinguere tali parti, l'esteso è distinguibile in parti. Ma non ogni molteplicità è estensione: anche nel carattere di un uomo posso distinguere virtù e vizi, che possono esser detti, in certo senso, parti di quel carattere, e tuttavia non per questo il carattere di un uomo è un esteso. L'esteso non è soltanto distinguibile in parti, ma propriamente divisibile: le parti che lo costituiscono possono stare ognuna per conto suo: questa strada potrebbe essere divisa in diversi tratti ed ognuno di questi, con opportuni accorgimenti tecnici, potrebbe essere trasportato in diverse parti del mondo e continuare ad esistere come tale; questo foglio di carta potrebbe essere tagliato in tanti pezzi, ognuno dei quali continuerebbe ad esistere per conto suo; quell'albero potrebbe essere diviso in varie parti (radici, tronco, rami, foglie); quell'animale potrebbe essere smembrato. Anche la divisibilità, tuttavia, non è un concetto convertibile con quello di estensione, e perciò non definisce propriamente l'estensione, poiché la caratteristica dell'esteso è quella di essere divisibile in parti a loro volta estese. Infatti una pura successione temporale, ad es. una serie di suoni uguali, è divisibile in parti, ognuna delle quali potrebbe sussistere per conto suo, ma non è estesa. Il concetto di esteso si manifesta dunque irriducibile ad altri; si può cercare di descriverlo in qualche modo, non si può rigorosamente definirlo.

Per chiarire meglio quale molteplicità sia implicita nell'esteso, Aristotele distingue l'ente quantificato, in tre tipi: ciò le cui parti sono di seguito, il contiguo e il continuo (Physic. Z, cap. I, 231a,21). Esempio del primo tipo potrebbe essere la nebbia: una molteplicità di parti (di goccioline d'acqua) sparse nell'aria, separate, quindi, l'una dall'altra e tuttavia consecutive, ossia tali da fare una certa, sia pur labile totalità. Contiguo è ciò le cui parti si toccano, ad es. un cubo fatto di tanti cubettini sovrapposti; continuo infine è ciò in cui le parti non hanno confini precisi che le separino l'una dall'altra; i confini delle parti del continuo si confondono (quorum extrema sunt unum), e questo è propriamente l'esteso. La caratteristica dell'esteso è dunque questa: di essere divisibile, sì, ma non attualmente diviso. Il contiguo e il consecutivo non sono ciascuno un ente, ma una somma di enti; chi esiste è la parte che sta per conto suo. Solo il continuo (l'esteso) può dirsi un ente, appunto perché in esso le parti non esistono ancora, non sono in atto, ma possono essere, quando l'esteso sia effettivamente diviso e cessi di essere un continuo per diventare un consecutivo o un contiguo”.

 

“L'esteso è divisibile, ma non attualmente diviso, o, in altre parole, le parti dell'esteso non sono enti in atto, ma solo enti in potenza. Se, infatti, l'esteso fosse attualmente diviso in parti, non sarebbe più un ente, ma un aggregato di enti; ma, a loro volta, gli enti di cui l'esteso è un aggregato debbono essere estesi, poiché una molteplicità di inestesi non può costituire un esteso (...). Non ci si obietti, quindi, che i corpi macroscopici non sono altro che aggregati di atomi, i quali a loro volta sono aggregati di corpuscoli minori (elettroni, nucleo atomico coi suoi diversi elementi)”.

 

(Vol III, da pag. 22): “L'esteso non è l'estensione: esso è un ente, un quid, che ha l'estensione”.

