Preghiere di san Francesco d’Assisi: note storiche e guida ai contenuti  

     
PREGHIERA DAVANTI AL CROCIFISSO
Questa preghiera si trova in codici abbastanza tardivi e sospetti, per cui la critica non si pronuncia per un’attribuzione certa a Francesco, che comunque la recitò. Ci è giunta in redazione latina e in lingua italiana. Tradizionalmente viene detto che il santo la compose nei primi mesi del 1206 davanti al Crocifisso di san Damiano, con ciò sarebbe la prima preghiera di Francesco, ma Francesco, ma non è certa l’attribuzione a Francesco, pur dovendo pensare che la recitò. Non può essere intesa come una preghiera spontanea di Francesco a san Damiano.

O alto e glorioso Dio,
illumina el core mio.
Dame fede diricta,
speranza certa,
carità perfecta,
 humiltà profonda,
senno e cognoscemento,
che io [os]servi li toi comandamento. Amen.


SALUTO DELLE VIRTÙ
Queste lodi delle virtù, in lingua latina, sono presentate, sia pur con diversità, nella Vita seconda di Tommaso da Celano (FF. 775). La composizione si richiama a un genere abbastanza comune, prima e dopo Francesco: dalla “Psycomchia” di Aurelio Prudenzio Clemente (grande poeta latino cristiano: 348 - ca. 405) al “De conflictu vitiorum et virtuorum” di san Bernardo di Clairvaux (1090 - 1153), al “Libro de’ vizi e delle virtù” di Bono Giamboni (1240 - 1292).
La composizione è di san Francesco.
La sottomissione a “tutte le bestie e le fiere, così che possano fare di lui quello che vogliono per quanto sarà loro concesso dall'alto del Signore” è un tratto francescano di rispetto del creato, che non annulla il giusto dominio che Dio ha dato all’uomo sugli animali (Cf. Gn 1,26; Ps 8,5-6; Sir 17,3-4; Sap 2,23); del resto san Francesco non aveva dato indicazioni sui cibi, (Cf. Regola non bullata, cap. XIV,3; Lc 10,7), ma sulla violenza. E’ noto che Francesco rifiutò di avallare la decisione presa dal capitolo di Pentecoste del 1220 dell’astinenza dalle carni nei “giorni di grasso"; decisione presa in sua assenza, perché in Marocco (Cronaca di Giordano da Giano, FF. 2333-2334).


O regina sapienza,
il Signore ti salvi
con tua sorella, la pura e santa semplicità.
Signora santa povertà,
il Signore ti salvi
con tua sorella, la santa umiltà.
Signora santa carità,
il Signore ti salvi
con tua sorella, la santa obbedienza.
Santissime virtù tutte,
il Signore vi salvi,
dal quale procedete e venite.
Non c'è qualsivoglia uomo al mondo intero
che possa avere per sé una sola di voi,
se prima non muore [a se stesso].
Chi ne ha una e le altre non offende,
le ha tutte,
e chi ne offende una
non ne ha alcuna e le offende tutte (Cf. Gc 2,10);
e ciascuna confonde i vizi e i peccati.
La santa sapienza
confonde Satana e tutte le sue insidie.
La pura e santa semplicità
confonde ogni sapienza di questo mondo (Cf. 1Cor 2,6; 3,19)
e la sapienza della carne.
La santa povertà
confonde ogni cupidigia e avarizia
e le preoccupazioni di questo mondo (Cf. Mt 13,22).
La santa umiltà
confonde la superbia
e tutti gli uomini di questo mondo
e tutte le cose di questo mondo.
La santa carità
confonde tutte le diaboliche e mondane tentazioni
e tutti i timori umani.
La santa obbedienza
confonde tutte le volontà carnali e corporali,
e tiene il suo corpo mortificato, in obbedienza allo spirito
e in obbedienza al proprio fratello,
e rende l'uomo suddito
a tutti gli uomini di questo mondo;
e non soltanto agli uomini,
ma anche agli animali, alle fiere,
così che possono fare di lui quello che vogliono,
in quanto sarà loro permesso dal Signore (Cf. Gv 19,11).

