Assunzione della Beata Vergine Maria


I Lettura (Ap 11,19; 12,1-6.10)
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo


Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza.
Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto.
Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra.
Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito.
Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio.
Allora udii una voce potente nel cielo che diceva:
"Ora si è compiuta
la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio
e la potenza del suo Cristo".

Salmo (44)

Rit. Risplende la regina, Signore, alla tua destra.

Figlie di re fra le tue predilette;
alla tua destra sta la regina, in ori di Ofir. Rit.

Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio:
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre. Rit.

Il re è invaghito della tua bellezza.
È lui il tuo signore: rendigli omaggio. Rit.

Dietro a lei le vergini, sue compagne,
condotte in gioia ed esultanza,
sono presentate nel palazzo del re. Rit.


II Lettura (1Cor 15,20-26)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi


Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.
Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza.
È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi.

Rit. Alleluia, alleluia.
Maria è assunta in cielo;
esultano le schiere degli angeli
.
Rit. Alleluia.

Vangelo (Lc 1,39-56)
Dal Vangelo secondo Luca


In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto".
Allora Maria disse:
"L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre".
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Omelia

Maria si mise in viaggio verso la montagna, dice il vangelo di Luca, e la montagna è il monte Sion; poi raggiunse una “città di Giuda” non distante da Gerusalemme, entrando quindi in casa di Elisabetta sua parente, che l'angelo Gabriele le aveva detto essere in attesa di un figlio.
Un viaggio lungo motivato dalla carità e spiegato a Giuseppe col dare aiuto ad Elisabetta. Ecco, nulla disse Maria a Giuseppe di quanto Dio aveva operato in lei. Maria voleva che fosse Dio a rivelare a Giuseppe l'altissimo evento, voleva che avesse anche lui un contatto diretto con il cielo circa quell'evento che rivoluzionava la relazione tra i due. La gioia di Maria fu grande, non si aspettava che S. Elisabetta conoscesse il suo segreto: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”. Dio aveva rivelato ad Elisabetta il grande evento della sua maternità divina, dunque lo avrebbe rivelato anche a Giuseppe; e così fu.
La grande notizia rimase chiusa in cinque cuori: Maria, Giuseppe, Elisabetta, Zaccaria e Giovanni Battista. Altri non lo seppero. I Nazaretani lo fecero figlio di Maria e di Giuseppe (Mt 13,55): “Non è costui il figlio del falegname? E sua madre non si chiama Maria?”; e ne diffusero l'interpretazione per contestare la sua divinità (Gv 6,41-42): “Intanto i Giudei si misero a mormorare contro di lui (...) e dicevano: ‹Di lui non conosciamo il padre e la madre?›”. Questa obiezione che i Giudei misero in giro per bloccare il consenso della gente a Cristo, poteva essere superata solo da animi docili allo Spirito (Cf. Gv 6,44), che mentre conduce a tutta la verità, dà anche la capacità di saper attendere il momento del dono di questa; lo Spirito infatti non ci suggerisce di strappare le verità a Dio, che non è possibile, ma di attendere e di accoglierle, perché esse sono dono. A chi seppe credere e attendere, arrivò la testimonianza di Maria: la fonte dei Vangeli dell'infanzia è lei. Sapere attendere la luce dello Spirito è essenziale. Chi vuole strappare col solo ragionamento la verità alla Verità, crea solo del buio. Occorre invece un intellectus fidei, cioè un intelligere sostenuto dalla fede e aperto all'azione dello Spirito Santo.
Al tempo di Gesù c'erano già molti forzatori della Parola, che producevano solo buio; ma c'erano anche “i piccoli” che non la forzavano, che la leggevano con cuore integro e sapevano attendere la luce sulle Scritture. Esempio magnifico di questi “piccoli” è Daniele, che umilmente domandava a Dio luce sui 70 anni d'esilio annunciati da Geremia e che sapeva sospendere le sua curiosità di fronte a visioni che riguardavano generazioni dopo di lui.
Ma già c'era luce nelle Scritture circa il concepimento verginale di Maria; già raggiava tanta luce dalla profezia di Isaia (7,14 ): “Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”; bisognava pregare, come già fece Daniele, attendere, e lo Spirito Santo avrebbe fatto intendere la profezia e la sua realizzazione nel Cristo, il Figlio di Dio, ma ben pochi in Israele erano capaci di questo.
Noi dobbiamo imparare ad attendere. Attendere vuol dire essere capaci di dominio di sé. Attendere in particolare di uscire da un prova è sapere soffrire.