 

Le qualità:

(Vol III, da pag. 45/46): “L'esteso ci è dato sempre come esteso qualificato, dunque anche le qualità corporee sono dati reali; sicché quando diciamo: esistono dei corpi, intendiamo dire: esistono enti estesi qualificati, e tale esistenza è immediatamente evidente (...). L'affermazione che esistono qualità non detrae nulla al valore della fisica matematica perché non nega nulla di ciò che la scienza afferma, ma nega soltanto che la scienza (scienza matematizzata) esaurisca tutti gli aspetti del reale (...). Il pensiero moderno tende ad oscillare fra questi due estremi: valutazione positiva della scienza sperimentale e accettazione di una filosofia meccanicistica, che sarebbe l'unica conciliabile con la scienza, e conseguente disprezzo per tutte le concezioni che rispettano il momento qualitativo della realtà - oppure, al polo opposto, valutazione positiva dell'aspetto qualitativo della realtà e disprezzo per le scienze sperimentali. Nel primo estremo cadono il materialismo, il positivismo del secolo scorso (1800), il neo-positivismo attuale, nel secondo, quelle correnti idealistiche che si riconnettono con l'idealismo classico. I neohegeliani italiani liquidavano come pseudoscienze la matematica e le scienze sperimentali e disprezzavano come perdi tempi puerili le più acute ricerche di logica matematica; i neopositivisti bollano di “romantico” ogni discorso sulle qualità. Anche qui si potrebbe dire che ognuna delle due parti ha ragione in ciò che afferma e torto in ciò che nega, poiché se l'aspetto qualitativo è ineliminabile dalla realtà, è altrettanto vero che l'unica conoscenza scientifica (ossia rigorosamente dimostrata) che possiamo avere del mondo corporeo è la conoscenza matematica: l'intelletto umano lavora su quell'aspetto della realtà che può meglio afferrare e di questo elabora la scienza, traduce le qualità in quantità per poterle sottoporre a formule esatte, ma ciò non cancella affatto l'universo delle qualità”.

 

Comunque anche le qualità hanno una quantità che gli scolastici chiamavano “intensio”. 

 

La percezione:

(Vol. III, da pag. 49/50): “Talora per dimostrare la soggettività delle qualità, le si paragona alle qualità estetiche degli oggetti. <Se l'uomo non ci fosse - dice Lecomte du Nouy - l'universo non avrebbe più forma né colore, così come, se non ci fosse una stazione ricevente accordata, la più grande sinfonia di Beethoven radiodiffusa si perderebbe nello spazio senza essere udita e senza suscitare un'eco, fuor dalla sala dove la si suona. I fotoni emessi dal sole e che, riflettendosi sugli oggetti, esseri viventi, alberi, fiori, rocce, suscitano in fondo al nostro occhio quel che chiamiamo un paesaggio, non sono che treni di onde, quanti di energia. I fenomeni del nostro mondo, gli oggetti della nostra conoscenza spariscono. Non resta più che un universo grigio, silenzioso e oscuro>" (“L'homme devant la science”, Paris, Flammarion, pag. 51). Ora ci sembra che il paragone tra le qualità e la sinfonia appoggi la nostra tesi anziché quella dell'autore. Certo una sinfonia di Beethoven non si trasmette dagli strumenti a me che l'ascolto se non attraverso vibrazioni dell'aria (per semplicità pensiamo qui all'audizione diretta anziché a quella radiotrasmessa), e quelle vibrazioni non sono udite come sinfonia se non da un orecchio animato; ma questo significa forse che la sinfonia non c'è? Che non esiste un centro che raggruppa e ordina quelle vibrazioni in modo tale che, quando esse incontrano un orecchio animato (da un'anima intelligente. Ndr. l'anima razionale, spirituale, dell'uomo) diano luogo all'audizione di una sinfonia? Si dice: se non ci fosse orecchio non ci sarebbe suono, se non ci fosse intelligenza non ci sarebbe sinfonia (poiché non pare che basti l'orecchio di un cane a percepire una sinfonia in quanto sinfonia). Non si dovrebbe dire piuttosto: se non ci fosse orecchio animato non ci sarebbe percezione del suono e se non ci fosse intelligenza non ci sarebbe apprensione estetica della sinfonia? E non si dica che il suono è la percezione e la sinfonia è il sentimento estetico, poiché il sentimento o l'intuizione estetica non ci sono se non nell'animo di chi apprende, nel momento in cui apprende, mentre la sinfonia è una unità oggettiva, che potrà destare in Tizio e in Caio diversi sentimenti, ma che è un oggetto indipendente da tali sentimenti. Infatti se la Quinta sinfonia di Beethoven, per esempio, si identificasse col sentimento che io provo quando l'ascolto, perché farei un merito a Beethoven e non a me di averla creata...?”.