SALUTO ALLA BEATA VERGINE MARIA
Tommaso da Celano nella Vita seconda dice che Francesco recitava laudi alla Vergine (FF. 786). Questa composizione, in lingua latina, si trova in antichi codici ed è dichiarata autentica dagli studiosi.
La Vergine Maria è chiamata “suo palazzo” perché in terra Dio ha dimorato in lei sovranamente, come Re in un palazzo ricchissimo, e ora ciò ha raggiunto la sua perfezione nella gloria celeste. E’ chiamata “suo tabernacolo” perché la sapienza di Dio, che è Cristo, ha dimorato in lei nel pellegrinaggio terreno, e dimora ancora in lei al termine del pellegrinaggio nella gloria del cielo. E’ chiamata “sua casa”, perché se una reggia è segno di regalità, la casa è segno di intimità; di calda accoglienza: così Dio è stato accolto da lei in terra ed è eternamente accolto in cielo. E’ chiamata “suo vestimento” perché l’umanità assunta dal Verbo è stata assunta in lei e tale umanità rimane eternamente. E’ chiamata “sua ancella” perché è stata la serva obbediente del Signore in tutta umiltà, in abissale umiltà, e ora in cielo continua ad essere ancella obbediente del Signore nel Magnificat eterno del suo cuore. “Ti saluto sua Madre”, dice Francesco e mentre esalta la grandezza di lei quale Madre di Dio, esprime pure la confidenza verso di lei, poiché la Madre di Dio è pure sua madre.


Ti saluto, Signora santa, regina santissima,
Madre di Dio, Maria,
che sempre sei vergine,
eletta dal santissimo Padre celeste,
e da Lui, col santissimo Figlio diletto
e con lo Spirito Santo Paraclito, consacrata.
Tu in cui fu ed è ogni pienezza di grazia
e ogni bene.
Ti saluto, suo palazzo,
Ti saluto, suo tabernacolo.
Ti saluto, sua casa.
Ti saluto, suo vestimento.
Ti saluto, sua ancella.
Ti saluto, sua Madre.
E saluto voi tutte, sante virtù,
che per grazia e lume dello Spirito Santo
siete infuse nei cuori dei fedeli,
affinché li rendiate, da infedeli, fedeli a Dio.


LODI DI DIO ALTISSIMO
Di queste lodi, in lingua latina, si possiede l’autografo originale di Francesco. La pergamena contiene anche la benedizione a frate Leone. Nel lato dove è scritta la benedizione autografa di Francesco un’altra mano ha appuntato con inchiostro rosso: “Il beato Francesco, due anni prima della sua morte, fece una quaresima sul monte della Verna, ad onore della beata Vergine Maria, Madre di Dio e del beato Michele Arcangelo, dalla festa dell’Assunzione di santa Maria vergine fino alla festa di san Michele arcangelo; e la mano di Dio fu su di lui mediante la visione e le parole del serafino e l'impressione delle stimmate di Cristo nel suo corpo; compose allora queste laudi, che sono scritte nel retro di questo foglio, e le scrisse di sua mano, rendendo grazie al Signore per il beneficio a Lui concesso”.

La data di composizione è il settembre del 1224.
Frate Leone custodì la pergamena fino alla sua morte, così come gli aveva detto Francesco.

Tommaso da Celano nella Vita Seconda testimonia il fatto (FF. 635): “Un giorno Francesco lo chiama (frate Leone): ‹Portami - gli dice - carta e calamaio, perché voglio scrivere le parole e le lodi del Signore, come le ho meditate nel mio cuore›”.

Il testo è stato ottenuto da una lettura diretta del documento con raggi infrarossi.

Queste laudi sono molto importanti perché sono un dono di Francesco all’animo tormentato di frate Leone, che così venne invitato a considerare quanto è grande il Signore che lo ama e a rapportarsi con lui nella carità che è letizia. Le laudi sono espressione viva d’amore per l’Amato, che tanto ama e tanto è amabile. Esse sono per il loro stesso essere connesse al ringraziamento di poter amare Dio; e poiché l’amore non pensa mai di amare abbastanza, contengono pure, anche senza espressione specifica del labbro, la domanda di potere crescere nell’amore verso Lui, infinitamente amabile.
Queste laudi scaturiscono dalla fede e dall’amore di Francesco - conoscitore in modo singolare della passione di Cristo mediante la stimmatizzazione - verso Dio. Francesco sa che la via a queste vette è l’amore che non fugge il dolore, non perché non si ami la vita, ma perché si è compreso che strada più alta, più elevante di quella percorsa dal Signore non esiste, e se fosse esistita certamente l’avrebbe percorsa e ce la avrebbe additata.
Colpisce particolarmente la laude: “Tu sei bellezza”; ma se si buttano via i cenci e gli addobbi interiori coi quali i mondani si rivestono pensando di essere in tal modo grandi e belli agli occhi degli uomini - in realtà violatori di se stessi e del creato - allora si comprende che la vera bellezza è data dall’amore, e si coglie la bellezza che Dio ha posto nelle cose poiché il Creatore è Amore (1Gv 4,8), e poiché Amore è “bellezza”. Dio uno e trino è “bellezza” in se stesso. Questa bellezza risplende poi nella Chiesa in quanto sposa di Cristo, non misconoscendo però che in quanto insieme di uomini e donne, è santa e peccatrice. La comunione in Cristo, nel dono dello Spirito Santo e nell’apertura al Padre fa si che la Chiesa sia bellezza luminosa che viene da Dio.


Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende (Cf. Ps 76/77,15; Lc 1,49).
Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei l’Altissimo (Cf. Ps 85/86,10).
Tu sei il Re onnipotente. Tu sei il Padre santo, Re del cielo e della terra (Cf. Gv 17,11; Mt 11,25).
Tu sei trino ed uno, Signore Iddio degli dèi (Cf. Ps 135/136,2),
Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene, Signore Iddio vivo e vero (Cf. 1Ts 1,9).
Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza.
Tu sei umiltà. Tu sei pazienza.
Tu sei bellezza. Tu sei sicurezza. Tu sei la pace.
Tu sei gaudio e letizia. Tu sei la nostra speranza. Tu sei giustizia.
Tu sei temperanza. Tu sei ogni nostra ricchezza.
Tu sei bellezza. Tu sei mitezza.
Tu sei il protettore. Tu sei il custode e il difensore nostro (Cf. Ps 120/121,4).
Tu sei fortezza. Tu sei rifugio (Cf. Ps 61/62,7-8).
Tu sei la nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità.
Tu sei tutta la nostra dolcezza. Tu sei la nostra vita eterna,
grande e ammirabile Signore,
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.


La benedizione a frate Leone
Il Signore ti benedica e ti custodisca (Nm 6,24-26), mostri a te il suo volto e abbia misericordia di te. Volga a te il suo sguardo e ti dia pace. Il Signore benedica te, frate Leone.

CANTICO DI FRATE SOLE
Il Cantico di frate Sole o Laudes creaturarum, è stato composto da Francesco due anni prima di lasciare la terra. Esso è in lingua volgare umbra, in versi liberi e in prosa di assonanza. Il Cantico è una delle prime espressioni del “dolce stil novo”. Francesco compose anche la melodia, che è andata perduta, ma che con tutta probabilità ricalcava il canto gregoriano.
La più antica documentazione del Cantico si trova nel codice 338 del XIII sec.
Francesco quando lo compose aveva già ricevuto, verso la fine del settembre 1224, sul monte della Verna le sacre stimmate. Ammalato e quasi cieco, trascorse qualche tempo a S. Damiano in attesa di sottoporsi a delle cure mediche, ma senza averne vantaggi. E’ in questa sosta a S. Damiano - in una capanna di stuoie distante dal Monastero - che la tradizione comune e assodata dice che compose il Cantico di frate Sole, La composizione è sgorgata dal cuore di Francesco come acqua viva, come un’esigenza di proclamazione della grandezza e bontà di Dio che si manifesta nelle sue opere. Il Cantico non è un documento personale per ricordarsi di un’esperienza di incontro vivissimo con Dio, ma è dono a tutti. Il Cantico di frate sole è dono che Francesco a tanti che non vedono le cose se non con l’occhio dell’interesse e dell’avidità. Ma anche ai tanti che allora subivano l’influsso dei Catari per i quali le realtà materiali erano malvagie.I frati l’avrebbero recitata, cantata, nella piazze, per condurre la gente alla lode di Dio facendo vedere come nel creato sia impresso l’amore di Dio per gli uomini.
Così il sole non solo è “bellu e radiante con grande splendore”, ma è “frate” perché ha una missione d’amore per gli uominì - “Lo quale è iorno et allumini noi per lui” - , così come ogni fratello in Cristo ha una missione d’amore per gli altri.
Cosi la Luna è accumunata alle stelle che sono “clarite”, cioè luminose, “preziose” perché illuminano la notte e “belle” perché affascinano lo sguardo. Frate vento è connesso con le stagioni e serve per rinnovare l’aria, temperare il caldo, favorire la vita con l’impollinazione dei fiori delle piante. L’”aere” è l’atmosfera intesa come sede delle manifestazioni meteoriche - “nubilo et sereno et onne tempo” - che permettono i frutti, le distese di frumento, i prati, lo sbocciare dei fiori, lo sgorgare delle sorgenti, e quindi il sostentamento dell’uomo e degli animali. “per lo quale dai a le tue creature dai sustentamento”.
Ma la lode a Dio non si ferma alla missione delle creature, Francesco procede con la lode a Dio perché in Cristo ha fatto sì che ci sia il perdono tra gli uomini e la capacità di dare senso alle sofferenze: “Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore”. Se si coglie il passaggio tra la creazione e la nuova creazione operata da Cristo non si ricorrerà più a spezzare il Cantico di frate sole in due, considerando la seconda parte come circostanziata da una lite in Assisi (Cf. Leggenda perugina FF. 1593). Per l’unità di composizione si veda Edoardo Fumagalli, “San Francesco, il Cantico, il Pater noster”, ed. Jaca Book 2002, pag 27s.
Pensare a Francesco come uomo arrivato al livello paradisiaco, e quindi uomo semplicemente laudante in mezzo al creato, senza bisogno di domandare conversione e aiuto a Dio, è grave errore; infatti il Vangelo dice ben altro, e Francesco stesso, ormai al termine della sua vita, lo dichiara significativamente con queste parole ai frati (Leggenda maggiore di san Bonaventura, FF 1237): “Incominciamo, fratelli, a servire il Signore Dio nostro, perché finora abbiamo combinato poco”. Certo, però, Francesco ha vissuto nell’anticamera del Paradiso, vivendo in quell’accesa carità che è frutto dell’amore alla croce: non solo del portare la croce, ma dell’abbracciare la croce.
La creazione è segnata dalla caducità (Rm 8,20), ma pur essa è rinnovata dal dominio di Cristo, anche se ora non appare (Eb 2,8), e Francesco l’ha vista così nella fede in Cristo. Francesco non nasconde né lo può nascondere che la creazione è segnata dalla caducità, ma annuncia con la sua vita che è stato dato agli uomini il dono in Cristo di soffrire “infirmitate et tribulazione” “in pace”, quella non data dal mondo, ma da Cristo (Gv 14,27). Anche la morte corporale è oggetto di lode a Dio: “Laudato si', mi' Signore, per sora nostra Morte corporale”. Infatti, la morte, in Cristo, è vissuta come un evento di partecipazione alla passione di Cristo ed è porta per la vita eterna (Cf.1Cor 3,22).
Infine Francesco pone l’attenzione verso il premio o la dannazione eterna, chiamata “morte secunda” (Ap 20,6). Un appello finale sigilla tutto il Cantico: “Laudate e benedicete mi' Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate”.