La Scrittura ci invita a saper attendere, rimanendo positivi, operanti. Attendere vuol dire avere fiducia, pensare che Dio conosce il momento opportuno per ogni cosa. Certo, chi attende deve rintuzzare interrogativi a cascata, deve sostenere il dolore di dubbi che vorrebbero penetrare nell'anima devastandone la fede, deve accettare prolungate sofferenze, senza dubitare della vicinanza di Dio, anzi vedendo in tutto ciò un disegno di Dio per la sua santificazione.
Attendere è sperare. Maria è colei che seppe attendere con massima perfezione; seppe attendere nella preghiera, con desiderio vivissimo, non impaziente, e per questo affrettò la venuta del Messia. Maria attese con amore, con vivo desiderio, senza impazienze, senza pretendere di forzare le decisioni di Dio. Maria attese e per questo affrettò, considerando quanto ci dice S. Pietro nella sua seconda lettera dove ci parla di un'attesa che affretta (3,12): “Attendendo e affrettando”.
Attese sempre operando, cioè seppe soffrire la sua permanenza tra le tristezze della terra, e affrettò il suo ingresso nel cielo, il suo congiungimento col Figlio risorto e asceso alla destra del Padre. Attese desiderando, amando, servendo la Chiesa in terra, nella carità di restare ancora sulla terra per il bene della Chiesa (Cf. Fil 1,23), non mirando mai a forzare i tempi, che restano sempre nelle mani di Dio (Cf. At 1,7). Attese e per questo affrettò; infatti chi sa attendere con positività cresce in fretta e giunge in fretta alla meta. Qualcuno potrà dire: “ Ma, se era utile in terra perché Dio ha affrettato la sua Assunzione in cielo?”. La risposta non è difficile. Maria, come Paolo, partecipava dell'amore di Cristo per gli uomini e voleva restare sulla terra per continuare a soffrire con Cristo, e per questo ci sarebbe restata sino alla fine del mondo. Ma, detto ciò, bisogna considerare il desiderio che aveva Dio di averla con sé nella gloria. Due desideri entrambi provenienti da Dio, ma su questi due non poteva che prevalere il desiderio di Dio, anche perché Maria chiamata alla gloria nel cielo non avrebbe diminuito la sua carità verso i suoi figli, verso la Chiesa e tutti gli uomini. E c'è da dire che quando Dio, nel suo disegno di santificazione di Maria, nulla poté più togliere e nulla poté più aggiungere in lei, l'assunse a sé nel cielo per darle quello che ancora le mancava, cioè la gloria, la visione facciale di Dio. Ma, mi direte: “Cosa c'era da togliere in Maria, se era immacolata, perfettissima”. Rispondo che c'era da togliere il perfetto, o meglio, elevare ancor più il già perfetto. Ovviamente, Maria non poté raggiungere la perfezione di Cristo, poiché è la perfezione del Dio-Uomo.
Anche noi attendiamo con desiderio l'incontro con Dio, e questo desiderio si accompagna al desiderio di lasciare la carne. Infatti tanto più si sale, tanto più si sente il peso della carne. Non perché il santo sostenga a fatica il peso della carne, perché lui lo sostiene con vigore e agilità spirituale, ma perché il santo lo avverte come tale, come peso, come ben ci dice san Paolo (Rm 7, 24): “Chi mi libererà da questo corpo di morte”.
Qui potrebbe nascere un'altra domanda: “Ma, allora, è giusto desiderare andare presto, presto, in cielo, per non sentire più il peso della carne”. Rispondo dicendo che il peso della carne sostenuto con generosità comporta vittorie e vittorie dello spirito, e quindi purificazione e merito. Ma, la carne non solo pesa, è anche vulnerabile, feribile. Così la carne colpita (malattia, percosse) dà dolore fisico, e a tale dolore si aggiunge spessissimo il dolore delle incomprensioni, il dolore morale dato dagli uomini, e ancora si aggiunge spesso il dolore spirituale dei “silenzi” del Padre, quando sembra tacere; ma, tutto ciò il vero fedele lo vive guardando alla passione di Cristo. E' questo sostenere con pace il dolore che attua la purificazione del cuore, e quindi, ancora vittorie e vittorie. L'anima desiderando il cielo lo desidera non disgiunto dal desiderio di presentarsi a Cristo in vesti bianche. Tuttavia mai sarà in grado di misurare la purificazione raggiunta, pur avendo e avvertendo grande ardore verso Dio, dal momento che la conoscenza di tale misura appartiene solo allo sguardo e al giudizio di Dio (1Cor 4,4). Ma l'anima unita nel Signore rifiuta di dare tale giudizio, che del resto non può dare, perché tutta impegnata a vincere con l'umiltà, il nascondimento, la vanagloria suggerita dalla carne. L'anima lascia così a Dio, pur avendo il forte desiderio di salire a lui, ogni giudizio sull'ora della propria morte, impegnata tutta solo a vivere bene il tempo concessole. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