 

Ovviamente la luce non è soltanto un prodotto fisico-psichico, ma è un prodotto che c'è. La luce è; e così pure si deve dire dei colori.

 

(Vol. III da pag. 108/109): “La psicologia moderna è stata per molto tempo dominata dalla teoria associazionista, che potrebbe essere formulata così: la conoscenza è, primariamente e originariamente, sensazione (idea nella terminologia di Locke, impressione in quella di Hume, sensazione nella psicologia associazionista del XIX secolo); tutte le nostre conoscenze derivano da una combinazione di sensazioni, da una “chimica mentale” regolata da determinate leggi psicologiche (Cf. Fabro, “La fenomenologia della percezione”, Milano, Vita e Pensiero, 1941, pag. 84s). si intende per sensazione la conoscenza elementare, quella che ha per oggetto, p. es., questa macchia bianca (non ancora interpretata come superficie di un foglio di carta), questo suono (non ancora interpretato come suono di una campana, ma come puro e semplice risuonare), ecc. Una reazione a questa teoria si ebbe già alla fine del secolo XIX (Brentano, Stumpf) e si è poi continuata con la “psicologia della forma”. Non tutto è accettabile di quest'ultima scuola, come fa vedere il Fabro: un merito però le va riconosciuto, quello di aver affermato che il prius nella nostra vita cosciente non è la sensazione, ma la percezione. Io sto alla finestra, e vedo una casa, degli alberi, il cielo. Teoricamente io potrei provarmi a contare e dire che vi sono davanti a me 327 luminosità e toni di colore? Niente affatto: io ho davanti a me il cielo, la casa, l'albero e nessuno può riuscire ad avere queste 327 luminosità davanti a sé. Ed anche quando fosse possibile un calcolo così buffo ed implicasse 120 luminosità per la casa, 90 per gli alberi e 117 per il cielo, io avrei almeno questa combinazione e divisione del tutto, e non l'altra 127 + 100 - 100, oppure quest'altra 150 + 177 (M. Wetheimer citato da C. Fabro in “La fenomenologia della percezione”, pag. 2). il che vuol dire che le sensazioni di luminosità e di colore mi si presentano già ordinate e raggruppate in certe unità che sono le percezioni della casa, degli alberi, ecc. l'errore associazionista deriva dal voler ritrovare separati nella nostra conoscenza gli elementi che la scienza ci insegna a distinguere negli oggetti. Sarebbe come pretendere che la nostra conoscenza di un tavolino fosse costituita dalla conoscenza delle sue molecole e dei suoi atomi perché sappiamo che il tavolino è costituito di molecole e di atomi (Cf. M. Merleau - Ponty, “Phénoménologie de la perception”, Parigi, Gallimard, 1945, pag. 11 e 17).

 

Riflessione:

Il sistema filosofico atomista deve necessariamente sacrificare la forma di un ente materico (enti spirituali sono gli angeli e le anime, nonché l'ente infinito: Dio), dissolvendo l'ente ad aggregato di atomi, temporaneo e casuale.

Il dissolvimento particellare degli enti è contraddetto dalla realtà.

Il dissolvimento dell'ente arriva anche a toccare l'atomo che viene concepito meccanicisticamente come una realtà discontinua, mentre ciò non è assolutamente, anche se è una realtà divisibile. L'atomo è una realtà profondamente unitaria.