Altissimu, onnipotente, bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfane,
et nullu homo ène dignu Te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore, cun tucte le tue creature,
spetialmente messer lo frate Sole,
lo quale è iorno et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cun grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate vento,
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dai sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor'acqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate focu,
per lo quale enn’allumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'I sosterrano in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' skappare.
Guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'I farrà male.
Laudate e benedicete mi' Signore
et rengratiate e serviateli cum grande humilitate.

ESORTAZIONE PER LE “POVERELLE” DI S. DAMIANO
Tali parole sono state ritrovate in un codice del XIV sec. presso il monastero san Fidenzio di Novaglie (Verona). I Codici sono stati resi noti nel 750 della morte di Francesco, ma già erano conosciuti prima da padre Leonardo Bello nell’Introduzione delle Costituzioni Generali del secondo Ordine (1941).
Si tratta di una esortazione avente anche un intento consolatore per le Damianite.
La composizione sarebbe stata dettata da Francesco nel 1225, dopo il Cantico di Frate sole (Legenda perugina FF. 1594; Specchio di perfezione FF. 1788) e voleva sollevare le suore dall’apprensione per la sua salute, riproponendo con letizia il suo amore per la povertà. L’esortazione doveva essere cantata da alcuni frati con melodia da composta da Francesco, con tutta probabilità sulla scorta del canto gregoriano. Questa composizione sarebbe la seconda, oltre il Cantico di frate sole, che ci è pervenuta in volgare.

La composizione in prosa ritmica è stata accolta come autentica dal suo ritrovatore ufficiale (1976), Giovanni Boccali in Parole di esortazione di s. Francesco alle "poverelle" di San Damiano, "Forma sororum" XIV (1977) e il Collectanea franciscana XLVIII, 1978, come pure da Brambilla Ageno, “Proposte al testo della prosa volgare di san Francesco”, in “Studi e problemi di critica testuale” (1980). E’ stata però considerata apocrifa da Ignazio Baldelli, “Sull’apocrifo francescano Audite poverelle dal Signore vocate”, in Medioevo volgare da Montecassino all’Umbria, 1983 Bari, Adriatica, pp. 613-635. Altre valutazioni contemporanee e successive hanno difeso l’autenticità: Menichetti Aldo “Riflessioni circa l’attribuzione a san Francesco dell’Esortazione alle poverelle”, in Studi Storici”, 1983; Paolazzi Carlo “Francesco per Chiara”, ed. Biblioteca Francescana, 1994.
Se la composizione stenta ancora ad entrare nelle grandi antologie ci sono molti che non hanno dubbi sull’autenticità dell’Esortazione.
Le parole “ke de multe parte sete adunate”, sulle quali si è molto ragionato, trovano riscontro sia negli atti processuali di santa Chiara, che riferiscono che in S. Damiano erano presenti sorelle che provenivano non solo da Assisi e dal contado, ma anche da Perugia, Spello, Spoleto, Roma, e probabilmente da Pisa e Ferrara, sia nella presenza di quattro monasteri Damianiti. Nel 1219 era già presente un monastero a Monticelli (Firenze); nel 1222 uno fuori porta Camollia a Siena, presso la via Romea; nel 1222 c’è n’era uno a Lucca; uno nel 1222 a Perugia (Cf. Arianna Pecorini Cignoni, “Gregorio IX e il francescanesimo femminile”, in Studi francescani, XCV (1998) pag. 383 - 406).
L’attenzione per le suore che nella cura delle inferme sono “per loro suò adfatigate”, è un’attenzione che rispecchia perfettamente l’esperienza di Francesco assistito nella malattia da alcuni frati.
C’è l’invito ad accettare la clausura, imposta dalla Chiesa in seguito al canone XIII del Concilio Lateranense IV, come un dono: “Non guardate a la vita de fore, ka quella dello spirito è migliore”. Anche per Francesco questo era vero, ed era la premessa per adempiere il dovere altissimo e benedetto da Dio dell’evangelizzazione (Cf. Mc 3,14: “Perché stessero con lui e per mandarli a predicare”. Si sa, dagli atti processuali, che Chiara avrebbe voluto andare in Marocco per subire il martirio come i cinque protomartiri. Il sostentamento delle suore era affidato alle elemosine. Già nel 1216, secondo la Legenda di santa Chiara del Celano, il pontefice Innocenzo III aveva approvato il proposito di vivere l’altissima povertà come l’insegnava Francesco. Le elemosine o arrivavano direttamente ai Monasteri oppure giungevano tramite la questua dei frati. Circa le elemosine Francesco invita a non affannarsi considerando che esse provengono dal Signore. Non manca la prospettiva del premio celeste per quelle che soffrono infermità e per quelle che si affaticano per assisterle.: “Cascuna serà regina en celo coronata cum Vergene Maria”.