Nuova omelia in video (Lido di Ostia, Roma)



Nuova omelia in video (Grotte di san Cosimato dove viveva la comunità benedettina con san Benedetto - Vicovaro (RM)



Scheda sull'Assunzione della Beata Vergine Maria pubblicata su "In Terris" - 15 agosto 2018

Le Scritture non presentano l’assunzione di Maria al cielo, ma esse indirizzano coerentemente a questa verità.
L’evento dell’assunzione non passò affatto sotto silenzio perché fin dal II sec. si ritrovano tracce documentali dell’assunzione di Maria al cielo in anima e corpo. La prima traccia è data da Leucio Carino (II sec.), del quale viene detto che in qualche modo conobbe, o direttamente o per interposte persone, Giovanni apostolo. Il suo pensiero teologico ebbe influssi doceti, mentre si rivelò contrario agli errori ebioniti. (Di Bernardino A., Leucio Carino, in DPAC - Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane -, p. 1940. - ID. (ed.), Patrologia III, Marietti, Torino 1978). Leucio Carino dice che l’anima di Maria venne presa dal Signore che l’affidò a san Michele, il corpo venne consegnato a Pietro, presente con Giovanni e gli altri apostoli. Pietro tumulò il corpo nella valle del Cedron. Dopo tre giorni il corpo si riunì all’anima e fu assunto dagli angeli e portato nel “paradiso terrestre”, da intendersi come punto di partenza per l’assunzione al cielo. Le narrazioni successive presentano un subito dopo la morte, che dichiara inequivocabile l’assenza della corruzione tombale. Leucio Carino viene ritenuto (Lino Cignelli e Bellarmino Bagatti) l’autore dell’archetipo base delle varie narrazioni successive del Transito detto anche Dormizione, ma indubbiamente la narrazione di Leucio Carino è già, alla luce degli studi assunzionisti, un’elaborazione narrativa. Le tracce successive circa l’assunzione si hanno tra la fine del IV sec. (Sant’Efrem, Timoteo di Gerusalemme, sant'Epifanio di Salamina, operetta siriaca Obsequia Beatae Virginis) e la fine del V sec., datazione alla quale si fanno risalire i più antichi racconti apocrifi sul Transito di Maria. Questa letteratura presenta che Maria venne assunta in cielo, conoscendo la morte, ma non subendo la corruzione del sepolcro.
Nel sec. VI cominciò in Oriente a diffondersi la celebrazione liturgica del Transito o Dormizione di Maria. Dal VII al X sec. numerosi autori greco-bizantini affermano l’assunzione di Maria in anima e corpo, dopo la sua morte e la sua risurrezione; ma altri teologi orientali hanno esitazioni circa l’assunzione di Maria. Parimenti parecchi autori latini sostenevano l’affermazione dell’assunzione, ma altri professavano che Maria era morta come tutti gli uomini, e attendeva la risurrezione finale. Un gesto di grande decisione fu quello di papa Sergio I che nel sec. VII stabilì per Roma la festa della Dormizione. Nel VII sec. la festa fu accolta anche in Francia e in Inghilterra prendendo la denominazione di Assumptio S. Mariae. Tale nuova titolazione spostò l’accento dalla Dormitio alla Assumptio.
Nel sec. XVII il padre Cesario Shguanin dei Servi di Maria (1692-1769) presentò alla Santa Sede la prima richiesa di formulazione dell’assunzione, come dogma di fede. In seguito centinaia di petizioni furono indirizzate ai Pontefici per la formulazione del dogma dell’assunzione di Maria in cielo in anima e corpo.
Se nella prima metà del secolo XIX gli studiosi (gli studi fiorirono particolarmente dal 1940 al 1950) si riferivano di solito solo al Transito scritto dallo Pseudo Melitone di Sardi, a un passo dello Pseudo Dionigi e al racconto della Storia Eutymiaca, inserito nell'Omelia II di Giovanni Damasceno, oggi, con nuovi ritrovamenti, gli studiosi hanno a disposizione parecchi testi in greco, latino, etiopico, arabo, armeno, georgiano, boharico, saidico, siriaco, irlandese, slavo. Importante è il Transito di Maria in greco, detto romano perché conservato nella Biblioteca Vaticana. Il manoscritto, scoperto nel 1955, è datato al sec. XI, ma risulta essere molto vicino al modello più antico.