Il dissolvimento particellare della realtà conduce all’idea che sia l'immaginazione dell'uomo a creare l'ente; ma l'ente, l'esteso, è immediatamente evidente, non è il frutto dell'immaginazione. Se è l'immaginazione che crea l'ente allora tutto diventa apparenza, ma di conseguenza anche l'uomo è apparenza.

A questo punto verrebbe da dire che se uno è colpito da una bastonata di certo non direbbe che è colpito da un aggregato particellare, ma da un bastone, che dimostra in breve tutta la sua verità corporea.

L'atomismo filosofico non ha fondamento scientifico. Le teorie atomiche, cioè ciò che si sa e si congettura dell'atomo e dei suoi componenti, non gli danno alcun appiglio.

 

Oggi la particellazione rivolta a negare l'unità degli enti, propria dell'atomismo in tutte le sue riedizioni, si unisce all'aberrazione ancora più spinta di ridurre la materia ad energia, e ciò è precisamente il retroterra sul quale il Dalai Lama ha speculato presentato il buddismo come conforme ai dati della scienza, rilanciando concezioni già introdotte nell'Occidente dalle correnti esoteriche orientaleggianti (Edouard Schuré). Ma la scienza contraddice la concezione buddista della realtà.

Per il buddismo la realtà è segnata dal panteismo e quindi la realtà materica non ha essere proprio poiché il vero suo essere è il Brahman. La realtà viene declassata ad apparenza. Anche la corporeità dell'uomo è considerata non realtà vera, facente parte di lui, per cui è soltanto migrando di corpo in corpo (reincarnazione, metempsicosi) fino all'estinzione del karma (atto, obbligo, azione), che si potrebbe chiamare “debito di reincarnazione”, che ci libera dalla schiavitù dell'apparenza e si arriva a stemperarsi panteisticamente nel Brahman, l'anima del mondo.

Ma, contro la pretesa del buddismo di essere all'altezza della scienza, va detto che tutta la civiltà occidentale sì è costruita proprio sulle possibilità dell'uomo di dominare la realtà, non di allontanarsene come da un'apparenza sulla quale è inutile agire. Le conquiste della scienza, che hanno la loro culla nell'Occidente, si sono attuate proprio a partire dall'essere della realtà. Un essere dato da Dio e mantenuto nell'essere da Dio trascendente ogni realtà, proprio perché da lui creata e creata dal nulla.

Le conquiste della scienza e della tecnica sono avvenute lontanissime dal panteismo, che come tale rallenta, frena l'esercizio del dominio dell'uomo sulle cose, visto che sarebbero corporeità della divinità, e il loro essere sarebbe la divinità. La concezione panteista, coerentemente, non può presentare le cose dominabili dall'azione dell'uomo, poiché sarebbe modificare la realtà della divinità.

Ma la realtà va pure ugualmente avanti, e il progresso scientifico che si è avuto anche nell'Oriente è avvenuto proprio dimenticando il panteismo.

 

Ma accanto alla tecnica e alla scienza non dimentichiamo san Francesco, cantore del creato.

 

Non l'ha dimenticato il grande fisico Enrico Medi (1911 - 1974) che ci ha lasciato scritto:

"Santo Francesco che cantando pregavi: Laudato sii mio Signore per sora acqua e frate foco, aggiungi al cantico di tutte le creature: <Laudato sii mio Signore per frate elettrone, protone, neutrone... per le sorelle molecole>" ("Il mondo come io lo vedo" ed. Marietti, Genova - Milano, 2005).

 

E io dico:

"Laudato sii mio Signore per frate elettrone che tanto ci è utile, che è forza motrice e possibilità di comunicare lontano. Laudato sii mio Signore per frate atomo e sorella molecola dai quali otteniamo con il lavoro materiali utili e anche farmaci per guarire le nostre malattie e lenire i nostri dolori".