Il codice Veronese afferma:
“Hec verba fecit beatus Franciscus in vulgari”.

Audite, poverelle dal Signor vocate,
ke de multe parte et provincie sete adunate:
vivate sempre en veritate
ke en obedientia moriate.
Non guardate a la vita de fora,
ka quella dello spirito è migliora.
Io ve prego per grand'amore
k'aiate discrecione dele lemosene
ke ve dà el Segnore.
Quelle ke sunt adgravate de infirmitate
et l'altre ke, per lor, suò adfatigate,
tute quante lo sostengate en pace,
ka multo venderì cara questa fatiga,
ka cascuna serà regina en celo coronata
cum la vergene Maria.


LODI PER OGNI ORA
Queste lodi, in lingua latina, si trovano nel cod. 338 della Biblioteca comunale di Assisi. Sono collocate nel codice tra il Cantico delle Creature e l’Ufficio della Passione. Sono una composizione di lodi tratte dalla Scrittura.

Rubrica: Incominciano le lodi composte dal beatissimo padre nostro Francesco. Egli le recitava ad ogni ora del giorno e della notte - ore del Divino Ufficio - e prima dell'Ufficio della beata Vergine Maria; e incominciano così (Padre Nostro): “Santissimo Padre nostro, che sei nei cieli, ecc.”, seguite dal Gloria. Poi si dicano le seguenti lodi:


Santo, santo, santo il Signore Dio onnipotente,
che è, che era e che verrà (Cf. Ap 4,8);
lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli (Cf. Dn 3,57).
Tu sei degno, Signore Dio nostro (Cf. Ap 4,11),
di ricevere la lode, la gloria
e l'onore e la benedizione;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Degno è l'Agnello, che è stato immolato (Cf. Ap 5,12)
di ricevere potenza e divinità,
sapienza e fortezza,
onore e gloria e benedizione;
lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Benediciamo il Padre e il Figlio con lo Spirito Santo;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Benedite il Signore, opere tutte del Signore (Dn 3,57);
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Date lode al nostro Dio voi tutti suoi servi (Cf. Ap 19,5)
voi che temete Dio, piccoli e grandi;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Lodino lui, glorioso, i cieli e la terra (Cf. Ps 68/69,35);
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
E ogni creatura che è nel cielo (Cf. Ps 68/69,35; Ap 5,13)
e sopra la terra e sotto terra,
e il mare e le creature che sono in esso;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Come era nel principio e ora e sempre
e nei secoli dei secoli. Amen.
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.

Preghiera di conclusione:
Onnipotente, santissimo, altissimo e sommo Iddio,
ogni bene, sommo bene, tutto il bene, che solo sei buono (Cf. Lc 18,19),
fa' che noi ti rendiamo ogni lode, ogni gloria,
ogni grazia, ogni onore, ogni benedizione e tutti i beni.
Fiat! Fiat! Amen.

PREGHIERA PRIMA DELL’UFFICIO DIVINO
Dal “De Conformitate” di Bartolomeo da Pisa. Bartolomeo da Pisa, già frate minore professo circa nel 1352. Partecipò al Capitolo generale dell’Ordine ad Assisi nel 1399, presentando, il 2 agosto, il “De Conformitate vitae B. Francisci ad vitam Domini Jesu”, ottenendone l’approvazione. L’autorità del “De Conformitate” suggerisce l’autenticità della preghiera. La preghiera è in lingua latina.