Grande parte della tradizione parla della morte di Maria in termini di “dormizione”, sottolineando in tal modo la non corruzione, ma si va anche oltre poiché sant’Epifanio di Salamina ( 315 - 403) non esitò a dire che la fine di Maria sulla terra fu “piena di prodigio”, mentre Timoteo di Gerusalemme (fine IV sec.) considerò Maria non soggetta alla morte, e condotta da Cristo nel luogo dove egli ascese al cielo. La tradizione parla, tuttavia, anche di tomba e quindi di morte.
Se Maria abbia conosciuto la morte oppure no, fu una questione molto dibattuta alla vigilia del pronunciamento dogmatico dell’assunzione di Maria alla gloria celeste. Padre Carlo Baliæ, ofm, (fondatore dell’Accademia mariana internazionale) era sostenitore della morte naturale di Maria, mentre padre Martin Jugie, della Congregazione degli Agostiniani Assunzionisti, e grande studioso che contribuì agli studi preparatori sul dogma dell’Assunta, era per la non morte di Maria, considerando non vincolante teologicamente la morte biologica di Maria. Di questo avviso è stato pure don Gabriele Roschini, certo che il numero degli aderenti alla non morte di Maria sarebbe cresciuto nel futuro. (Gabriele Maria Roschini, “Il problema della morte di Maria SS. dopo la costituzione dogmatica «Munificentissimus Deus” in Marianum 13 (1951), 163).
La definizione dogmatica di Pio XII circa l’assunzione di Maria non volle toccare la questione: chi pensava a una “Dormitio” senza la morte non si trovava di fronte a un pronunciamento contrario, e viceversa. Così si esprime la Costituzione apostolica “Munificentissimus Deus” del 1 novembre 1950: “Pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l'immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo”.
La questione della morte o non morte rimane aperta, ma si possono fare queste considerazioni. La morte di Cristo fu di origine violenta, e conobbe la tomba, mentre quella di Maria non fu di morte violenta. Se non fu, come attesta tutta la tradizione, di morte violenta, inevitabilmente si deve dire che Maria ebbe una morte naturale per anzianità o malattia. Con ciò il corpo di Maria, tempio del Dio vivente, tabernacolo consacrato dalla presenza del Verbo incarnato, animato da un’anima Immacolata, ebbe il decadimento dell’anzianità o dell’intervento di una malattia, e ciò è già un grado di corruzione, anche se non è affatto la corruzione specifica della tomba. La morte naturale non è così in sintonia con il concetto di non corruzione.
Considerando la “dormizione” come uno stato estatico si può giungere ad un risultato teologico che dà ragione ai sostenitori della non morte di Maria, tra i quali, come già detto, spicca padre Martin Jugie .
Non si tratta di fantasie. Infatti, gli autori di trattati di ascetica e mistica (conosciutissimi: Adolfo Tanquerey e Royo Marin) riferiscono, con documentazione, che l’estasi produce una alienazione dai sensi e che il corpo dell’estatico diventa insensibile a ciò che lo tocca. La temperatura corporea diminuisce, il respiro diventa impercettibile e così il battito cardiaco, mentre l’aspetto è soave, vivo. E’ un evento misterioso, ma reale, che si può definire come dormizione. In Maria la dormizione fu eccelsa data la sua unione unica con Dio. Non fu assenza di attività dello spirito, ma intensissima attività nell’azione di fuoco dello Spirito Santo. Poi il corpo, rimasto vivo, venne reso glorioso mentre contemporaneamente l’anima ebbe accesso alla visione beatifica. Gloriosa, Maria fu assunta alla gloria celeste.
L’assunzione di Maria non è così semplicemente il prima rispetto alla risurrezione finale, ma è la conclusione gloriosa insita nella sua realtà di Vergine immacolata, Madre di Gesù. Tutto ciò in virtù di Cristo salvatore, causa universale di salvezza, di elevazione a Dio e di glorificazione.
Il luogo dell’assunzione, secondo la tradizione apocrifa a partire la Leucio Carino, è Gerusalemme, dove si trova la Basilica della “Dormizione”. Questo concorda con la presenza a Gerusalemme di Giovanni per diverso tempo. Il computo preciso degli anni della presenza di Giovanni è indefinibile per le molte difficoltà cronologiche (Cf. At 4,13s; 5,17s; 8,1; Gal 2,9).