Onnipotente, eterno, giusto e misericordioso Iddio,
concedi a noi miseri di fare,
per tua grazia, ciò che sappiamo che Tu vuoi,
e di volere sempre ciò che Ti piace,
affinché purificati nell'anima,
interiormente illuminati e accesi dal fuoco dello Spirito Santo,
possiamo seguire le orme del Figlio Tuo,
il Signore nostro Gesù Cristo,
e a Te, o Altissimo,
giungere con l'aiuto della Tua grazia.
Tu che vivi e regni glorioso
nella Trinità perfetta
e nella semplice Unità,
Dio Onnipotente
per tutti i secoli dei secoli. Amen.

MIO DIO E MIO TUTTO
Questa preghiera non che è una somma di tre preghiere riportate da Bartolomeo da Pisa nel “De Conformitate vitae B. Francisci ad vitam Domini Jesu” (Analecta Franciscana, Vol. V ed. Quaracchi, 1912, pag 255-256).
Nell'edizione critica dei Fioretti di Paul Sabatier, Paris 1902, pag.5. Francesco, nella notte, venne ascoltato da Bernardo da Quintavalle mentre ripeteva: “Deus meus et omnia”.
Nel testo (FF. 1915) “Delle Sante Istimate di Santo Francesco, e delle loro considerazioni. Terza considerazione”, si narra che frate Leone ascoltasse da Francesco alla Verna queste parole: “Chi se’ tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?”.
Si è convenuto di unire queste preghiere per farne una sola; vedi: “The lives of the Fathers, Martyrs and Other Principal Saint” dell’abate Alban Butler (1756 - 59). Traduzione in italiano “Florilegio delle vite dei santi”, abate Alban Butler, Monza 1834, vol. IV, parte I, pag. 52.

Riporto l’originale latino di Bartolomeo da Pisa, perché la traduzione corrente è imprecisa.

     
Deus meus et omnia!   Mio Dio e mio tutto!
     
Qui es tu, dulcissime Domine
  Chi sei tu,
Deus meus?   dolcissimo Signore, Dio mio?
Et qui sum ego   E chi sono io,
vermiculus, servus tuus?   povero vermiciattolo, servo tuo?
     
Domine mi,   Signore mio,
ego vobis vi ho dato
totum cor meum   tutto il mio cuore
et corpus meum dedi,   e il mio corpo,
et vehementer desidero,   e ardentemente desidero,
si tamen scire possem   se tuttavia fosse possibile sapere,
pro vestri amore   per amor vostro
plura facere.   fare ancora di più.

ALTISSIMO, SOMMO DIO

Questa preghiera contiene un credo, un rendimento di grazie e invocazioni. Fa parte della “Regola non bollata” al capitolo XXIII. La sua datazione è il 1221. E’ in latino, come tutta la Regola

Onnipotente, Santissimo, Altissimo, Sommo Dio,
Padre santo e giusto, Signore Re del cielo e della terra, per te stesso ti rendiamo grazie, poiché per la tua santa volontà e per l'unico tuo Figlio e nello Spirito Santo hai creato tutte le cose spirituali e corporali, e noi fatti a immagine tua e a tua somiglianza hai posto in Paradiso; e noi per colpa nostra siamo caduti.
E ti rendiamo grazie, perché, come tu ci hai creato per mezzo del tuo Figlio, così per il vero e santo amore, col quale ci hai amato, hai fatto nascere lo stesso vero Dio e vero uomo dalla gloriosa sempre vergine beatissima Santa Maria e per la croce, il sangue e della morte di Lui ci hai voluti liberare e redimere.

E ti rendiamo grazie poiché lo stesso tuo Figlio ritornerà nella gloria della sua maestà per mandare i reprobi, che non fecero penitenza e non vollero conoscere il tuo amore, al fuoco eterno e per dire a quelli che ti conobbero, adorarono, servirono nella penitenza: Venite, benedetti dal Padre mio, entrate in possesso del regno, che vi è stato preparato fin dalle origini del mondo.
E poiché tutti noi, miseri e peccatori, non siamo degni di nominarti, supplici preghiamo che il Signore nostro Gesù Cristo Figlio tuo diletto, nel quale ti sei compiaciuto, insieme con lo Spirito Santo Paraclito ti renda grazie, così come a te e ad essi piace, per ogni cosa, Lui che ti basta sempre in tutto e per il quale a noi hai fatto cose tanto grandi. Alleluia.