Il luogo presentato dalle visioni di Katerina Emmerick (1774-1824) sarebbe invece nei dintorni di Efeso. Tale indicazione per Efeso può poggiare sul fatto che Giovanni vi si recò effettivamente, e su un documento del Concilio di Efeso (431), che riprende, forse, una tradizione locale, oppure vi diede origine. Il documento è la lettera che il Concilio di Efeso inviò a Costantinopoli, il cui vescovo era Nestorio, che negava la divina maternità di Maria. Questa la frase: “Nestorio, il rinnovatore dell’eresia empia, dopo essere giunto nella terra degli efesini, là dove erano giunti il teologo Giovanni e la Theotokos vergine, la santa Maria”. Caterina Emmerick dovette essere stata raggiunta dalla tradizione efesina, sulla quale Dio le impostò la visione avuta. Sappiamo che Dio nelle visioni ai mistici non necessariamente si impegna a rimuovere errori di carattere storico presenti nelle loro convinzioni, mirando alla pietà dei soggetti. Resta il valore della casa della Madonna ritrovata a Efeso, in realtà una cappellina in disuso con la facciata risalente al VII secolo e l’abside al IV sec. Al I sec. risalirebbero le tracce delle fondamenta di una casa precedente, che potrebbe essere dell’apostolo Giovanni, ma ciò non ha comprova documentale. Comunque la casa di Maria (Meryem Ana) ha un grande valore anche sotto il profilo interreligioso, perché è anche meta della devozione dei musulmani a Maria.
Quanto alla data dell’assunzione non si hanno elementi, solo si può pensare che non dovette tardare molto dopo la risurrezione di Cristo.
Sappiamo che la grazia perfeziona la natura e che la gloria perfeziona la grazia, così Maria raggiunse la perfezione nella gloria celeste. Tale perfezione Maria la raggiunse con ogni pienezza perché assunta in anima e corpo. Per tale perfezione Maria è attiva in cielo di più di quello che fu in terra, e questo è di grande conforto. Il suo cuore è in cielo e ci ama senza riserve. Se in terra Maria conosceva genericamente gli uomini, ora in cielo, in Dio ci conosce distintamente nella visione dell’Essenza divina, così si preoccupa di ciascuno di noi conoscendoci nei nostri bisogni profondi. Piena di carità e pure umilissima in cielo, essendo veramente un paradiso nel paradiso. Tanto più uno è santo e tanto più uno e vicino agli altri, così Maria assunta in cielo è la più vicina delle donne, e come madre amorosissima ci segue con la sua intercessione, sempre affaccendata nelle nostre faccende, spirituali e materiali. E gloria è per noi Maria, perché essere figli di Maria significa avere la dignità che procede dalla sua grandezza.
Il dogma ci rafforza la fede nella nostra risurrezione finale, pur già certa in Cristo, poiché l’assunzione ne è una prova. Ci vincola pure a pensare al cielo non solo come stato glorioso di unione con Dio, visto come egli è, ma anche come luogo. Noi siamo presi dalle ipotesi cosmiche, tanto che a volte vogliamo tacere del cielo di Dio, come luogo, ma sbagliamo perché in quel cielo Maria è stata assunta accanto al Figlio, già asceso al cielo. Non sappiamo nulla di questo cielo, la cui esistenza è dichiarata dalla rivelazione, ma possiamo dire che non è una parte del cielo astronomico, e che è al di sopra dei cieli astronomici. La Scrittura ci parla della Gerusalemme celeste (Gal 4,26; Eb 12,22; Ap 3,12; 21,2; 21,9s) e noi, tale Gerusalemme, la possiamo pensare fondata sulle immense distese stellari del cosmo. Maria, creatura di Dio innalzata sopra i cori angelici, ci dice che per innalzarci verso i cieli la via è Cristo e la conformità a Cristo. La scalata dei cieli rimane per noi, pur nelle nostre imprese grandiose, ben poca cosa. Ben poco ci potremo innalzare verso l’alto, e pur con la conquista di pianeti, rimarremo terrestri, anche nelle stazioni spaziali dove cibo, ossigeno, acqua, ci saranno necessari. Se stabiliremo in futuro una stazione su Marte la dovremmo terrestrizzare per poterci vivere.
Maria assunta in cielo non ha più bisogno di ciò che viene dalla terra, di ciò che la terra dava al suo corpo perché rimanesse in vita, ella infatti è entrata nella gloria della vita eterna.