E per il tuo amore umilmente preghiamo la gloriosa e beatissima vergine Maria, il beato Michele, Gabriele, Raffaele e tutti i cori degli spiriti celesti: serafini, cherubini, troni, dominazioni, principati e potestà, virtù, angeli e arcangeli, il beato Giovanni Battista, Giovanni evangelista, Pietro, Paolo, e i beati Patriarchi e profeti, i santi innocenti, gli apostoli e gli evangelisti, i discepoli, i martiri, i confessori, le vergini, i beati Elia ed Enoc e tutti i santi che furono e saranno e sono, affinché rendano grazie a Te, sommo e vero Dio, eterno e vivo con il Figlio tuo carissimo, Signore nostro Gesù Cristo e con lo Spirito Paraclito nei secoli dei secoli. Amen. Alleluia.

SIGNORE IDDIO
Bartolomeo da Pisa presenta nel “De Conformitate” questa preghiera alla fine della “Regola non bullata”. Essa è precisamente la versione in preghiera delle parole di esortazione e impegno che si trovano al capitolo XXIII della “Regola non bullata”: “Tutti amiamo con tutto il cuore…”. Non si può dire se questa preghiera preceda il suo inserimento nel cap. XXIII, oppure sia stata composta successivamente. E’ probabile che sia una bellissima e fedele elaborazione successiva. Il testo è in latino.

Signore Iddio,
che tutti ti possiamo amare con tutto il cuore,
con tutta l'anima,
con tutta la mente,
con tutta la capacità e la forza
con tutto l'intelletto e con tutte le potenze,
con tutta l'intensità,
con tutto l'affetto,
con tutto il nostro intimo,
con tutto il desiderio e la volontà:
perché Tu, o Signore,
a noi hai dato e ancora dai tutto il tuo corpo
e tutta l'anima tua e la tua vita intera!
Tu che ci hai creati, ci hai redenti e per sola Tua misericordia ci salverai;
Tu che hai fatto e fai ogni bene a noi, miserabili e miseri come siamo, putridi e fetidi, ingrati e cattivi.

Che null'altro, dunque, possiamo noi sapere, null'altro desiderio, null'altro volere, in null'altro trovare piacere o diletto, se non in Te, che sei Creatore e Redentore e Salvatore nostro: in Te che sei solo vero Dio, pienezza di bene, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene, che solo sei buono, pio e mite, soave e dolce; che solo sei santo e giusto, vero e retto; che solo sei benigno, innocente e puro.
Da Te, per Te e in Te è tutto il perdono, tutta la grazia, tutta la gloria di tutti i penitenti e giusti e di tutti i beati che insieme godono nel cielo.
Nulla, dunque, o Signore, ci separi, nulla ci divida, nulla ci impedisca dall'amarti ovunque e in ogni tempo, ogni giorno e di continuo, in verità e con umiltà e di portare sempre in cuore Te, vero Dio.
Che sempre Ti possiamo amare ed onorare, adorare e servire, lodare e benedire e glorificare, sempre magnificare ed esaltare.

E grazie, Signore!

Grazie a te, altissimo e sommo Iddio Trinità ed Unità, Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutto.
Salvatore di quanti credono e sperano in Te e Te amano; che sei senza principio e senza fine, ammirabile, invisibile, inenarrabile, ineffabile, incomprensibile, imperscrutabile, benedetto, lodevole, glorioso e super esaltato, sublime, eccelso, amabile, soave, dilettevole.
Tutto sempre sopra ogni cosa desiderabile nei secoli dei secoli.
Amen.

ESPOSIZIONE DEL "PADRE NOSTRO"
I critici sono favorevoli all’autenticità di questa esposizione del Padre Nostro, scritta il latino. Non si hanno elementi di datazione. Per l’altezza teologica si deve dire che era a istruzione dei frati, ma anche dei laici, se spiegata.
Si è appurato che la esposizione del Padre Nostro non è una composizione concomitante alle “Le lodi per ogni ora”.
Nulla manca nel Padre Nostro di ciò che deve essere presente nella preghiera: fede, speranza, carità, abbandono, domanda, lode, ringraziamento, glorificazione di Dio, intercessione, obbedienza, accettazione delle sofferenze, pentimento, proposito, tensione per l’estensione del regno di Dio nei cuori. Il Padre Nostro incomincia con la lode, ma essa è connessa con la domanda che sia fatta da tutti gli uomini. Il Padre Nostro include la gratitudine, perché solo Cristo poteva darci accesso al Padre quali figli potendo così dire: "Padre Nostro". E con la gratitudine l’impegno alla corrispondenza a Dio.
Il Padre Nostro ha domande per realtà spirituali: solo una è relativa alle cose della terra: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Questo per Francesco è chiaro, ma poiché il suo abbandono alla Provvidenza era sigillato dall’altissima povertà (Cf. Mt 6,24s), non si ferma al pane terreno, per il quale pur lavora come ogni uomo, ma al Pane celeste, che è Gesù Cristo (Gv 6,26.35.48); Gesù Eucaristia (Gv 6,50-58), poiché Francesco dice: “a ricordo e a riverente comprensione di quell’amore che ebbe per noi, e di tutto ciò che per noi disse, fece e patì”. Non si ferma, Francesco, al pane che nutre il corpo, ma a quello che nutre l’anima.


O santissimo Padre nostro (Mt 6,9): creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro.
Che sei nei cieli (Mt 6,9): negli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza, poiché tu, Signore, sei luce; infiammandoli d’amore, perché tu, Signore, sei amore; inabitando in loro, pienezza della loro gioia, poiché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale viene ogni bene, senza il quale non vi è alcun bene.
Sia santificato il tuo nome (Mt 6,9; Cfr. Ef 3,18): si faccia più chiara in noi la conoscenza di te, per poter vedere l'ampiezza dei tuoi benefici, l’estensione delle tue promesse, i vertici della tua maestà, le profondità dei tuoi giudizi.
Venga il tuo regno (Mt 6,10): affinché tu regni in noi per mezzo della grazia e tu ci faccia giungere al tuo regno, ove vi è di te visione senza veli, un amore perfetto, un’unione felice, un godimento senza fine.
Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra (Mt 6,10): affinché ti amiamo con tutto il cuore (Cf. Lc 10,27), sempre pensando a te; con tutta l'anima, sempre desiderando te; con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni e in ogni cosa cercando il tuo onore; e con tutte le nostre forze, spendendo tutte le nostre energie e sensibilità dell'anima e del corpo a servizio del tuo amore e non per altro; e affinché amiamo il nostro prossimo come noi stessi, trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei nostri e compatendoli nei mali e non recando nessuna offesa a nessuno (Cf. 2Cor 6,3).
Dacci il nostro pane quotidiano (Mt 6,12): il tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, dà a noi oggi: a memoria, comprensione di quell’amore che ebbe per noi, e di tutto ciò che per noi disse, fece, e patì.
E rimetti a noi i nostri debiti (Mt 6,12): per la tua ineffabile misericordia, in virtù della passione del tuo Figlio diletto e l'intercessione e i meriti della beatissima Vergine e di tutti i tuoi santi.
Come noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt 6,12): e quello che noi non sappiamo pienamente perdonare, tu, Signore, fa' che pienamente perdoniamo, sì che, per amor tuo, si possa veramente amare i nostri nemici (Cf. Mt 5,44) e si possa per essi, presso di te, devotamente intercedere, e a nessuno si renda male per male (Cf. 1Ts 5,15; Rm 12,17), e si cerchi di giovare a tutti in te..
E non ci indurre in tentazione (Mt 6,13): nascosta o manifesta, improvvisa o insistente.
Ma liberaci dal male (Mt 6,13): passato, presente e futuro. Amen.

PREGHIERA "ABSORBEAT"
Questa preghiera si trova nell’”Arbor Vitae” (1305) di Ubertino da Casale. Essa è sostanzialmente già presente negli scritti di Giovanni di Fédecamp (1078). A Francesco giunse probabilmente anonima. Qualche adattamento può farsi risalire al santo, che certamente la recitò. Quanto alla datazione nulla si può dire.
 
Rapisca, ti prego, o Signore,
I'ardente e dolce forza del tuo amore
la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo,
perché io muoia per amore dell'amor tuo,
come tu ti sei degnato morire
per amore dell'amor mio.

UFFICIO DELLA PASSIONE DEL SIGNORE
Non si conosce la data di composizione di questo Ufficio. Nella consuetudine di Francesco veniva aggiunta all’ufficiatura comune. I salmi sono opera composita con vari passi biblici. Solo due salmi sono interamente presi dal Salterio. L’opera venne verosimilmente composta con la collaborazione di frate Leone.

Incominciano i salmi, che il beatissimo padre nostro Francesco compose a onore e a memoria e a lode della passione del Signore. Essi vanno recitati uno per ciascuna delle ore canoniche del giorno e della notte. E incominciano dalla compieta del Giovedì santo, perché in quella notte il Signore nostro Gesù Cristo fu tradito e catturato. E nota, che il beato Francesco recitava questo ufficio in questo modo: all'inizio diceva l'orazione, che ci ha insegnato il Signore e Maestro: Santissimo Padre nostro, ecc. insieme alle lodi: Santo, santo, santo, come sono riportate qui sopra. Terminate le lodi con l'orazione, incominciava questa antifona: Santa Maria. Prima diceva i salmi dell'ufficio della Madonna poi diceva altri salmi da lui scelti, e alla fine di tutti questi salmi, recitava i salmi della passione. Terminato il salmo diceva questa antifona: Santa Maria Vergine. Terminata l'antifona era finito l'ufficio. (Vedi Fonti Francescane da 280 fino a 303).

Le sembianze di san Francesco
Breve biografia di san Francesco, video